Percorso : HOME > Associazione > Attività > Pieve di Missaglia > Agostino

2022: Conversione Agostino

La locandina dell'incontro in programma

La locandina dell'incontro in programma

 

MEMORIA DELLA CONVERSIONE DI AGOSTINO

 

Giovedì 26 maggio 2022

Cassago, Sala del Pellegrino presso il parco Rus Cassiciacum

 

 

 

"Tolle lege di Agostino: storie di conversione"

Incontro a memoria della conversione di Agostino

 

Le vicende di Agostino a confronto con altre importanti conversioni del card. Newman, Bernanos, il generale Della Rovere.

 

Con l'intervento di Luigi Beretta

Ivano Gobbato

e letture di Ettore Fiorina

 

GIOVEDI 26 MAGGIO 2022,

ORE 20.45

NELLA SALA DEL PELLEGRINO

PRESSO IL PARCO RUS CASSICIACUM

 

 

Spunti della trattazione di Luigi Beretta

 

Il differimento del battesimo (I)

Ammonimenti e sollecitudini della madre (2)

Le attrattive del furto delle pere (2)

Studente a Cartagine: Desiderio e godimento d'amore (3)

L'insana passione del teatro (3)

La lettura dell'Ortensio di Cicerone

Incontro deludente con le Sacre Scritture

Adesione manicheismo

Un sogno di Monica (3)

Ostinata devozione per l'astrologia (4)

Due avversari dell'astrologia: Vindiciano e Nebridio

Malattia e morte dell'amico

Composizione del trattato Sulla bellezza e la convenienza (Gerio)

Lettura delle Dieci categorie di Aristotele (a vent'anni)

Il vescovo manicheo Fausto, lacciuolo del diavolo (5)

Scetticismo: la filosofia accademica (Roma)

Il male concepito come sostanza

Trasferimento a Milano e incontro con Ambrogio

Il significato spirituale delle Scritture nella predicazione di Ambrogio

Monica a Milano (6)

L'uomo immagine di Dio secondo la fede cattolica (6)

Un mendicante felice

Alipio discepolo affezionato di Agostino

Il problema del matrimonio

Fidanzamento di Agostino; Ritorno in Africa della madre di Adeodato

Origine del male e libero arbitrio (7)

Trattati neoplatonici

Cristo Gesù, unico Mediatore fra l'uomo e Dio

Avida e benefica lettura dell'apostolo Paolo

Simpliciano, servo di Dio (8)

La conversione di Vittorino nel ricordo di Simpliciano

La meravigliosa vita di Antonio nel racconto di Ponticiano

Un'avventura di Ponticiano e tre suoi amici

Esortazione della Continenza

Agostino e Alipio in giardino e il tolle lege

Attesa delle vacanze: rinuncia insegnamento (9)

Conversione di Nebridio

Attività letteraria a Cassiciaco

Ritorno a Milano e battesimo con Alipio e Adeodato

 

 

 

Intervento di Ivano Gobbato

 

TOLLE LEGE

- tre storie di conversioni -

 

Conversione vuol dire cambiamento, è questo il significato della parola, lo sappiamo tutti. Cambiamento, mutazione. È un termine che oggi usiamo soprattutto per definire cose astratte (spirituali se vogliamo, come può esserlo la conversione religiosa), ad esempio quella da un sistema a un altro: il valore dell'euro rispetto al dollaro, o di un file del computer che da word diventa pdf.

Ma in origine la dimensione di questa parola era quella dello spazio fisico, indicava il cambio nella direzione di un corpo in movimento. Nel mondo antico, per dire, le rivoluzioni dei pianeti intorno a un centro (la terra prima, il sole poi) erano definite "conversioni", e nei libri di una volta, magari quei bei noir degli anni '50 in cui c'è sempre una macchina carica di rapinatori che corre veloce, il pilota compie tutta una serie di audaci "conversioni" per seminare la polizia. Oggi i libri le chiamerebbero più semplicemente "manovre", ma quello è il senso: dal latino conversio, derivato di con-vèrtere: rivolgere, dirigere, cambiare. Però, anche se non sembra, questa parola è piena di forza grazie al suo prefisso, a quel "con" che funge quasi da volano: in fondo sono tante le cose che, se ci riflettiamo, cambiano direzione.

Pensiamo al biliardo, in cui la biglia sbatte contro le sponde del tavolo e poco a poco perde velocità sino ad andare a colpire perfettamente i birilli appena prima di fermarsi. Tuttavia, la "conversione" non è tanto quel tipo di cambio di direzione: nella conversione quel "con" fa sì che al movimento non venga meno neppure una parte dell'energia di partenza. Nel senso che la conversione non è come il moto della biglia, che si affievolisce: non consuma energia ma anzi la moltiplica. Forse stasera il miglior sinonimo di "conversione" è "trasformazione", ma nel senso che al termine dà la fisica: nulla si crea e nulla si distrugge perché tutto si trasforma. Per questo una conversione non avviene mai tutta in una volta, non è un affare istantaneo. Nasce da un punto preciso, da un momento specifico, questo sì, ma non termina. Prosegue, continua. Forse questa non è un'esperienza comune a molti di noi. Se pensiamo alla nostra fede personale, per esempio - proprio la fede per la quale crediamo (sempre, ovviamente, che siamo credenti) - essa il più delle volte non è frutto di una conversione ma ci siamo nati dentro, ci è stata trasmessa in famiglia, ci viviamo immersi sin dalla nascita. Quindi un "evento" come quello accaduto ad Agostino forse proprio qui, dove siamo ora, potrebbe magari sembrarci distante, un'esperienza che non possiamo comprendere. In realtà, però, non è così. Spesso si parla della conversione come di un "cammino", vale a dire un percorso in cui la conversione, appunto, sarebbe la linea del traguardo: se fosse un romanzo, ecco che dopo una lunga serie di difficoltà, ostacoli e traversie il nostro eroe giungerebbe finalmente a questa sorta di "illuminazione" finale in cui tutto per lui (o per lei) diventa chiaro. Quella di cui ci parla Agostino invece - di cui ci parla lui in persona intendo, attraverso le opere che ci ha lasciato - a me sembra somigliare di più, sempre che ci abbia capito qualcosa, a un punto di partenza. Agostino sta cercando, e fa una grande fatica perché niente sembra appagarlo, poi però trova qualcosa, arriva in un luogo che forse geograficamente è Cassago ma che metaforicamente è il cuore di un messaggio ("Tolle et lege", prendi e leggi) e da lì riparte.

Qui però, secondo me, dobbiamo intenderci su un'altra cosa, preliminarmente. La fede di uno come Agostino, di uno che viveva in quel tempo, cioè tre secoli dopo Gesù, temo che noi non possiamo capire davvero cosa fosse. Voglio dire che noi "principianti" siamo portati a pensarla a partire dalla nostra esperienza, e allora possiamo immaginarci che Agostino fosse una specie di ateo, o di fedele di una qualche religione, che poi si converte al cristianesimo, ma non è così. Non solo perché Agostino, grazie a Monica, il nome di Gesù lo ha respirato anche lui, come noi, o come quasi tutti noi, fin da piccolo, ma perché è proprio il modo di pensare di quelle persone che non ci è possibile comprendere: diciassette secoli fa la gente (le genti) funzionavano in maniera immensamente diversa dalla nostra. Lo si diceva anche quando si parlava di Dante l'estate scorsa, magari chi c'era se lo ricorda. L'ambiente di queste persone così distanti da noi nel tempo era radicalmente diverso da quello in cui noi viviamo: oggi noi legittimamente dubitiamo (o possiamo, o potremmo, insomma abbiamo il diritto di dubitare) dell'esistenza di Dio, ma al tempo di Agostino un essere umano dubitava al limite della propria personale salvezza. Il che non è poco, ma di sicuro non è la stessa cosa.

Provo a fare un esempio: a Torcello, che è un isolotto vicino a Venezia, c'è un'antica Basilica dedicata a Maria Assunta in cui la parete all'ingresso (quindi quella che si vede uscendo dalla chiesa, non entrandoci) presenta uno dei più antichi reperti di mosaico veneto-bizantino, risale infatti alla fine dell'XI secolo, o al massimo al principio del XII. Rappresenta il giudizio universale. Mi spiace che non possiamo proiettarla, ma basta che col telefonino andiate su Google e scriviate "Giudizio universale Torcello": troverete l'immagine, enorme, tutta una parete. C'è il Cristo al centro, racchiuso in una "mandorla" bianca, e da lì parte un fiume infuocato che sfocia nel riquadro in cui è rappresentato l'Inferno. Ci sono dentro molte figure, tutte spaventose. Ci sono diavoli volanti dalla pelle livida, Satana che tiene Giuda in grembo, un mare di lava incandescente da cui sbucano i corpi e i volti dei dannati, alcuni dei quali indossano paramenti episcopali e corone imperiali. Poi sono rappresentati arti amputati, e crani dalle cui orbite vuote escono serpenti in un'immagine che mille anni dopo rivedremo nei film di Indiana Jones ... eppure non è su questo particolare che vorrei ci soffermassimo. Cioè non è in questa espressione seriale della dannazione, quasi da catena di montaggio, che c'è quello che ci interessa, perché quello che ci interessa sta al centro dell'Inferno rappresentato a Torcello, in una piccola immagine, che però è per l'appunto centrale. Non vediamo in essa tormenti o torture, non c'è nulla di particolarmente spaventoso perché ciò che mostra è più che spaventoso: è tenebra, è buio; le persone che stanno lì, infatti, non stanno soffrendo un dolore. Sono semplicemente perdute nel buio, smarrite, sole. Ecco, questo era il terrore che vivevano donne e uomini del tempo di Agostino: non il nostro timore che non vi sia nulla, che Dio non esista, che siano tutte fandonie e che con la morte tutto termini, ma il terrore di essere esclusi, di restare fuori. Perduti in eterno in quel vuoto dove "Sono lacrime e stridore di denti". Da questo occorre salvarsi, per sfuggire a questo bisogna convertirsi.

Papa Benedetto XVI ha spiegato questa cosa in modo molto chiaro, oltre che molto bello, in un'omelia che ha tenuto nel 2007, a Pavia, quando ha parlato proprio del "cammino" della conversione di Agostino. Di essa ha delineato diverse tappe (per l'esattezza tre) presentandola come una linea proseguita poi lungo tutta la vita del santo, fin sul suo letto di morte. Non un'improvvisa illuminazione quindi, ma un lungo e magari persino tortuoso percorso. Un percorso che ci riguarda tutti, anche noi che magari siamo fin dalla nascita dentro la fede: tutti abbiamo la possibilità, forse anche il dovere, ma soprattutto il diritto di poterci convertire. E questa cosa riguarda molti ambiti, la fede ma non solo la fede, il modo in cui guardiamo alla vita ma non solo il modo in cui a essa guardiamo, le azioni quotidiane che compiamo ma non solo le nostre azioni quotidiane. È, insomma, un grande mistero. Per penetrarlo vorrei proporvi di seguire tre vicende particolari che ci sono narrate in tre libri molto diversi tra loro, decisamente tre vecchi libri, il più recente dei quali ha pressappoco un'ottantina d'anni, figuratevi gli altri due. Sono le vicende di tre figure che sono una reale, una del tutto immaginaria, un'altra ancora reale, sì, ma trasfigurata nella leggenda.

La prima che incontriamo è quella di un santo. John Henry Newman è stato infatti proclamato santo da papa Francesco nel 2019, uno dei - come con bella espressione è stato detto - "Padri assenti" del Concilio Vaticano II, ovvero uno dei suoi grandi ispiratori anche se quando il Concilio si aprì, l'11 ottobre del 1962, John Newman era morto da settantadue anni e tre mesi esatti. Era nato nel 1801, in Inghilterra, ed era diventato prete anglicano. Un protestante convinto insomma, "antipapista" dicevano loro, cioè fieramente contrario all'idea della gerarchia cattolica che fa capo al Papa. Si sarebbe convertito al cattolicesimo a quarant'anni, dopo una lunghissima riflessione anche filosofica, anche teologica, che a rileggerla oggi sembrerebbe a tutti noi complicatissima e che vi risparmio. Una riflessione legata comunque all'idea di tradizione, di trasmissione del lascito degli Apostoli alla Chiesa lungo tutti i secoli che sono passati dalla prima predicazione ai giorni nostri. Tuttavia John Newman si convertì, fu ordinato prete nella Chiesa cattolica, e Papa Leone XIII lo avrebbe nominato persino Cardinale. Tutte cose su cui noi ora dobbiamo sorvolare per fermarci su di un aspetto soltanto. Che emerge da un libro in particolare, un romanzo: "Perdita e guadagno", del 1848. A quel tempo (lo racconta Newman stesso, nella prefazione) l'autore viveva a Roma e ricevette per posta un altro romanzo scritto da una certa Elizabeth Harris, che (semplifichiamo) si era convertita dal cattolicesimo alla religione anglicana e voleva forse convincere Newman - che aveva fatto il percorso inverso qualche anno prima - a tornare sui suoi passi. Lui non si scompose più di tanto, ma si sentì in dovere di "rispondere" a questa Harris scrivendo a propria volta un romanzo che spiegasse bene la sua posizione. A me piace tantissimo questa cosa, che centosettant'anni fa due persone che polemizzavano tra loro lo facevano scrivendo sopra le loro idee nientemeno che dei romanzi.

Oggi al limite scriveremmo un post su Facebook. Newman invece, a proposito della sua conversione scrisse "Perdita e guadagno", una cosetta di 420 pagine. Non abbiamo neanche il tempo di spiegare la trama, ma come è facile capire la questione di fondo è quella della separazione tra le Chiese: quella cattolica, quelle protestanti in generale e anglicana in particolare, persino quella ortodossa dell'oriente greco e slavo. E a un certo punto ai suoi personaggi fa dire questa cosa, che vi leggo: "Vuoi dire - chiede un tale Willis a in tale Bateman - che la Chiesa d'Inghilterra e la Chiesa di Roma sono una Chiesa sola?". "Certamente" è la risposta, che Bateman spiega così: "Lo è in ogni senso: sono una Chiesa sola anche se non hanno rapporti tra loro, anche se non c'è tra loro una unione visibile". Poi interviene un altro personaggio, Campbell, che precisa: "Un regno può essere diviso, può essere dilaniato dai partiti, dai dissensi, ma rimane pur sempre un regno solo. Può essere in uno stato di grave decadenza, tendere persino a dissolversi, ma la Chiesa scomparirà solo quando verrà la fine". Per concludere poi con le parole del Vangelo: "Ma quando il figlio dell'uomo verrà, troverà ancora la fede sulla terra?".

La conversione del Cardinale Newman, insomma, che avveniva in un tempo in cui lo scandalo della separazione tra le Chiese attanagliava i fedeli dell'una e dell'altra confessione al punto che tra loro si odiavano, lo ha portato a questa grande scoperta: che come possiamo cambiare il nostro modo di pensare, anche il modo in cui vediamo "gli altri", i presunti nemici, può cambiare. Che si può vedere anche nel nemico il fratello. È quindi, la sua, una conversione "della mente", del pensiero, molto diversa da un'altra forma di conversione che troviamo in un altro libro, celebre, del 1936, scritto da Georges Bernanos. Che era un cattolico tutto d'un pezzo, "reazionario" avrebbero detto ai suoi tempi, ma era anche uno che, da destra, non ebbe nessuna remora a condannare i fascismi del suo tempo quando capì cos'erano realmente. Nel "Diario" il protagonista è un giovane prete di una piccola e polverosa parrocchia dove tutti - per il suo aspetto, la sua giovinezza, la sua aria dimessa - si prendono gioco di lui, ma che è animato da una fede così profonda, così rigorosa, così amorevole che nemmeno lui si rende conto di quanto vicino a Dio sia lungo tutta la vicenda e che lo porterà a dire alla fine del libro quella frase bellissima: "Cosa importa? Tutto è grazia". A un certo punto il giovane prete si trova al cospetto della Contessa, un personaggio importante: una donna dura come granito, la cui fede si è avvizzita da quando ha perduto il figlio maschio, ancora bambino. Nel libro hanno un colloquio in cui all'inizio pare che la Contessa debba mangiarselo quel soldo di cacio d'un prete, e trascinarlo con sé nell'abisso. Proprio nell'abisso della sua disperazione, che è separazione da tutto: dall'amore per la sua famiglia, per il marito, per l'altra figlia che ancora vive, per Dio. E invece il "Curato di campagna", appena un ragazzo fresco di Seminario, con la sua fede semplice, schietta, della cui forza neppure lui - davvero - si rende conto, riesce ad afferrarla all'ultimo istante trascinandola lontano dal bordo del precipizio, e a salvarla.

Non tacerò, signora. I preti hanno taciuto troppo spesso, e vorrei che fosse stato solo per pietà. Ma siamo vili. Appena stabilito il principio, lasciamo dire. Cosa credete che sia l'inferno? Una specie di prigione perpetua, analoga alle vostre? L'inferno non è di questo mondo, perché anche il più miserabile degli uomini, anche se non crede più di amare, conserva ancora la possibilità d'amare. L'inferno, signora, è non amare più. Questo, alle vostre orecchie, suona come un'espressione familiare. Non amare più, per un uomo vivente, significa amare meno, o amare altro. Invece l'inferno è non comprendere nemmeno più il significato della parola amore, e vivere lo stesso! I dannati sono fermi, per sempre. L'inconcepibile disgrazia di quelle pietre roventi che furono uomini, è che non hanno più nulla da condividere". Sono pagine di una bellezza sconvolgente, che spiace non poter affrontare in profondità. E sono pagine di conversione, Bernanos lo fa dire alla Contessa in un biglietto che spedisce l'indomani: "Signor curato, non vi ritengo capace d'immaginare lo stato nel quale m'avete lasciata. Che dirvi? Il ricordo disperato d'un fanciullino mi teneva lontana da tutto, in una solitudine spaventosa, e mi sembra che un altro fanciullo m'abbia tratta da questa solitudine". Spero di non urtarvi, trattandovi da fanciullo. Lo siete. Che il buon Dio vi conservi tale, per sempre! Mi chiedo che cosa avete fatto; e come avete potuto farlo. O piuttosto, non me lo chiedo più. Tutto è bene. Non credevo possibile la rassegnazione. E non è la rassegnazione che è venuta, infatti. Non è nella mia natura; e il mio presentimento in proposito non m'ingannava. Non sono rassegnata, sono felice. Non desidero nulla.

E ora corriamo all'ultima conversione, laica questa volta. Se quella del Cardinale Newman aveva a che fare con la mente, se quella della Contessa era del cuore, ora ce n'è una che è invece delle mani, del corpo intero. Proprio il nostro corpo di carne, anche quello di un non credente. Sta in un racconto di Indro Montanelli pubblicato per la prima volta sulla rivista "Mercurio" nel dicembre 1945. Titolo: "Pace all'anima sua". È una storia che forse conosciamo meglio attraverso il film che ne trasse Roberto Rossellini nel 1959, "Il Generale Della Rovere" Leone d'oro a Venezia l'anno seguente, ex-aequo con "La Grande Guerra" di Monicelli. Il protagonista, era interpretato da Vittorio De Sica, ed era un farabutto, un truffatore. Un cialtrone per dirla tutta, che fingendo di avere contatti con gli occupanti tedeschi durante l'occupazione nazifascista di Milano, deruba i parenti di chi è stato incarcerato come membro della Resistenza. Emanuele Bardone, si chiama. I tedeschi gli propongono di sostituirsi a un Generale - Fortebraccio Della Rovere, fedele al Re, che invece hanno ucciso e che doveva guidare la Resistenza al nord - così che in questo modo Bardone possa scoprire (e tradire) la rete antifascista milanese: ne riceverà in cambio un passaporto per la Svizzera e una notevole somma di denaro. E Bardone accetta. Solo che in carcere, a San Vittore, circondato da chi davvero eroicamente resiste, quest'uomo cambia, muta, in altre parole "si converte". E rifiuta di tradire quelli che adesso sono i suoi compagni, anche se loro sono realmente eroici combattenti che resistono al tiranno, e lui è e resta il cialtrone che è sempre stato.

Una notte, mentre cadono le bombe anche su San Vittore, non sapendo come riportare la calma tra i reclusi, i tedeschi lo obbligano a parlare ai prigionieri, che sono terrorizzati all'idea di fare la fine del topo nelle loro celle se una bomba colpirà il carcere. E il truffatore Bardone trova in sé il coraggio e la forza per interpretarlo sul serio, il Generale. Scalzo, spettinato, con la camicia fuori dei pantaloni, il generale si piantò in mezzo al raggio con le braccia alzate. "Signori!" gridò. "Signori! Calma! Un po' di calma ve ne prego! Signori! Italiani!". E alla parola "italiani" le grida, che avevano già cominciato a placarsi, cessarono del tutto. "Italiani! Compagni! Date un esempio a chi pretende di impartirci lezioni di coraggio! Dimostrate quello che siete! Quello che siamo! Noi non temiamo queste bombe: ognuna di esse avvicina l'ora del nostro riscatto! Gridate con me, gridiamo insieme! Viva l'Italia! Viva la libertà!". E tutti si calmano, anzi tutti gridano "Viva l'Italia! Viva la libertà!", e lui torna nella sua cella a petto in fuori, con una calma sovrumana, che perde mettendosi a tremare non appena la porta si chiude. Pochi sanno che questa è una storia vera, che quel cialtrone e truffatore esistette davvero e davvero si comportò così, convertendosi al coraggio mentre era stato "scritturato" come traditore. Si chiamava Giovanni Bertoni in realtà, e il suo funerale fu celebrato dal Cardinale Schuster in Duomo, a Milano, insieme a quello degli altri sessantasette martiri della libertà fucilati a Fossoli il 12 luglio 1944. Certo, questi sono solo tre esempi, esempi letterari oltretutto, rapidissimi per quel che possono valere, ma sono anche tre conversioni, di gente che cambia non solo la propria esistenza ma anche quella degli altri, conversioni che durano una vita intera, e che prolungano il loro effetto anche oltre, sino a noi.

Quella di un inglese protestante che diviene Cardinale cattolico, quella di una Contessa prossima al suicidio e che ritrova la pace, quella di un farabutto capace di diventare eroe. Accanto ad Agostino la loro luce è fioca, le loro vicende tremolano come fiammelle di tre candele al confronto di un potente faro elettrico, ma anche le fiammelle fanno luce, e se capita che nella vita ci sia solo quella luce lì, giallognola e fioca, comunque anche quella illumina, e non ci lascia completamente al buio. Molto prima di convertirsi al cattolicesimo, John Henry Newman fece con alcuni amici un viaggio in Italia; quando gli altri fecero ritorno in patria lui proseguì per la Sicilia, e a Enna si ammalò gravemente. Era il 1833. Qui compose una preghiera, famosa ancora oggi, che fu forse il primo passo del lungo cammino che sarebbe venuto: forse mostra il senso finale di ogni conversione. Ve ne leggo qualche verso e qui ci salutiamo, con parole che sono alte e sono buone per noi tutti. S'intitola "Lead, Kindly Light", "Guidami, Luce gentile", e fa così: "Attraverso il buio che mi circonda, / sii Tu a condurmi! / La notte è oscura e sono lontano da casa, / sii Tu a condurmi! / Sostieni i miei piedi vacillanti: / io non chiedo di vedere / ciò che mi attende all'orizzonte, / un passo solo mi sarà sufficiente. / La tua forza mi ha benedetto, / e certo mi condurrà ancora, / landa dopo landa, / palude dopo palude, / oltre rupi e torrenti, / finché la notte scemerà".

Che possa valere anche per noi. Grazie.