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padre giancarlo ceriotti o.s.a.

 Padre Giancarlo Ceriotti presenta la pala del maestro Manfrini nella palestra Comunale di Cassago

Cassago: p. Giancarlo Ceriotti O.S.A.

 

Omelia di padre Giancarlo Ceriotti O.S.A.

 

UN AVVENIMENTO E UN CENTENARIO (386-1986) CHE CI INTERESSANO

(20 maggio 1986)

 

In tutte le opere, ma soprattutto nelle Confessioni, che "lodano Dio giusto e buono per i miei mali e i miei beni e sollevano verso di lui l'intelligenza e il cuore degli uomini" (1) e "spronano il cuore del lettore e dell'ascoltatore a non assopirsi nella disperazione, a non dire: Non posso; a vegliare invece nell'amore della tua misericordia, nella dolcezza della tua grazia" (2), ritenute a ragione il libro "più personale, più attraente ad anche più nervoso di tutta l'Antichità" (3), Agostino ci offre la testimonianza sincera ed appassionata di una vicenda interiore scritta ed analizzata più col cuore che con la penna (2 Cor. 3,3). Un'esperienza sofferta e drammatica, densa di tensione e di lotta in interiore homine, in una oscillazione continua e inquietante di gioie e tristezze, di ardimenti e perplessità, di desideri e timori, di entusiasmi e rimpianti, di propositi e resistenze ...

La lettura attenta delle Confessioni, una strana autobiografia che è un'ardente e prolungata preghiera a Dio sentito e scoperto come il padre misericordioso della parabola che accoglie, perdona e invita alla festa (4), permette di cogliere i battiti del cuore di Agostino e di approfondire la sua avventura spirituale, per tanti versi simile alla nostra, come annotava il Petrarca (5): un'avventura umanissima e attuale (6) che scuote la nostra inerzia e ci libera, se ci lasciamo avvolgere dal suo ritmo, da affanni e tristezze, da egoismo e peccato, offrendo la possibilità di scalare, dopo giri aspri e tortuosi, "il dilettoso monte ch'è principio e cagion di tutta gioia" (Inferno 1,77-78):

"Noi ardiamo e ci rinnoviamo. Saliamo la salita del cuore, cantando il cantico dei gradini. Del tuo fuoco, del tuo buon fuoco ardiamo e ci rinnoviamo, salendo verso la pace di Gerusalemme" (7).

 

Interventi personali

Nel cammino tormentato e faticoso (8), che non è possibile ripercorrere completamente, racchiuso nello spazio di 14-15 anni, dal 19° anno di età, segnato dalla lettura ciceroniana dell'Ortensio che lo innamora della sapienza e della verità (9), al 33° anno, quando fu battezzato da S. Ambrogio nella notte pasquale del 387(10), vi sono incontri decisivi che influenzano le scelte e orientano la vita. Innanzitutto sua madre Monica, che gli ha instillato nel cuore, dalla più tenera età, l'amore a Cristo: la vita di preghiera, le lacrime, l'esempio virtuoso rivelano la forza e il potere di una madre nel plasmare spiritualmente un figlio. Nei dialoghi di Cassiciaco, mentre si prepara al battesimo e si dedica alla contemplazione christianae vitae otium (11) e alle discussioni filosofiche coi presenti, tesse l'elogio di Monica cui deve ciò che è attualmente (12); nel libro IX delle Confessioni ne traccia il profilo biografico, mettendo in risalto la maternità spirituale (13).

Possiamo tranquillamente affermare che Agostino ha scoperto e descritto la maternità della Chiesa, che in perenne fecondità "tutta genera tutti e tutta genera ognuno" nell'acqua del battesimo e nelle lacrime della penitenza (14), collegandola affettuosamente alla dolce e indimenticabile figura di Monica, la madre che salva.

In una delle ultime opere ricorderà che la sua conversione si deve alla preghiere e alle lacrime quotidiane di sua madre (15). Il legame, così intimo e indissolubile, ci offre due vite in una: l'uno e l'altra sono accomunati nella fede e nella santità. Certi atteggiamenti pastorali di Agostino, come la sollecitudine nel ricercare gli erranti e nel ricuperare gli sviati, richiamano l'assillante insistenza e premura di Monica nei suoi confronti (16).

Accanto a Monica il vescovo Ambrogio, "che io venero come un padre" (17), e il presbitero Simpliciano, le figure più rappresentative e luminose della chiesa milanese: a Milano il retore africano ha scoperto una comunità viva ed operosa, unita nella carità al suo pastore. Anche se con Ambrogio i rapporti personali non furono nè frequenti nè intensi, la parola del vescovo, dapprima ascoltata per semplice curiosità e gusto retorico, scese nel cuore, eliminando pregiudizi e falsità sul concetto di Chiesa, sull'autorità delle Scritture, sull'accordo tra Antico e Nuovo Testamento, sulla spiritualità di Dio.

Si verificò in lui quanto egli scrive dell'atteggiamento richiesto ai fedeli nel De catechizandis rudibus: "La fede infatti non è un atteggiamento del corpo che si inchina, ma dell'animo che crede... In realtà noi ignoriamo quando spiritualmente viene a noi colui che già vediamo presente col corpo" (18).

Il dialogo aperto, cuore a cuore, fu possibile con Simpliciano che seppe intuire le doti di animo e di cuore e incanalare nella giusta direzione gli studi e le letture filosofiche di Agostino. Con delicatezza e pazienza esercitò un'autentica cultura dell'accoglienza (19), dapprima complimentandosi con lui poi suscitando l'interesse per la conversione del retore M. Vittorino, il traduttore latino dei libri neoplatonici, da collegare al racconto Ponticiano sulla conversione monastica dei due funzionari palatini di Treviri e alla vita di Antonio di S. Anastasio: episodi e avvenimenti che offrirono ad Agostino la spinta decisiva a seguire Cristo nella pratica dei consigli evangelici in povertà e castità, in preghiera e obbedienza a Dio.

La scena famosa del giardino milanese (Conf. VIII, 28-30) è l'apice di un dramma lungamente perseguito: il dissidio non è più tra bene e male, verità ed errore, rettitudine morale e peccato (anche se l'Agostino narrante è giudice troppo severo dell'Agostino narrato con il suo passato di traviamento!), dato che alcune verità religiose o non sono mai state messe in dubbio o sono ormai acquisite ed assodate (20), ma tra vita matrimoniale, cui guardava anche Monica, e vita consacrata a Dio (21).

In lui è contemporanea la decisione di presentarsi al battesimo e di essere monaco, deponendo ogni aspirazione mondana di carriera per amore della sapienza, nella ricerca sincera di Dio e di se stesso (22) e nel desiderio di appartenere totalmente a Dio (23), amato, cercato, seguito (24). Proprio la scelta radicale del figlio, superiore ad ogni aspettativa, spiega la gioia straordinaria di Monica che avverte di aver esaurito la sua missione materna (25). A proposito dell'incidenza della Chiesa milanese nel suo ritorno a Dio, oltre i brani delle Confessioni, merita di ricordare un passo di un'omelia tenuta a Cartagine, la città dei traviamenti giovanili, durante la polemica coi Donatisti che, verso il 403, esigono le credenziali del battesimo e della fede: "Dicono costoro: E chi sono? donde vengono" noi li conosciamo per malvagi, dove sono stati battezzati? Se ci conoscono bene, sanno che abbiamo navigato a lungo, sanno che siamo stati in esilio, sanno che che in un modo ce ne siamo andati e nell'altro siamo tornati. Non qui siamo stati battezzati; ma laddove siamo stati battezzati la Chiesa è riconosciuta da tutto il mondo intero. Sono molti i fratelli i quali sanno che siamo stati battezzati e che con noi lo sono stati" (26).

Alla chiesa ambrosiana guarderà sempre con l'ammirazione e la gratitudine di un figlio rigenerato a Cristo (27), ai pochi pagani che rimangono (siamo negli anni 411-413) offrirà la propria esperienza, perché anch'essi si convertano. Proprio perché vediamo molti liberati dall'errore in cui eravamo anche noi, non si deve disperare neppure di loro" (28). Altrove, rilevando la vera natura della conversione che è pur sempre dono di Dio, confesserà di avere lungamente errato perché Cristo non gli si era ancora perfettamente rivelato e perché, invece di amare lui, amava la terra che non lo appagava e saziava, ma piuttosto lo angustiava e mortificava (29).

La conversione di S. Agostino, in questo periodo di approfondimento del Convegno ecclesiale italiano a Loreto, può essere descritta anche in termini di riconciliazione con Dio, con se stesso, con gli altri, anche se, durante la stesura delle Confessioni, la tensione e la lotta sono diverse: prima dominava l'inquietudine angosciosa del peccatore che si stacca faticosamente dalle vie del male, ora l'inquietudine fiduciosa del giusto che gioisce ed esulta perché liberato dalla schiavitù e progredisce decisamente nella via d'unione con Dio; l'una geme nella ricerca e nella preghiera, l'altra canta di gioia nella lode; quella che è più drammatica, questa più serena; la prima partiva dall'uomo privo e assetato di verità (30) e avvolto dal gorgo dei vizi (31), la seconda prende l'avvio dalla meditazione delle Scritture e dalla dolcezza della preghiera che accende e rianima la speranza del viandante verso la patria.

"Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me e non era con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti e arsi di desiderio della tua pace" (32). La conversione di Agostino è continua e progressiva. Lo impegna per tutta la vita: "Dapprima la concupiscenza della carne era la nostra guida e noi la seguivamo; e quando in un secondo tempo le si voleva opporre resistenza, essa ci trascinava. Più tardi, da quando cioè ricevemmo la grazia, la concupiscenza ha cessato di guidarci e di trascinarci, ma continua ancora a combattere contro di noi. Finita anche la lotta, ci sarà la vittoria" (33).

Finchè c'è da lottare non si può dire: basta(34); la vita è una continua conversione, un cammino deciso verso la meta finalmente trovata, Dio, sulla strada unicamente valida, Cristo (35). Non c'è momento in cui si possa tranquillamente riposare: non si finisce di faticare e di lottare se non quando finirà la vita (36). In una delle ultime opere scriverà di essere ormai al termine della vita senza aver finito di correggersi e di convertirsi (37).

 

CASSICIACO: una parentesi serena nell'evoluzione spirituale di Agostino.

In un caldo giorno di agosto del 386 (mancavano una ventina di giorni alle vacanze vendemmiali, che duravano dal 23 agosto al15 ottobre) si placa la lotta interiore del retore africano, deciso a troncare definitivamente col passato e a dedicarsi totalmente a Dio nello studio e nella preghiera, in un clima di vera e nuova libertà (39).

D'ora in poi i milanesi dovranno rivolgersi ad altri imbonitori per i loro figli (40), non essendo più disposto a mercanteggiare, con il vile denaro e facili successi, la vera libertà:

"E venne il giorno della liberazione anche materiale dalla professione di retore, da cui era già spiritualmente libero. Così fu: sottraesti la mia lingua da un'attività, cui avevi già sottratto il mio cuore. Partito per la campagna con tutti i miei famigliari, ti benedico gioioso" (41).

Il luogo ideale della nuova esperienza, durata all'incirca sette mesi, è la villa di campagna dell'amico e collega Verecondo, ricordato con affetto riconoscente nel De ordine (1,2,5) e nelle Confessioni: in cambio della generosa ospitalità di Cassiciaco gli augura, nella pace di Dio, la freschezza della eterna primavera.

Cassiciaco rimarrà sempre nell'animo di Agostino come una parentesi serena e l'oasi gradita del possesso di Dio (42) e del riposo in Dio "dagli ardori snervanti del mondo" (43), dove la notazione non è tanto o soltanto, climatica quanto psicologica e religiosa.

A Cassiciaco assieme al cristiano sincero e ardente nasce lo scrittore: i dialoghi sono la base iniziale di una produzione immensa e straordinaria che, nella calda e sofferta umanità, colpisce al cuore il lettore di ogni tempo. L'attività letteraria e le discussioni elevate, la preghiera frequente e la meditazione dei salmi, la preparazione intensa al battesimo sono i momenti significativi di una vacanza insolita e diversa che permette di ripercorrere il passaggio non più con l'angosciosa inquietudine e il disperato timore del naufrago ma con la calma sicura di chi è entrato nel porto (44); e ciò che prima era motivo di affannoso tormento ora dà serenità e fiducia: "mentre ti confesso le aspirazioni dell'anima mia, Dio mio, trovo pace nel condannare le mie vie storte per innamorarmi delle tue vie diritte" (45).

Senza entrare nell'annosa questione della localizzazione dell'antica Cassiciaco o voler dirimere l'ancienne querelle tra Cassago Brianza e Casciago Varesino, riproposta e sviscerata, in attesa di una risposta definitiva, dal vostro concittadino che ha studiato a fondo il problema (46), non dobbiamo dimenticare che Agostino, uomo dello spirito, è spesso avaro di quelle notazioni esteriori, che noi sicuramente avremmo desiderato. A chi guarda la realtà con occhio disincantato, sia Cartagine o Roma, Milano, Cassiciaco o Ostia, non interessano mura e strade, piazze o monumenti.

Le località, ricordate come semplici dati geografici, sono solo delle tappe o delle stazioni del suo itinerario e pellegrinaggio spirituale, come rileva il Cardinal Pellegrino (47).

Al vescovo Agostino, che non aveva sicuramente la malattia del mattone (48) non interessavano neppure le chiese, i luoghi di culto, le pareti (49) la chiesa, la comunità dei cristiani, in cui Dio abita come nel suo tempio (50), In questa ottica Agostiniana, che recepisce i valori autentici e profondi, la relazione plurisecolare fra Agostino e Cassago non marginale ed esteriore, riveste un significato intenso e vitale: "La tradizione di un popolo si è riconosciuta, si è compromessa con devozione nella valorizzazione di questa memoria tanto antica, quanto ricca di contenuti e di indicazioni intellettuali e morali" (51).

 

L'atteggiamento pastorale di Agostino Vescovo

In un'epoca in cui non mancavano le conversioni opportunistiche, originate dal mutato atteggiamento delle autorità nei confronti del cristianesimo diventato religione di stato e condizione previa per adire ai pubblici uffici, Agostino richiama tutti, vicini e lontani, all'adesione vissuta e reale della fede e della pratica religiosa e sincera, purificando le motivazioni (52).

Con i peccatori, che richiama insistentemente, fa leva più sulla misericordia di Dio che sull'angoscia del peccato, più sulla sincerità del ravvedimento che sull'incerta prospettiva del domani propria di chi continuamente rimanda la decisione (53). Anzi la provvisorietà della vita è un costante invito alla conversione, soprattutto per chi sa percepire ed accogliere la voce suadente di Dio che parla in vari modi: "Non si deve infatti disperare finchè la pazienza di Dio spinge alla penitenza; inoltre non strappa alcuno da questa vita Colui che non vuole la morte dell'empio ma piuttosto che ritorni a lui e viva. Uno oggi è pagano: come fai a sapere se domani non possa diventare un cristiano? Uno oggi è un giudeo infedele: e se domani credesse nel Cristo? Uno oggi è un eretico: e se domani seguisse la verità cattolica? Uno oggi è scismatico: e se domani abbracciasse l'unità cattolica?" (54).

Nella predicazione il Vescovo d'lppona si rivolge in prevalenza al battezzato peccatore: ne desidera la conversione perché sia raccolto nella comunione ecclesiale da cui si è estraniato a causa di gravi peccati, riconducibili alla triade famosa: apostasia (grave defezione nella fede), adulterio (nella fedeltà familiare), omicidio (nella vita). L'antica prassi penitenziale indica chiaramente cosa operi il peccato grave (frattura della comunità ecclesiale radunata dallo Spirito Santo) e richiama il peccatore, attraverso pratiche severe e dolorose (55), a un reale processo di profonda e interiore conversione. Prima di essere un rito la penitenza è un evento vitale, che rivela esternamente il distacco interiore dal peccato. La catechesi penitenziale di S. Agostino deve molto alla dimensione umana: certe intuizioni e certi atteggiamenti, attenti e delicati verso gli erranti, sgorgano da un cuore che ha conosciuto la miseria prolungata dell'errore e del male ed ha assaporato, quasi fisicamente la misericordia divina che in Cristo, il medico umile delle nostre infermità, ci ha rivelato il suo vero volto: "Vedi che non nascondo le mie piaghe. Tu sei misericordioso, io sono misero" (56). Dalla misericordia egli parla con insistenza e la applica generosamente con tutti: "Chi confessa umilmente nella preghiera i propri errori, non ha bisogno di aspri rimproveri, ma di una pietà che incoraggi" (57).

Per questo motivo ricorderà sempre con simpatia e riconoscenza quanti hanno agito delicatamente con lui al tempo del traviamento giovanile tra i manichei:"Siano duri con voi quanti non sanno con quale fatica si trovi la verità e quanto difficilmente si evitino gli errori. Siano duri con voi quanti non sanno come sia raro e arduo superare i fantasmi corporali con la pia soavità della mente ... Quanti non sanno cosa costi sanare l'occhio dell'uomo interiore perché possa vedere il suo sole ... quanti non conoscono i sospiri e i gemiti necessari per giungere a capire, sia pure in minima parte Dio ... Siano infine duri con voi coloro che mai sono stati ingannati dall'errore nel quale si accorgono che siete impigliati voi.

Ma io ho errato a lungo ... io non posso assolutamente essere duro con voi; io debbo avere tanta pazienza con voi quanta ne ebbero con me, quando rabbioso e cieco seguivo la vostra dottrina, quelli che mi stavano vicino" (58).

Non possiamo terminare questo rapido e incompleto colloquio che richiederebbe ben altro tempo e impegno, senza citare il giudizio di un autore che ha approfondito il tema della conversione nei primi tempi del cristianesimo, ponendo debitamente in risalto alcune "conversazioni individuali, provocate dalla grazia di Dio.

S. Paolo, S. Giustino, S. Cipriano, Arnobio, Lattanzio, S. Agostino, i nomi di questi uomini ci resteranno sempre cari, perché sono i nomi di uomini retti e sinceri che si sono sempre lasciati fare dalla verità"(59).

 

 

(1) Retract. 2.6

(2) Conf. X,3,4  

(3) F. Van der Meer, S. Agostino pastore d'anime, Roma 1971 (tr. it.), p. 1246

(4) La parabola Lucana (15, 11-32) torna con frequenza nelle Confessioni ed Agostino la applica a sè: 1,18,28; Il,2,4; 111,4,7; IV,16,30; VII,10,16; VIII,3,6; X,31 ,45; XII,10,10. 11,13. Sulla paternità divina basta leggere i Sermoni 56-59 sulla preghiera del Signore. Merita di richiamare la bella espressione conclusiva del S. 57,13: "Nessuno può spiegare, e tanto meno pensare, quanto Egli ci ami!"; Soli. 1,5

(5) De secreto conflictu curarum mearum, Opere latine di F. Petrarca, a cura di A. BUFANO, Torino 1975, 1, p. 68

(6) Ogni epoca ha un suo S. Agostino, nel senso che privilegia alcuni aspetti del suo pensiero. Basta ripercorrere la storia della cultura occidentale nel suo complesso per avvalorare l'affermazione e scoprirne l'attualità. Cfr. J. GUITTON, Attualità di S. Agostino, Roma 1963 (Il ed. it.); M. Pellegrino, Il messaggio di S. Agostino al mondo moderno, Ricerche Patristiche, Torino 1982, 1, pp. 369-382

(7) Conf. XIII, 9, 10

(8) Ivi 1, 13, 22; IV, 12, 18; VI, 16, 26

(9) Ivi 111,4,7-8,6, 10

(10) Ivi IX, 6, 14: "E fummo battezzati, e si dileguò da noi l'inquietudine della vita passata"

(11) Retract. 1, 1, 1

(12) De Beata vita 1, 6; De Ordine 2, 20, 52

(13) Conf. V, 9, 16; IX, 8, 17; 9, 22

(14) Ep. 98, 5; cfr. S. AMBROGIO, ep. 41,12: "Acqua e lacrime non mancano alla Chiesa: l'acqua del battesimo, le lacrime della penitenza"

(15) De dono persev. 20, 53

(16) S. 46, 14: "Mi metterò dietro le orme della pecorella errante ... Sarò importuno, chiamerò la smarrita, ricercherò la perduta. Lo farò, sia che tu lo voglia, sia che non lo voglia. Anche se per cercarti mi dovrò lacerare le carni tra i rovi delle selve, mi andrò a ficcare in ogni anfratto, andrò a scuotere ogni siepe. Finchè il timore di Dio mi darà le forze, non cesserò di perlustrare per richiamare l'errante, per ritrovare la perduta. Sono importuno, si ma se non puoi sopportarmi, non smarrirti, non perderti".

(17) Contra lulian. 1,3, 10; cfr. op. 147,52

(18) De cat. rud. 5, 9

(19) Ivi. Agostino mostra tutta la delicatezza d'animo nel cogliere le disposizioni interiori dei catechizzandi, trattati con bontà e ripresi con dolcezza (blandius et lenius) per portarli a volere ciò che per errore o per finzione ancora non desideravano. Alla base di un simile atteggiamento sta la carità che compendia la legge e i profeti e costituisce il leit-motiv di tutta l'opera

20)Conto V, 14, 24-25; VII, 5, 7-7, Il.

(21) Ivi VIII, 1, 2.

(22) Solil. 1, 2, 7; 2, 1, 1; De ord. 2, 18, 47; De lib. arbitrio 2, 9, 25.

(23) S. 34, 4: Totum exigit te qui fecit te; Il, 7, 2; 253, 2; In io. evo tr. 123, 5; In lo. ep. tr. 5, 5;

(24)Solil.1,1,5;2,7.

(25) Conto VIII, 12, 30; IX, 10, 26.

(26) In ps. 36, 3, 19.

(27) Conto IX, 7, 16. XIII, 38, 53.

(26) In ps. 98, 5.

(29) In ps. 79, 3, 14; Conto XI, 2, 4.

(30) Conto 111, 6, 11.

(31) lvi.1,19,30;11,2,2.

(32) Ivi. X, 27, 38.

(33) Inps. 64, 4; S. 128, 11-12.

(34) S. 169, 18.

(35) L'incontro Agostiniano coi Platonici, con il distacco dal sensibile, il dominio delle passioni, l'adesione a Dio, gli discoprono la meta non la via, "che porta alla patria beatificante, non solo per vederla ma anche per abitarla". (Conf. VII, 20, 26). Non mancano nelle Conto i richiami a Cristo Via (VII, 21,27; XI, 2, 2; 8, 10; XIII, 8, 9) che permette di giungere a Dio: In lo, ev, tr, 2, 3-4; 1, 17; 14, 14; In ps. 68, 1,8; 123, 15; De civ. Dei X, 29. Cfr. L. GALATI, Cristo la via nel pensiero di S. Agostino, Roma 1956; M.F. SCIACCA, Agostino e i Platonici, L'itinerario della fede in S. Agostino, Pavia (Atti della Settimana Pavese), 1969, pp. 45-60.

(36) In ps. 102, 17

(37) De dono persev. 21, 55

(36) Conto IX, 1, 1: "Come a un tratto divenne dolce per me la privazione delle dolcezze frivole! Prima temevo di rimanerne privo, ora godevo di privarmene. Tu, vera suprema dolcezza, lo espellevi da me... Il mio animo era libero ormai dagli assilli mordaci dell'ambizione, del denaro, della sozzurra e del prurito rognoso delle passioni, e parlavo, parlavo con te, mia gloria e ricchezza e salute, Signore Dio mio"

(39) De ordine 1, 2, 5; Contra Acad. 1, 1,3

(40) Contra Acad. 1, 1,3; Conf..IX, 5,13

(41) Conto IX, 4, 7

(42) Esse cum Deo, scrive nel De ordine 2, 1, 3 s.s., e la condizione del sapiente: ideale che porterà sempre in cuore, approfondità a Tagaste, come ricorda Possidio (Vita 3,2) e proporrà ai semplici fedeli nella predicazione: O noi beati per un tale possesso e per un tale possessore! Difatti egli possiede noi e noi possediamo lui" (S. 47, 30)

(43) Conto IX, 3, 5

(44) De beata vita. 1, 4

(45) Conto 1, 13,22

(46) L. BERETTA. S. Agostino e Cassiciaco, Cassago Brianza 1982

(47) Le Confessioni di S. Agostino, Roma 1972 (rist.) pp. 87 e 121

(46) F. VAN DER MEER. op. cit., pp. 544-546

(49) Nelle Conto VIII, 2, 4 ricorda la risposta di Vittorino a Simpliciano: Ergo Parietes faciunt Cristianos?; nel De catech. rud. 7, 11; 25, 48; 27, 55. fa notare che gli spazi ecclesiastici raccolgono veri e finti cristiano

(50) I veri cristiani sono tempio di Dio (De magistro 1, 2; 14, 46; In lo. evo tr. 18, 10; In ps. 4, 8; 139, 15; 94, 6; De civ. Dei X, 3, 2; 5; 19). L'argomento ritorna a proposito di Roma (Sermo de Urbis excidio 6; S. 81, 9) e della città in genere (in ps. 121,4) cfr. Y.M.J. CONGAR, La Chiesa non è fatta di mura, ma di fedeli, in Sacerdozio e laicato, Brescia 1967 (trad. it.), pp. 247-253

(51) L. BERETTA, op. cit., p. 1

(52) De catech. rud. 5, 9-6, 10; 16, 24-17, 27

(53) Conto VI, 11, 18; VIII, 12,28; In ps. 102, 16

(54) S. 71, 13,21

(55) S. 352, 3, 8

(56) Conto X, 28, 39; cfr. in ps. 58, 2, 11. "Misericordia mia. O nome sotto cui nessuno deve disperare"

(57) De sancta virg. 32

(56) Contra ep. Manich. 2-3

(59) G. BARDY, La conversione al cristianesimo nei primi secoli, Milano 1975 (trad. it.) pag. 345