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Agostino a Cassiciaco attorniato da amici e familiari
UNA NOTTE AL MUSEO
23 settembre 2006
A Cassago la serata dedicata ai Musei aperti in tutta Lombardia ha proposto una rivisitazione dei passi agostiniani che trattano dell'amicizia e della vita di comunità in relazione e commemorazione dei 750 anni della fondazione dell'Ordine Agostiniano (1256-2006) con una rappresentazione scenica musicata e commentata dal titolo:
UN CUORE SOLO E UN'ANIMA SOLA
testo della serata
Un cordiale benvenuto ai presenti in questa chiesa.
La manifestazione di questa sera, che è una rappresentazione scenica dal titolo UN CUORE SOLO E UN'ANIMA SOLA, è stata organizzata dalla Associazione S. Agostino con la collaborazione della Parrocchia di Cassago e dell'Istituto Comprensivo di Cassago e si inserisce nel circuito della iniziativa a livello regionale denominata UNA NOTTE AL MUSEO.
Giunta quest'anno alla sua seconda edizione, questa significativa manifestazione vuole contribuire alla conoscenza dei tesori d'arte e di storia del patrimonio artistico e museale della nostra regione lombarda.
Questa sera proporremo dei brani scelti agostiniani, commentati, con musiche e immagini, che trattano il tema dell'amicizia e della vita di comunità. La scelta di questo tema vuole anche commemorare la ricorrenza dei 750 anni della fondazione dell'Ordine Agostinano (1256-2006). Tra le iniziative che celebreranno questo avvenimento vogliamo ricordare la fiaccolata del Dialogo fra le due sponde del Mediterraneo ovvero L'uomo Agostino ponte fra le culture che si svolgerà dal 23 ottobre al 13 novembre 2006: partendo da Tagaste la fiaccola arriverà fino a Pavia.
A Cassago passerà l'8-9 novembre.
Chi vuole potrà visitare in serata la raccolta Museale della Associazione S. Agostino in piazza don Giovanni Motta di fianco alla chiesa. Siete inoltre invitati a compilare il questionario sull'iniziativa proposto dalla Regione Lombardia che trovate all'entrata.
[Togli dal cuore la carità ed esso conserverà l'odio e non saprà perdonare. Là ci sia la carità ed essa sicuramente perdona, perché non si chiude in se stessa. (In 1 Io. Ep. 7, 1)]
INTRODUZIONE
Quando, sul finire del IV secolo d.C., Agostino giunge a Cassiciacum, per prepararsi per il battesimo e condurre vita di meditazione, non è da solo - lo accompagnano alcuni parenti e studenti con cui condivide un fortissimo vincolo di amicizia. Lo stesso soggiorno a Cassiciaco è stato possibile grazie all'affetto di un amico, Verecondo, che, pur non potendo unirsi ad Agostino e agli altri, ha messo loro a disposizione una sua villa di campagna, dove potersi ritirare lontano dal mondo. Tutto quanto il soggiorno di Cassiciaco è trascorso all'insegna dell'amicizia: i dialoghi, tramite i quali gli amici si istruiscono ed innalzano la loro sapienza, sono conversazioni amichevoli, momenti di calore e stima ed affetti condivisi; i libri, che da queste discussioni nascono, che riportano queste discussioni, sono spesso dedicati ad amici assenti, e gli assenti stessi vengono ricordati con affetto e rimpianto durante le conversazioni.
Tutto il soggiorno di Agostino a Cassiciaco è segnato dall'amicizia - ma, in realtà, per tutta la sua vita, dall'infanzia alla tarda vecchiaia, Agostino sentì sempre, vivissimo, il senso ed il valore dell'amicizia. Il tempo trascorso tra amici è l'unico che sia davvero piacevole, e non vi è nulla, nessuna verità conquistata, nessuna gioia goduta, che non veda moltiplicata la propria intensità, se condiviso tra amici.
Questa sera vorremmo proprio ricordare quale significato avesse l'amicizia per Agostino - e vogliamo farlo, proprio restando tra amici, ed ascoltando la voce di Agostino dare significato ad uno degli affetti più comuni e più grandi. E' una voce ancora viva attraverso le sue opere, anche oggi, dopo più di milleseicento anni.
1)
In quegli anni, all'inizio del mio insegnamento nella città natale, mi ero fatto un amico, che la comunanza dei gusti mi rendeva assai caro. Mio coetaneo, nel fiore dell'adolescenza come me, con me era cresciuto da ragazzo, insieme eravamo andati a scuola e insieme avevamo giocato; però prima di allora non era stato un mio amico, sebbene neppure allora lo fosse, secondo la vera amicizia. Infatti non c'è vera amicizia, se non quando l'annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell'amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato. Ma quanto era soave, maturata com'era al calore di gusti affini! Io lo avevo anche traviato dalla vera fede, sebbene, adolescente, non la professasse con schiettezza e convinzione, verso le funeste fandonie della superstizione, che erano causa delle lacrime versate per me da mia madre. Con me ormai la mente del giovane errava, e il mio cuore non poteva fare a meno di lui. Quando [...] eccoti strapparlo a questa vita dopo un anno appena che mi era amico, a me dolce più di tutte le dolcezze della mia vita di allora. Chi può da solo enumerare i tuoi vanti, che in sé solo ha conosciuto? Che facesti tu allora, Dio mio? Imperscrutabile abisso delle tue decisioni! Tormentato dalle febbri egli giacque a lungo incosciente nel sudore della morte. Poiché si disperava di salvarlo, fu battezzato senza che ne avesse sentore. Io non mi preoccupai della cosa nella presunzione che il suo spirito avrebbe mantenuto le idee apprese da me, anziché accettare un'azione operata sul corpo di un incosciente. La realtà invece era ben diversa. Infatti migliorò e uscì di pericolo; e non appena potei parlargli, e fu molto presto, non appena poté parlare anch'egli, poiché non lo lasciavo mai, tanto eravamo legati l'uno all'altro, tentai di ridicolizzare ai suoi occhi, supponendo che avrebbe riso egli pure con me, il battesimo che aveva ricevuto mentre era del tutto assente col pensiero e i sensi, ma ormai sapeva di aver ricevuto. Egli invece mi guardò inorridito, come si guarda un nemico, e mi avvertì con straordinaria e subitanea franchezza che, se volevo essere suo amico, avrei dovuto smettere di parlare in quel modo con lui. Sbalordito e sconvolto, rinviai a più tardi tutte le mie reazioni, in attesa che prima si ristabilisse e acquistasse le forze convenienti per poter trattare con lui a mio modo. Sennonché fu strappato alla mia demenza per essere presso di te serbato alla mia consolazione. Pochi giorni dopo, in mia assenza, è assalito nuovamente dalle febbri e spira. (Confessioni, IV, 4, 7-8)
7. 11. Così conversavamo gemendo fra noi amici, accomunati dalla medesima vita. Ma più che con gli altri e con maggiore confidenza discorrevo di queste cose con Alipio e Nebridio [...]
10. 17. Anche Nebridio aveva lasciato il paese natio, nei pressi di Cartagine, e poi Cartagine stessa, ove lo s'incontrava sovente; aveva lasciato la splendida tenuta del padre, lasciata la casa e la madre, non disposta a seguirlo, per venire a Milano con l'unico intento di vivere insieme a me nella ricerca ardentissima della verità e della sapienza. Investigatore appassionato della felicità umana, scrutatore acutissimo dei più difficili problemi, come me anelava e come me oscillava. Erano, le nostre, le bocche di tre affamati che si ispiravano a vicenda la propria miseria, rivolte verso di te, in attesa che dessi loro il cibo nel tempo opportuno. Nell'amarezza che la tua misericordia faceva sempre seguire alle nostre attività mondane, cercavamo di distinguere lo scopo delle nostre sofferenze; ma intorno a noi si levavano le tenebre. Rivolgendoci allora indietro, ci domandavamo tra i gemiti: "Per quanto tempo dureremo in questo stato?", e ripetevamo spesso la domanda, ma senza abbandonare per ciò quella vita, mancandoci ogni luce di certezza a cui aggrapparci dopo averla abbandonata. (Confessioni VI, 7, 11-10, 17, passim)
Agostino ci racconta di due suoi amici, con cui ha condiviso momenti importanti della sua vita - ma si tratta di due amicizie molto differenti l'una dall'altra, tanto che Agostino definirà l'una "amicizia vera", l'altra "amicizia falsa".
Guardiamo i due casi con attenzione: il primo amico, "lamico falso", è legato ad Agostino da profondo, reciproco affetto - un affetto basato, però, sulla comunanza di gusti ed interessi - gusti passeggeri, giochi, passatempi, scherzi di poco peso, belli per il fatto di essere condivisi; errori filosofici e teoretici, invece, di ben diversa portata, e legati all'adesione alle falsità misteriosofiche del manicheismo. Questo legame, però, non è vera amicizia: sorge infatti da cause di unione passeggere, leggere e di poco conto, non è cementata da legame dell'amore vero, quel legame creato dallo Spirito Santo, che è amore di Dio tra gli uomini.
L'inconsistenza di quest'amicizia si mostra presto: quando l'amico si ammala e riceve il battesimo, ne è talmente mutato da voler trasformare il legame che lo unisce ad Agostino in una relazione basata sull'onestà - l'affetto che pensa più a fare il bene di chi si ama, piuttosto che compiacerlo e lasciarlo cadere nel male. Di fronte a questo cambiamento, il giovane figlio di Monica si ritrae, indispettito e superficiale: pensa sia solo un postumo della malattia, passerà presto e, quando questo avverrà, il compagno di avventure e scherzi e giochi tornerà uguale a prima. Non è così, però, e tanto il suo errore, prima, e la morte dell'amico, poi, fanno sì che il legame si spezzi.
Diversa è il sodalizio che il giovane Agostino intreccia con Alipio e Nebridio: non più comunanza di gusti passeggeri, ma un legame nato nella ed alimentata dalla sete di Verità. I tre non inseguono il divertimento, non si smarriscono nella distrazione. Sono, invece, alla ricerca inesausta della Sapienza - ed in questo cammino costellato di errori si sostengono a vicenda, condividono il dolore e le asperità e le asprezze. Ed è proprio qui, in questo legame vero, gustato negli anni della prima maturità, che Agostino coglie il significato dell'amicizia.
2)
2. 4. Ma anche in questa vita i buoni arrecano, a quanto pare, non piccoli conforti. Se infatti ci angustiasse la povertà, se ci addolorasse il lutto, ci rendesse inquieti un malanno fisico, ci rattristasse l'esilio, ci tormentasse qualche altra calamità, ma ci fossero vicine delle persone buone che sapessero non solo godere con quelli che godono, ma anche piangere con quelli che piangono, che sapessero rivolgere parole di sollievo e conversare amabilmente, allora verrebbero lenite in grandissima parte le amarezze, alleviati gli affanni, superate le avversità. Ma questo effetto è prodotto in essi e per mezzo di essi da Colui che li rese buoni col suo Spirito. Nel caso invece che sovrabbondassero le ricchezze, che non ci capitasse nessuna perdita di figli o del coniuge, che fossimo sempre sani di corpo, che abitassimo nella patria preservata da sciagure, ma convivessero con noi individui perversi fra i quali non ci fosse nessuno di cui fidarci e da cui non dovessimo temere e sopportare inganni, frodi, ire, discordie, insidie, non è forse vero che tutti questi beni diventerebbero amari e insopportabili e che nessuna gioia o dolcezza proveremmo in essi? Così in tutte le cose umane nulla è caro all'uomo senza un amico. Ma quanti se ne trovano di così fedeli, da poterci fidare con sicurezza riguardo all'animo e alla condotta in questa vita? Nessuno conosce un altro come conosce sé stesso: eppure nessuno è tanto noto nemmeno a sé stesso da poter essere sicuro della propria condotta del giorno dopo. Perciò, benché molti si facciano conoscere dai loro frutti e alcuni arrechino veramente letizia al prossimo col vivere bene, altri afflizione col vivere male, tuttavia, a causa dell'ignoranza e dell'incertezza degli animi umani, molto giustamente l'Apostolo ci ammonisce a non condannare alcuno prima del tempo, finché non venga il Signore e illumini i segreti delle tenebre e sveli i pensieri del cuore e allora ognuno riceverà lode da Dio.
(Lett. 130)
Scrisse Agostino, commentando la prima epistola di Giovanni, che il mondo, in cui l'uomo si scopre gettato, è come il deserto dove vagarono gli ebrei in cerca della Terra Promessa - e l'uomo è come un pellegrino, un viaggiatore all'interno di questo deserto. Deserto, però, è quel luogo arido dove non solo non vi è vita, ma dove la vita neppure può essere/fiorire/crescere; è un luogo di infinita solitudine, di tristezza, di desolazione. In una simile vita, come lo stesso Agostino aveva potuto sperimentare, il pellegrino deve affrontare infinite difficoltà, innumerevoli angustie, e la solitudine del silenzio e dell'incomprensione.
Di contro, nella vita la vera amicizia offre condivisione - l'amico diventa qualcuno che condivide con noi il cammino e tutte le sue difficoltà, che condivide le gioie ed i dolori, ma anche le aspirazioni ed i desideri. Cosa più importante, l'amicizia dona anche conforto e sollievo, nati dalla condivisione, o dall'amore, che gli amici provano l'uno per l'altro e che li spinge a soccorrersi e ad aiutarsi a vicenda, a consolarsi e ad incoraggiarsi reciprocamente nelle difficoltà.
In questo modo, l'amicizia rende leggero il pellegrinaggio attraverso il deserto dell'esistenza e rende piacevole, persino bella la vita. Rendendo leggera, persino bella l'esistenza, l'amicizia consente all'uomo di amare la vita. Nei suoi momenti più bui, più disperati, Agostino non è mai solo. Anche quando rinuncia alle sue prospettive di carriera, anche quando si sente in bilico tra il condurre un'esistenza facile e l'abbracciare un ideale di vita duro, filosofico e religioso insieme, cerca sempre il conforto e la compagnia degli amici. A Cassiciaco, dove, malato, sfinito, si ritira prima del battesimo, il filosofo di Tagaste si fa accompagnare da un gruppo di amici, con cui già da tempo progettava di andare da qualche parte e godere, tutti insieme, dei piccoli piaceri dell'amicizia.
La ricerca filosofica e la riflessione teologica, allo stesso modo, sono ricerca da condurre tra gli amici, nel dialogo che stringe e rinsalda i cuori. A Cassiciaco è la villa di un amico, il dono di un amico, l'espressione dell'amicizia che permette ad Agostino di trovare un luogo dove riposare, dove guarire. Le stanze della villa di Verecondo, i bagni termali dove gli amici, d'inverno, si chiudono per stare al caldo, ma anche la campagna, con le sue montagne ed i piccoli episodi di vita naturale segnano gli spazi dell'amicizia, acquistano significato e valore proprio grazie all'amicizia che tramite loro si esprime e prende vita. Nelle passeggiate come nelle stanze, all'aperto come al chiuso, durante le cene in comune, raccolti e distesi, lontani dal mondo e rinfrancati dall'affetto che gli uni donano agli altri, che gli uni ricevono dagli altri, gli amici trovano il loro piccolo spazio di felicità umana. Nei dialoghi che si svolgono in questi luoghi, nel confronto e persino nel contrasto delle opinioni, l'amicizia prende vita e corpo e diventa comune avventura del pensiero, comune scoperta della Verità che va oltre le parole.
Riconoscere un vero amico, però, non è affatto semplice, perché quel che un uomo pensa nel profondo non è mai noto agli altri, e spesso, troppo spesso non è noto nemmeno a lui. Molto prima di Freud, Agostino riconosce che buona parte delle azioni che l'uomo compie nascono da ragioni, motivazioni o da spinte che lui stesso non conosce. A volte, poi, quando le azioni di un individuo sembrano avere una loro causa specifica, quando sembrano essere state originate da una solida riflessione razionale, dopo un certo tempo l'introspezione rivela che ben altra era l'intenzione, ben altra la ragione, e spesso quel che sembrava razionale e volontario non lo era affatto nella sua radice. L'uomo, allora, è un mistero persino per se stesso - quanto più deve esserlo per gli altri uomini. Di certo non è possibile giudicare un uomo basandosi solo sulle sue parole: troppo spesso gli uomini mentono, ed ancora più spesso una persona può fingersi amica di un'altra per perseguire i propri obiettivi. Se delle parole si può dubitare, però, anche le azioni non promettono bene. Così, per esempio, per quanto si sforzi di comprendere quel che gli altri pensano e provano osservandone il comportamento, nessun individuo può mai essere certo delle sue inferenze, delle sue deduzioni: ogni gesto, ogni comportamento può indicare uno stato d'animo, una disposizione psicologica particolare, ma può anche essere originato da altro, né esiste alcun legame diretto, alcun vincolo necessario che permetta all'uomo di poter indovinare che cosa passa nella mente del suo prossimo partendo dalle sue azioni. Allo stesso modo, le azioni passate di un uomo non possono definirne la personalità od il sentire - perché nessuna delle azioni può essere attribuita con certezza ad una disposizione interiore, ma anche perché il fatto che in passato questa attribuzione abbia potuto essere fatta non garantisce che il futuro si conservi immobile - la vita, l'esistenza sono in costante movimento, in costante mutamento. Se l'uomo è tanto ignorante di sé e degli altri, come può riconoscere, allora, un amico? E come può fidarsi tanto da donare la propria amicizia ad un altro uomo?
3)
Dei beni di questo mondo alcuni sono superflui, altri necessari. Da questo momento prestatemi attenzione così che ci sia concesso parlare un poco e distinguere, se possibile, quali dei beni di questo mondo siano superflui e quali necessari, in modo che possiate rendervi conto che non si deve rinnegare Cristo a motivo delle cose superflue e neppure delle cose necessarie. Chi riesce a enumerare le cose superflue di questo mondo? A volerle rievocare, indugeremo a lungo. Possiamo quindi citare quelle necessarie, ogni altra cosa esistente sarà compresa nel superfluo. In questo mondo solo due cose sono necessarie: la salute e l'amico; queste le cose di grande importanza, quelle che non dobbiamo disprezzare. La salute e l'amico sono beni propri della natura umana. Dio ha creato l'uomo per l'esistenza e la vita: ecco la salute; ma, perché non fosse solo, ecco l'esigenza dell'amicizia. L'amicizia, quindi, ha il suo principio nel coniuge e nei figli e si apre agli altri uomini. Ma considerando che noi abbiamo avuto soltanto un padre ed una madre, chi sarà l'altro uomo? Ogni uomo è prossimo ad ogni uomo. Rivolgiti alla natura. È uno sconosciuto? è un uomo. È un avversario? è un uomo. È un nemico? è un uomo. È un amico? resti amico. È un avversario? diventi amico. (Discorsi 299/D, §1)
L'amicizia è, lo abbiamo visto, un bene necessario, di cui l'uomo, per poter sopportare l'esistenza, non può fare a meno. Anzi, già al momento della creazione, fin dalla sua origine e per la sua propria natura l'uomo è già parte di un tutto - già inserito nel vincolo dell'amicizia. Come narra la Genesi, infatti, l'uomo è stato creato duplice, o, detto altrimenti, all'uomo è stata data una compagna, perché si sostenessero l'un l'altro nel loro cammino, nella loro esistenza. L'amicizia, allora, è qualcosa che è proprio della natura dell'uomo, per come è stata creata da Dio. Non solo, ma, commenta Agostino, tutti gli uomini discendono da un unico uomo, Adamo, perché così, essendo tutti "parenti", si sentissero maggiormente stretti gli uni agli altri nella società - laddove però la parola latina societas significa tanto "società" quanto "amicizia", come socius significa "amico".
Per poter conoscere l'amicizia, dunque, l'uomo deve guardare alla propria natura - e sarà così amico di tutti gli uomini. Aggettivi come "sconosciuto", "avversario", o nemico" vengono dopo l'uomo, sono delle aggiunte umane alla natura di uomo, che è invece creata da Dio - e allora ritornando alla propria natura di uomini, in tutti gli uomini si potranno avere amici. Ma tutto questo è sufficiente?
4)
2. A questi due beni necessari in questo mondo, la salute e l'amico, viene ad accompagnarsi la straniera Sapienza. Trova che tutti sono stolti, immersi nell'errore, attaccatissimi alle cose superflue, amanti dei beni temporali, ignari dei beni eterni. Questa Sapienza non entrò in amicizia con gli stolti. Perciò, non essendo amica degli stolti, anzi ben lontana da loro, prese su di sé il nostro prossimo e si fece prossima a noi. Questo è il mistero di Cristo. [...] La Sapienza, dunque, prese su di sé l'uomo e si fece prossima all'uomo secondo ciò per cui l'uomo le era prossimo. Ed ecco, poiché la Sapienza stessa disse all'uomo: Il timore di Dio, questo è sapienza - spetta in verità alla sapienza dell'uomo il culto di Dio, ed è questo il timore di Dio - ci vennero dati due precetti: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. L'altro: Amerai il prossimo tuo come te stesso. E chi l'udì, chiese: E chi è il mio prossimo? Pensava che il Signore avrebbe detto: tuo padre e tua madre, tua moglie, i tuoi figli, i tuoi fratelli, le tue sorelle. Egli, che voleva far valere ogni uomo quale prossimo per ogni uomo, non così rispose, ma prese a raccontare. Disse: Un uomo. Chi? Un tale, uomo tuttavia. Un uomo. Di che uomo si tratta, allora? Di un tale, però uomo. Discendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti. Sono chiamati briganti anche coloro che ci perseguitano. Ferito, spogliato, abbandonato mezzo morto sulla via, non destò l'attenzione di passanti, un sacerdote, un levita; la sua vista colpì, invece, un Samaritano di passaggio. Si accostò a lui sollevandolo sulla cavalcatura con premurosa cautela, lo condusse in una locanda; comandò di averne cura, pagò le spese. A colui che aveva posto la domanda vien chiesto chi fosse stato prossimo a costui mezzo morto. A suo riguardo due uomini si erano mostrati indifferenti, anzi, proprio essi, i prossimi, l'avevano trascurato, lo straniero si era fatto vicino. Infatti l'interlocutore oriundo di Gerusalemme considerava quali prossimi i sacerdoti e i leviti, stranieri i Samaritani. I prossimi passarono oltre e lo straniero si fece prossimo. Chi era stato allora prossimo a costui? Rispondi tu che hai posto la domanda col dire: Chi è il mio prossimo? Rispondi ormai secondo verità. A interrogare era stata la superbia, sia la natura a rispondere. Che dice dunque? Ritengo sia stato colui che ne ha avuto compassione. E il Signore a lui: Va' e anche tu fa' lo stesso.
3. Riprendiamo l'argomento. Abbiamo ora presenti tre cose: la salute, l'amico, la sapienza. Ma la salute, come pure l'amico, sono di questo mondo; d'altro luogo è la sapienza. [...] Di che avere per la salute? Quando per la salute abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo. E che cosa per l'amico? Ti si poteva dire altro di più che amerai il prossimo tuo come te stesso? Quindi, abbi tu salute e l'abbia pure il tuo amico. Perché l'amico abbia di che coprirsi: Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha. Perché l'amico abbia di che nutrirsi: E chi ha da mangiare faccia altrettanto. Tu che vieni nutrito, nutri, tu che sei vestito, vesti. Tali cose riguardano questo mondo; d'altro luogo invece quel che è della sapienza: impari a conoscerla e ne partecipi la conoscenza. (Discorsi, 299/D, 1-2)
La voce della Sapienza divina dona allora il segreto dell'amicizia: l'amore. Alla base dell'amicizia ci deve essere sempre l'amore reciproco, il dono dell'amore, lo scambio dell'amore. L'amicizia diventa allora qualcosa che va oltre le insondabili profondità dell'individuo, perché si radica nel dono, nell'atto stesso con cui l'individuo si dona ad un altro. Il dono, come nella parabola del buon Samaritano spiegata da Agostino, va oltre l'interesse personale, ma oltrepassa anche l'agire senza interesse - perché il dono è dono in quanto tale, oltre ogni intenzione, puro e semplice aprirsi all'altro per donarsi all'altro, secondo il suo bisogno. In questo sta la radice dell'amore, che, per Agostino, è sempre relazione con l'altro, e radice e motore di ogni relazione. Nel dono si radica la condivisione che l'amicizia reca con sé, condivisione esemplificata dal cibo e dall'abito, a dire ciò che toglie il dolore della fame, e ciò che toglie il dolore del freddo e protegge dalle dure intemperie. E nel dono di sé all'altro, al prossimo si radica anche il dialogo, che è sempre scambio ed apertura all'altro e condivisione con l'altro.
Così, quando discutono nella villa di Cassiciaco, gli amici stretti intorno al maestro di Ippona si prefiggono lo scopo di preparare e condividere, proprio attraverso il dialogo, un cibo spirituale che li aiuti nel loro peregrinare in questa esistenza. Allo stesso modo, Agostino passerà tutta la vita a donare, a discutere con uomini che gli saranno molto più lontani, più "estranei" di chi si sarebbe considerato, a buon diritto, suo amico - e questi altri potranno essere dei semplici fedeli, ma anche suoi avversari, e persino suoi superiori. Dopo una vita di studi, di riflessioni, di meditazioni, egli ha acquisito una certa Sapienza - ma proprio della Sapienza è l'essere condivisa, e chi ha sapienza deve, proprio perché l'ha, farne partecipe il suo prossimo, il suo amico, l'uomo altro da sé, chiunque gli chieda, ed anche chi non gli chieda. Ad ognuno dei suoi interlocutori, lungo tutto il corso della sua vita, il retore di Tagaste, giovane catecumeno o anziano vescovo di Ippona, dona non per interesse, o perché spinto dal comandamento, ma per virtù ed in vista di quell'amicizia fondata sulla natura umana che, come dono e in quanto amore, è libera e fine a se stessa.
5)
1. 1. È vero che senz'altro ti conoscevo già per la risonanza della tua fama celebratissima e avevo già appreso da testimoni molto numerosi e molto attendibili di quanta grazia divina tu fossi ricolmo, o beatissimo e venerando papa Bonifacio. Ma ora, dopo che ti ha visto anche fisicamente di persona il mio fratello Alipio; dopo che, accolto da te con estrema gentilezza e cordialità, ha scambiato con te conversazioni dettate da reciproca stima; dopo che, convivendo con te in comunione di grande affetto, anche se per piccolo tratto di tempo, ha versato nel tuo animo sé e me insieme e ha riportato te e me nell'animo suo, tanto maggiore si è fatta in me la conoscenza della tua Santità quanto più certa l'amicizia. Tu infatti, rifuggendo dal pensare altamente di te, per quanto più alto sia il posto da cui presiedi, non disdegni d'essere amico degli umili e di rendere amore a coloro che ti danno amore. Cos'altro è appunto l'amicizia, che non trae il nome se non dall'amore e non è fedele se non nel Cristo, nel quale soltanto può essere anche eterna e felice? (Contro le due lettere dei pelagiani, 1, 1).
Agostino aveva spesso sentito parlare del papa Bonifacio, e per la sua fama se ne era fatto una certa idea - ma non l'aveva mai incontrato. E' invece un amico del vescovo di Ippona che, ad un certo punto, incontrerà il papa - e nel dialogo tra i due sorge e si cementa l'amicizia, come nel dialogo tra Agostino e Alipio si radica l'amicizia. Vero amore, scambio e dono oltre l'interesse, l'amicizia vive nel dialogo e si comunica attraverso il dialogo, ma lo stesso dialogo è scambio ed apertura verso l'altro, spesso con lo scopo di giungere insieme alla Verità. A sua volta, però, la Verità che trascende ogni umana possibilità è Dio, ed amare e ricercare la Verità significa amare e ricercare Dio. La ricerca di Dio, il desiderio della Verità che è amore della Verità si pone allora alla base del dialogo, scambio ed amicizia - ma allora fondamento dell'amicizia è la Verità amata in comune, e vera amicizia è quella che pone alla propria base il comune amore per la Verità. In questo modo, Agostino ha sottolineato uno spazio dell'amicizia che si costruisce tra la condivisione e l'unità di intenti, da un lato, e la profonda alterità, dall'altro. Gli amici, a Milano come a Cassiciaco, a Tagaste come poi ad Ippona, cercano insieme una Verità amata insieme, e nella comunità di intenti, nell'amore reciproco, nel donarsi gli uni agli altri trovano la loro unità - ma sono anche individui separati, ciascuno con la propria storia, con il proprio passato. La ricerca, condotta nell'amicizia, è ricerca comune e comunione di spiriti che muove tuttavia dalle differenze individuali. Diventa allora importante, nel dialogo, l'ascolto del prossimo, un ascolto che sia libero da pregiudizi e condanne precoci - e così si mostra in Agostino l'importanza dell'alterità. Poiché l'amico non è mai del tutto conoscibile, e resta anzi un grande mistero, egli deve essere sempre considerato "altro", e come altro dal proprio amico va ascoltato. Il dialogo, al cui interno si anima l'amicizia, è allora un dialogo in cui alterità ed uguaglianza si incontrano.
Non poteva invece essere piena amicizia quella che Agostino ragazzo aveva con l'amico menzionato, ma non nominato nelle Confessioni, perché non aveva a proprio fondamento la Verità e l'amore per la Verità, ma solo la reciproca consolazione, solo la condivisione degli affetti. Se qualcosa aveva dell'amicizia vera proprio in quella condivisione, nell'essere due in uno ed uno in due, le mancava però la coscienza del proprio fondamento, e la forza che viene da quella coscienza e da questo fondamento.
Come cristiano, Agostino non poteva non ricordare che sommo esempio di amicizia e di amore era il sacrificio con cui Dio dona se stesso, nella Persona del proprio Figlio, all'uomo, perché ne condivida le sofferenze e, da questa condivisione, ottenga Sapienza e redenzione. Tutta la storia della salvezza può diventare, allora, storia di amicizia, di libero dono di sé. Nella persona del Cristo, uomo eppure Dio, il cristiano poteva cogliere un riflesso dell'infinito amore divino incarnato nell'amicizia umana, nell'amore umano, e tutta la vita di Gesù, fino alla sua morte e risurrezione, diventava paradigma di amicizia.
L'amicizia, dunque, può essere vera solo in Cristo, perché trae il proprio nome, e quindi il proprio essere, dall'Amore di Dio, che è Dio, così come Dio è amore e Cristo è espressione, sulla terra, di quest'amore divino.
6)
2. 4. Se questa fede fosse eliminata dalle vicende umane, chi non si avvede di quanto scompiglio si determinerebbe in esse e di quale orrenda confusione ne seguirebbe? Se non devo credere a ciò che non vedo, chi infatti sarà riamato da un altro, dal momento che in se stesso l'amore è invisibile ? Pertanto finirà del tutto l'amicizia, perché essa non consiste in altro che nell'amore reciproco. Quale amore infatti si potrà ricevere da un altro, se non si crede affatto che sia stato dato? Con la fine dell'amicizia poi non resteranno saldi nell'animo né i vincoli matrimoniali né quelli di consanguineità né quelli di parentela, poiché anche in essi vi è senz'altro un comune modo di sentire basato sull'amicizia. I coniugi dunque non potranno amarsi a vicenda, quando, non potendo vedere l'amore come tale, l'uno non crederà di essere amato dall'altro. Essi non desidereranno avere figli, poiché non credono che saranno da essi ricambiati. E costoro, se nascono e crescono, ameranno molto di meno i loro genitori, non vedendo nel loro cuore l'amore verso di sé, dato che è invisibile. (La fede nelle cose che non si vedono, 2, 4)
Radicata nell'amore per un Dio-amore, Dio che non si vede, ma in cui si ha fede, l'amicizia è fondata proprio sulla fede. Scomparsa la fede in Dio, scompare anche il fondamento dell'amicizia, e scompare quindi l'amicizia stessa. In questo modo, però, tutto il mondo umano risulta sconvolto, tanto nelle relazioni tra individui, quanto nella vita del singolo individuo. L'amicizia fondata sull'amore, la vera amicizia che si nutre di Verità si rivela allora il cemento che tiene coesa l'intera società, il fondamento della vita comune dell'uomo. Ogni rapporto umano si radica nell'amicizia, e nulla nella vita ha valore, nulla nella vita trova unità e coesione, se scompare l'amicizia.
E' questa amicizia vera, fondata sull'Amore divino e radicata in Dio, che il filosofo di Ippona sperimenterà più volte - nella piccola comunità di Cassiciaco, prima del battesimo; e nel monastero creato a Tagaste, poi, dove si riunirà intorno a lui un gruppo di amici, discepoli, compagni legati l'uno all'altro da reciproco, instancabile affetto. Con loro Agostino potrà sperimentare la pienezza e la totalità del sodalizio fondato non sulle passioni umane, ma sulla Verità divina, quel legame che, anche dove le distanze e le differenze sono mantenute, porta chi lo condivide ad avere un cuore solo, desideroso di ricercare e di amare la Verità; ed un'anima sola, una sola vita, che si articoli nella pluralità dei monaci e possa così rispecchiare le meraviglie della creazione divina, nella sua unità articolata e molteplice unitarietà; e possa anche riflettere, attraverso lo sguardo dell'altro, l'immagine divina nell'uomo.
Il progetto, la ricerca di un simile legame è quanto Agostino lascia ai monaci, che vorranno seguire il suo esempio, ma anche a tutti i posteri, fino a noi, oggi: avere un cuore solo, un'anima sola, ed abbattere la discordia per vivere davvero nella Verità.
1. 2. Il motivo essenziale per cui vi siete insieme riuniti è che viviate unanimi nella casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio [...] Tutti dunque vivete unanimi e concordi e, in voi, onorate reciprocamente Dio di cui siete fatti tempio. (Regula ad Servos Dei, 1.2-8, passim).