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Don Pavanello con Mario Colnago e Luigi Beretta nella sede dell'Associazione S. Agostino
Omelia di don Massimo Pavanello
NEL GIORNO DELLA FESTA DI SANT'AGOSTINO
(6 settembre 2009)
Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi. Egli è grande in bontà per la casa d1sraele. Egli ci trattò (...) secondo la grandezza della sua grazia.
L'incipit della prima lettura riassume i motivi che sorreggono ogni raduno di credenti. Quindi anche il nostro essere qui quest'oggi. Non sono motivi eccezionali, nel senso di occasionali, bensì motivi ordinari che accompagnano regolarmente la vita degli uomini. Egli è grande in bontà ... potremmo dire, è la fama di Dio. Eccezionale, fuori d'ogni aspettativa, è invece il peccato. Tanto è vero che neppure il Signore se lo aspetta e rimane contristato, come appare sempre dalla prima lettura. Tuttavia non si dà per vinto proprio perché la grandezza della sua grazia è la misura di ogni rapporto.
La bontà di Dio, quindi, non è successiva al peccato, ma gli preesiste. Ciò vale sempre. Anche per quei santi che curiosamente sono ricordati più per il loro peccato che per la loro fede, credendo così di averli più vicini. Prendiamo ad esempio S. Agostino, la cui vicenda si unisce con la nostra proprio in questo punto positivo. Si insiste molto su Agostino peccatore, ma io voglio uscire da questa ossessione: non è necessario aver toccato il fondo per incontrare la fede.
Lo ha detto recentemente Alessandro Preziosi - sì proprio il bell'attore di Elisa di Rivombrosa - presentando la fiction su Agostino che andrà in onda tra qualche settimana su Raiuno. Lo condivido.
A ben studiare, infatti, la conversione più radicale di Agostino non è quella morale - su cui la fantasia di molti ha cavalcato - bensì quella teologica. Una conversione necessaria a tutti e molto più difficile da ammettere. Basti ricordare alcune tappe della sua vicenda per riconoscerlo più attuale di quanto non si immagini. Pensiamo, per esempio, all'eresia donatista da cui Agostino non è stato immune.
I donatisti sostenevano che i sacramenti amministrati da sacerdoti peccatori non erano validi. L'indegnità personale faceva cioè saltare la Grazia. Da questa posizione Agostino si affranca.
Ma è scomparsa? No.
C'è, infatti, ancora oggi chi critica la Chiesa e le sue reali miserie non per spronarla alla conversione, ma per mettere in discussione il suo fondamento. La mediazione storica - dicono costoro - ostacola piuttosto che favorire l'incontro col Signore. Siccome poi la storia è tutta caduca - se anche un Dio vi fosse - egli non potrebbe essere annunciato.
Gesù però è di parere opposto e lo abbiamo sentito nel vangelo: Se, infatti, credereste a Mosè, credereste anche a me, perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?
Gesù stesso ipotizza quindi una via storica - insieme alla parola rivelata - per la conoscenza di lui. Allora era Mosè, oggi è la Chiesa. E poi c'è l'eresia manichea, anch'essa lambita da Agostino. I manichei sostenevano che esiste un dio del bene e un dio del male, dividendo il mondo in buoni e cattivi. Una sorta di bipolarismo teologico. Il nostro santo l'ha abbandonata.
E oggi?
Girando mi capita di incontrare ancora della gente - che si dice cristiana - che pensa, di fatto, però, che Dio abbia creato alcuni uomini a lui più somiglianti e altri meno. Che la solidarietà, per esempio, si debba esercitare solo con gli uguali, che il male abbia origini etniche (Agostino era africano: vorrà dire qualcosa?), che la verità derivi da fonti esterne ad essa ...
Come vedete allora certi modi di pensare - che anche oggi circolano - poggiano su un terreno eretico la cui immoralità è solo conseguenza. Agostino ci chiede di imitarlo in questa sua conversione. Sarebbe superficiale, infatti, liquidare il suo ritorno alla chiesa come un rimettersi in riga su certi comandamenti. E' invece l'incontro con la grandezza della bontà di Dio che lo ha trasformato. Un'immagine riassuntiva di ciò che abbiamo meditato la trovo allora nel dono che l'amministrazione compirà a breve. In esso sono racchiusi diversi significati: c'è l'ossequio alla tradizione; c'è il riconoscimento reciproco - nel rispetto delle competenze - di un compito storico e spirituale della Chiesa; e poi c'è l'olio, un unguento multipotente.
Lo è per la città: Atene fu affidata ad Atena proprio perché ella ha fornito alla città il dono più utile: un ulivo, appunto, in contrapposizione al cavallo di Poseidone segno di guerra. Lo è per la Chiesa: l'olio è un elemento essenziale per i Sacramenti.
Lo è per l'ecumenismo: ricordo la lampada di Hanukkah, per gli ebrei; e l'olivo, albero della vita, per l'Islam. Infine non posso dimenticare come nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme sia conservata la lastra dell'unzione su cui il corpo del Cristo fu cosparso di balsami. Su questa lastra ardono delle lampade ad olio. Esse segnalano la vicinanza di una tomba.
Vuota.
E' il miracolo della Resurrezione che a tutti dona la possibilità di nuova vita. A tal riguardo, come segno della mia partecipazione alla vostra gioia, mi permetto di aggiungere allora, all'olio qui presentato, qualche goccia di nardo, il profumo citato dal Vangelo che ho preso proprio a Gerusalemme.
Quale possa essere il collegamento tra il pellegrinaggio principe in Terra santa e quello cadetto in terra di Brianza lo lascio alla vostra meditazione.
don MASSIMO PAVANELLO
Responsabile per il Turismo della Diocesi di Milano