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p. Baldoni presiede la celebrazione liturgica nella parrocchiale di Cassago
Omelia di P. Antonio Baldoni
L'UMILTA' IN SANT'AGOSTINO
Cassago Brianza, 2 Settembre 2018
Il vangelo che abbiamo appena ascoltato mi ha richiamato uno dei temi forti della predicazione di Agostino: l'umiltà e in particolare la testimonianza di Giovanni Battista, il precursore, il più grande tra i nati di donna.
Perciò mi sono convinto che è buona cosa la nostra riflessione oggi proprio sulla virtù dell'umiltà, così fondamentale e necessaria per la vita cristiana. Anzitutto una domanda: quando Agostino scoprì la virtù dell'umiltà? Semplice: la scoprì nella persona di Cristo. La storia della salvezza ha inizio infatti per e con un atto di umiltà del Verbo, che si è annientato nel momento di assumere la nostra natura umana.
Ecco la grande lezione di umiltà, anzi di umiliazione, del Figlio di Dio! Agostino ne restò colpito e insieme affascinato e nelle Confessioni, libro VIII, 18, 24 scrive: "Con il nostro fango (il Verbo) si edificò una dimora umile, la via per cui scendere dalla loro altezza e attrarre a sé coloro che accettano di piegare il capo guarendo il turgore e nutrendo l'amore. Così impedì che per presunzione si allontanassero troppo, e li stroncò piuttosto con la visione della divinità stroncata davanti ai loro piedi per aver condiviso la nostra tunica di pelle." L'incarnazione è mistero di umiltà, e solo gli umili possono capirlo e restarne affascinati.
Ritornando alla figura del Battista, come viene presentato nel vangelo, anche lui è stato un modello ed esempio di umiltà, e Agostino, come dicevo, lo ripete nella predicazione del tempo di Avvento. S. Agostino infatti rimase colpito della prontezza del Precursore nel riconoscere che lui non è il Messia, anzi neppure è degno di servirlo e di togliere i calzari all'atteso dalle genti. Egli sa di essere la voce rispetto alle parole, non lo sposo, ma l'amico dello sposo; il Battista sa bene che egli deve diminuire, mentre il Messia deve crescere. Nel Discorso 289, 5, Agostino con ammirazione scrive: "Il più grande degli uomini fu dunque inviato a rendere testimonianza a Colui che era più che uomo … Noi siamo i vasi, egli è la sorgente. Perciò, fratelli miei, se abbiamo compreso il mistero, Giovanni è uomo, Cristo è Dio: si umili l'uomo ed è glorificato Dio. Affinché l'uomo sia umile, Giovanni è nato nel giorno in cui comincia a ridursi la durata della luce solare. Al fine della gloria di Dio, Cristo è nato nel giorno in cui la luce solare va crescendo in durata … Per essere esaltati da lui, quanto a noi, vediamo di essere umili … Egli, Cristo, è la sorgente, noi i vasi; egli è il giorno, noi le lucerne. Grande la debolezza degli uomini: cerchiamo il giorno per mezzo delle lucerne."
Cioè lasciamoci illuminare dalla luce di Cristo. Vorrei citare un'operetta di S. Agostino, che apparentemente non c'entra con l'umiltà: si tratta del "De Sancta Verginitate", in cui il vescovo di Ippona tratta della verginità consacrata a Dio. La sezione finale, o meglio una buona metà di questa opera, è un unico appassionato inno alla virtù dell'umiltà.
Ricordo solo alcuni spunti presenti in questo libretto.
Agostino scrive ai consacrati dicendo con chiarezza che senza umiltà non ci può essere timore di Dio. Il superbo infatti non sente alcun bisogno di Dio perché pensa solo a se stesso e a seguire le proprie voglie. Egli ama infatti solo se stesso! Ecco allora l'accorato ed incisivo invito di Agostino: "Ama la bontà di Dio, temi la sua severità: tutte e due ti impediranno di essere superbo. Amando temerai di offendere gravemente colui che ami e da cui tu sei riamata." (Verg. 38, 38)
Ma Agostino non si ferma qui: infatti egli insiste che solo chi è umile sa apprezzare il fratello e i suoi talenti. Scrive: "Se pertanto la persona consacrata non vuole insuperbirsi per le mete che sa di aver raggiunto, pensi con umiltà all'esistenza di altre mete ancora più sublimi che lei non sa se sia in grado o meno di raggiungere." (47, 47) Insomma, per quanto uno possa ritenersi superiore ai fratelli, se è umile scopre che la strada della perfezione è ancora lunga. Questo aiuta a non ritenersi superiori agli altri e a non insuperbirsi.
E poi il vescovo di Ippona prosegue: "E viceversa quanto agli altri, penserà che ce ne sono di quelli che, senza avere il dono di cui ci si vanta e per cui ci si crede di spiccare il volo su di essi, e senza farne pubblica confessione, pur tuttavia sono in grado di conseguire mete che a lui non è dato di raggiungere." Un bel tuffo nell'umiltà aiuta a scoprire la preziosità unica del fratello.
Vorrei concludere con un riferimento alla Regola di S. Agostino, perché anche qui si trova un segnale di allarme contro la superbia. Se si legge la Regola in trasparenza, si possono intravedere le nervature che la caratterizzano; soprattutto i tre nemici della comunione, che sono: la superbia, l'individualismo e l'uniformità. Non è possibile trattare tutti e tre i "nemici", perciò mi soffermo solo sulla superbia, che Agostino in altra parte definisce un "male letale", cioè mortale. Troviamo proprio nel primo capitolo della Regola l'invito all'umiltà e a combattere ogni forma di superbia.
Ai punti n. 7 e 8 il vescovo di Ippona invita tutti a fare attenzione alla superbia, anche quella in cui possono cadere i poveri: "(Il povero) non si monti la testa per il fatto di essere associato a chi nel mondo, nemmeno osava avvicinare, ma tenga il cuore in alto e non ricerchi la vanità della terra, affinché i monasteri, se qui i ricchi si umiliano e i poveri si vantano, non comincino ad essere utili ai ricchi e non ai poveri." E ciò vale ovviamente e tanto più per i ricchi: "Quelli che credevano di valere qualcosa nel mondo, non disdegnino i loro fratelli che sono pervenuti a quella santa convivenza da uno stato di povertà."
Infine l'affondo finale: "Se infatti ogni altro vizio spinge a compiere azioni cattive, la superbia pone insidie anche alle buone per guastarle; a che giova spogliarsi dei propri beni dandoli ai poveri e diventare povero, se la misera anima nel disprezzare le ricchezze diviene più superba che non quando le possedeva?" La superbia distrugge come un cancro le opere anche buone al loro interno!
Bisogna concludere.
E per non perdermi in altri ragionamenti vi cito un passo celebre di Agostino (Lett. 118, 3): "A Cristo, caro Dioscoro, vorrei che ti assoggettassi con la più profonda pietà e che, nel tendere alla verità e nel raggiungerla, non ti aprissi altra via che quella apertaci da lui, il quale essendo Dio, ha veduto la debolezza dei nostri passi. La prima via è l'umiltà, la seconda è l'umiltà e la terza è ancora l'umiltà: e ogni volta che tornassi a interrogarmi, ti risponderei sempre così."
P. Antonio Baòdoni
Priore di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia