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Milano: Basilica di sant'Ambrogio
affresco romanico
LUOGHI DI CULTO SANTAMBROSIANI: LE CHIESE E LA DEVOZIONE
di Italo Allegri
Premessa
Tracciare una panoramica sui luoghi di culto posti sotto la protezione di S. Ambrogio nell'arco di circa quindici secoli è indubbiamente un'impresa assai ardua e difficile, perché ci costringe a comprimere, fatti, vicende e tradizioni, tra le più significative della chiesa ambrosiana, senza penetrarli in profondità ma cogliendo solo gli aspetti più significativi, evidenti e conosciuti, poiché una ricerca condotta direttamente sulle fonti archivistiche avrebbe comportato un lavoro immane, richiesto un tempo lunghissimo e prodotto uno studio ponderoso in larga parte già ampiamente realizzato attraverso ricerche condotte da insigni studiosi, o appassionati cultori di storia locale, su periodi specifici, vicende peculiari o monografie di chiese o comunità (es. Basilica di S. Ambrogio, Cattaneo-Reggiori, Gatti Perer, Università Cattolica).
Indubbiamente l'analisi diretta dei documenti garantisce una sintesi più rigorosa e precisa, inoltre la stesura del lavoro segue un criterio univoco e nel complesso omogeneo, mentre attingendo alla fonti edite è evidente la difformità di impostazione da opera ad opera: sia per le finalità che non sono sempre le stesse, sia per il rigore scientifico che in qualche caso risulta carente; per cui è stato inevitabile operare una scelta tra le numerose pubblicazioni affidandoci a quelle che perseguono più da vicino le tematiche di nostro interesse. La metodologia operativa avrebbe potuto percorrere due diverse piste: ossia partire dall'esistente e, a ritroso, risalire alle origini dei luoghi di culto; oppure ripercorrere le tappe fondamentali della Chiesa diocesana dalle sue origini fino ai nostri giorni, focalizzando l'attenzione sulle istituzioni e la fase evolutiva relativa all'edilizia religiosa, cercando di cogliere la devozione espressa dai fedeli nei confronti di S. Ambrogio attraverso le chiese a lui dedicate. Noi abbiamo scelto la seconda via perché, come vedremo, è quella che ci permette di abbozzare il quadro più realistico del complesso ma tanto attraente ed enigmatico mosaico, pur nella consapevolezza che resterà comunque incompleto. E' opportuno inoltre precisare che quando si parla di edilizia santambrosiana non è da intendersi uno stile architettonico definito, canonico, corrispondente ad una fase ben definita dell'architettura e caratterizzato da alcuni elementi tipici, ma semplicemente di luoghi di culto eretti in memoria di S. Ambrogio.
Le Chiese domestiche
E' noto che la diffusione del cristianesimo raggiunge inizialmente le grandi città e solo in un secondo tempo le campagne. Prima dell'editto di tolleranza di Milano del febbraio 313, attraverso il quale Costantino concede la libertà di culto entro i confini dell'Impero, i cristiani convengono per le loro liturgie in case private, lontano da sguardi indiscreti di pagani ed autorità che li perseguitano.
Sorgono così le domus orationis o domus ecclesiae: aule di riunione e primi luoghi di preghiera nelle case private. A Milano si ha notizia di una domus Philippi situata oltre il suburbio cittadino. La loro funzione viene meno con la pace religiosa e l'acquistata libertà favorisce la costruzione di una superba basilica a pianta circolare finanziata dal pubblico Erario: S. Lorenzo (intorno 1959 la comunità cristiana di Segrate, località Rovagnasco, si radunava in un edificio detto Domus Ambrosiana prima di costruire l'attuale chiesa di S. Ambrogio ad Fontes consacrata nel 1967 - la struttura è quella di un grande capannone con 76 vetrate che raccontano l'anno liturgico, a navata unica dominata da una grande Cristo sulla parete di fondo).
Le Basiliche santambrosiane
La figura di S. Ambrogio è indubbiamente la più importante nella storia religiosa della nostra Diocesi. Una affermazione che non vuole sminuire l'opera di tanti altri solerti pastori: pensiamo solo a S. Carlo o, per essere più vicini a noi al Beato Card. Ferrari e al Beato Card. Schuster Ildefonso. La peculiarità della sua missione è così impegnata ed innovativa che caratterizza la Diocesi di Milano come Ambrosiana, perché con la sua azione le imprime una impronta indelebile nella spiritualità e ritualità, che superano i diversi ostacoli che si sono frapposti nei secoli ed è giunta fino ai nostri giorni. Quando Ambrogio il 7 dicembre 374 riceve l'ordinazione episcopale, a Milano si contano una decina di chiese; due le basiliche entro le mura cittadine: la vetus e la nova, mentre le altre sono dislocate all'esterno, presso le aree cimiteriali. Alcune sono preesistenti, fatte costruire dai suoi predecessori, mentre altre vengono completate da Ambrogio, come la nova con un nuovo battistero a pianta ottagonale, dove nella notte tra il 24 e 25 aprile del 387 viene battezzato Agostino.
Per iniziativa di Ambrogio sorsero altre chiese nell'area cimiteriale: sia per il culto funebre che per l'uso pastorale. Una di queste è la basilica Apostolorum, presso porta Romana, dove nel 395 sono trasferite le reliquie del martire Nazaro. Un'altra è la basilica Martyrum dove il 19 giugno del 386 Ambrogio depone i corpi dei martiri Protaso e Gervaso. In essa predispone anche il sepolcro per se stesso, così che in seguito prende il nome del suo fondatore, ossia la basilica Ambrosiana o di S. Ambrogio (questa è la più antica chiesa in onore di S. Ambrogio anche se sorge con un titolo diverso). Di probabile fondazione santambrosiana sarebbe anche la basilica di S. Simpliciano e, secondo alcuni storici, anche quella di S. Dionigi. Si hanno così sulle principali vie di accesso alla metropoli quattro basiliche: Apostolorum o di S. Nazaro (verso Roma); Martyrum o di S. Ambrogio (verso Vercelli); Virginum o di S. Simpliciano (verso Como); Sanctorum Veteris Testamenti o di S. Dionigi (verso Aquileia). [1]
Le Istituzioni ecclesiastiche locali dal V al X secolo
La propagazione della fede cristiana nei primi secoli di vita della Chiesa è un fenomeno molto complesso e di difficile ricostruzione per la mancanza di memorie scritte e per la scarsità di riscontri provenienti dall'archeologia, attestanti l'esistenza di luoghi di culto grazie al ritrovamento dei simboli caratteristici della pietà cristiana [2].
Durante l'episcopato di Ambrogio il cristianesimo è un fenomeno prevalentemente circoscritto alle mura cittadine. Infatti manca un'azione pastorale sistematica del clero ambrosiano, che in quegli anni non è certamente numeroso nelle campagne, dove i primi a convertirsi sono i ricchi latifondisti residenti nelle ville, i possessores, che a loro volta trasmettono la fede ricevuta ai propri dipendenti [3]. Ma qui resistono a lungo gli antichi culti espressione della religio pagorum ed i suoi cultori, abitanti del pago, vengono così chiamati pagani. E quanto sia ancora in fase embrionale la diffusione del cristianesimo nel IV secolo lo attestano le necropoli pagane rinvenute nel milanese, nel varesotto e nel comasco risalenti appunto a questo periodo.
Tra la fine del IV e gli inizi del V secolo il cristianesimo raggiunge le località periferiche grazie ad una attività missionaria sistematica, di cui abbiamo qualche memoria significativa. La più antica in ordine di tempo è quella di Carpoforo, un cristiano greco-orientale che raggiunge la località di Como dando vita, in città e nel territorio del municipium, ad una piccola comunità cristiana. Nella regione dei laghi subisce il martino verso la fine del III secolo. Una seconda testimonianza è rappresentata dalla vicenda dei tre leviti, Sisinnio (diacono), Martirio (lettore) e Alessandro (ostiario), originari della Cappadocia. Giunti a Milano, dopo una breve formazione alla scuola di Ambrogio raggiungono nel 397 l'Anaunia per annunciare il Vangelo. Qui vengono martirizzati mentre cercano di ostacolare una processione lustrale nel corso dei riti tradizionali pagani. Più documentata è la terza vicenda, quella di un prete greco di nome Giulio che svolge la propria attività missionaria nel Cusio e nel Verbano. Nel corso degli ultimi anni i dati agiografici contenuti nella Legenda Sancti Julii hanno trovato conferma nei reperti archeologici e in quelli epigrafici, per cui «il felice esito della missione, con la creazione di centri di culto, organizzati secondo lo schema della basilica Apostolorum e presso i quali furono sepolti i corpi degli evangelizzatori, ci permette di ipotizzare che siano avvenute altre iniziative missionarie fra i rustici delle Prealpi di cui non si hanno per ora notizie». [4]
Un'ipotesi avvalorata anche dalla presenza di alcuni luoghi di culto che gli archeologi collocano inequivocabilmente nell'arco del V secolo.
Il più vicino a noi è quello di S. Vincenzo di Galliano, dove negli scavi del 1981-82 sono emerse tracce della chiesa primitiva ad aula unica con pavimento in opus sectile. Questa struttura è coeva con la testimonianza epigrafica più antica, che reca incisa la datata del 466. Un altro dato importante emerso è che dai testi epigrafici risulta la presenza di persone appartenenti alla gerarchia ecclesiastica. Ciò significa che la comunità cristiana che fa riferimento al luogo di culto è guidata da un sacerdote. [5]
Anche la chiesa di S. Eufemia di Incino conserva tracce di reperti ascrivibili alla metà del secolo V, mentre gli Atti della Visita pastorale descrivono l'antico battistero a pianta quadrata, in seguito demolito. In questo complesso sono state rinvenute anche tre iscrizioni sepolcrali cristiane risalenti al V secolo, ossia tra il 469 e il 491. [6]
Coevo potrebbe essere anche il battistero di Oggiono, ma mancano reperti archeologici che ne sanciscano l'età [7], e quello di Missaglia, descritto negli Atti della visita pastorale, rifatto nel 1617 e abbattuto nel 1844 per lasciare spazio alla nuova chiesa. Al V secolo risalgono sette epigrafi cristiane che, se non confermano la presenza di una chiesa, testimoniano però l'esistenza di membri appartenenti ad una comunità cristiana. La più antica è stata rinvenuta a Cortabbio in Valsassina" nel 1756 e reca la data del 425 [8]. Delle restanti citiamo le due a noi più vicine: quella di Agrate (487) e quelle di Garlate (491) [9].
La portata del fenomeno si coglie anche dall'esigenza emergente di una organizzazione ecclesiale nell'àmbito della giurisdizione diocesana soggetta al vescovo, per mettere un po' di ordine alla confusione scaturita da una evangelizzazione lasciata alla spontaneità dello spirito missionario e alla autonoma decisione dei possessores. Taluni vorrebbero definire l'àmbito di responsabilità del vescovo applicando il principio latino della territorialità, perciò la diocesi dovrebbe ricalcare i confini dei municipi: ossia la giurisdizione ecclesiastica diocesana coincide con quella della pubblica amministrazione.
Nascono dunque le prime questioni per risolvere le quali viene interpellato papa Gelasio I (492-496), il quale stabilisce che il vescovo non esercita la sua potestà su di un territorio, ma nei confronti di quei fedeli che hanno da lui ricevuto la fede, il sacramento del battesimo e della confermazione. Egli fissa perciò un principio innovativo per il suo tempo, stabilendo l'appartenenza del popolo ad una diocesi in forza del legame sacramentale con il vescovo: «la diocesi non doveva essere definita da delimitazioni confinarie o costituita da determinati luoghi, ... la diocesi non era un territorio definito ma il popolo dei fedeli che faceva capo al vescovo» [10]. Si delinea così una primitiva organizzazione ecclesiale, caratterizzata non da un principio di carattere territoriale ma da un legame sacramentale personale tra pastori e fedeli che, una volta definito, doveva rimanere immutato, identificando così la porzione di popolo appartenente alla diocesi.
All'interno dell'àmbito diocesano invece i fedeli godono di una maggiore libertà di scelta, perché papa Gelasio I stabilisce che «a ciascun fedele (sia) lasciata facoltà di farsi battezzare nella chiesa più vicina o in altra, liberamente scelta» [11].
Ciò significa che ci troviamo di fronte a situazioni locali ancora in fase evolutiva, in cui il rapporto di dipendenza dalla chiesa battesimale elude, anche in questo caso, il principio della territorialità. Il sorgere di nuove comunità nel suburbio cittadino, e più in generale l'ampiezza assunta dal fenomeno, favoriscono la propagazione dei luoghi di culto per i quali papa Gelasio I definisce una liturgia specifica per la cerimonia di consacrazione, inclusa nel Liber diurnus. Essa prevede che nella mensa dell'altare sia praticata una cavità interna, nella quale depositare delle bende o delle stoffe precedentemente poste a contatto con i resti mortali del martire a cui è dedicata la chiesa. Tali reliquie vengono custodite in cassette d'argento o di marmo. In Lombardia sono state scoperte sei di queste capselle.
Se escludiamo quella rinvenuta a Mariano Comense, le altre cinque lipsanoteche provengono tutte dalle pievi limitrofe alla nostra o poco oltre: Garlate, Garbagnate Monastero, Civate, Agliate. Da queste si discosta per fattura la capsella ritrovata nel castello di Brivio, ora conservata al museo del Louvre [12].
La progressiva evangelizzazione delle masse contadine di fatto impedisce a tutti i fedeli di raccogliersi attorno alla cattedra del vescovo, perciò si rende necessario un decentramento delle strutture e dei poteri. E' per questa ragione che nel contado sorgono le chiese battesimali, così chiamate perché dotate di battistero, come ad Agliate, Erba (Incino), Oggiono, Missaglia (per richiamare località a noi note). A presiederle è inviato un presbitero preparato per l'amministrazione del battesimo e la celebrazione della eucaristia. Questi distretti di assistenza religiosa vengono chiamati pievi.
Ambrogio combatte gli ariani
La Pieve
Il termine pieve deriva dal latino plebs e identifica tutte quelle persone che non appartengono al patriziato, ossia al non popolo, la plebaglia, il volgo, la folla: dunque una moltitudine infima, spregevole; quelli che noi oggi chiameremmo emarginati.
Con l'avvento del cristianesimo il nome indica la grande comunità dei battezzati appartenenti ad una giurisdizione diocesana, la Santa Chiesa di Dio, ma perde ben presto il senso biblico di assemblea del popolo di Dio, in quello di chiesa del capopieve, e liturgico di popolo di Dio e di società dei credenti.
Nell'alto Medioevo il sostantivo distingue la comunità cristiana che occupa la campagna, corporativamente organizzata sul piano sociale e civile, ma anche un luogo di culto collocato in una località strategicamente importante, dotato di fonte battesimale, di chiesa, di cimitero, dove i battezzati convengono per le celebrazioni liturgiche. Ora secondo la prima definizione alto medioevale il termine pieve ha il significato pieno di populus, inteso come comunità politica costituente lo Stato, giuridicamente fondata sulla nazionalità comune delle persone che la compongono.
Un mutamento di prospettiva ha origine dal messaggio innovativo portato dalla Chiesa in seno alla società predicando l'uguaglianza, la fratellanza, annunciando la Buona Novella. Valori poi tradotti nei canoni più antichi in disposizioni pratiche, che attribuivano pari dignità a tutti i fedeli. Quindi anche alla plebe è riconosciuto il diritto di partecipare alle elezioni, nella chiesa rurale, del vescovo o del parroco.
Il coinvolgimento della povera gente, dei nullatenenti alla vita pubblica, si allargherà in particolare in occasione delle invasioni barbariche per iniziative di difesa del territorio o anche in altre circostanze quali la realizzazione di opere di pubblica utilità [13].
L'origine della pieve, intesa come ente giuridico ecclesiastico, è un fenomeno assai complesso che si situa in un particolare momento storico, rappresentato dalla caduta dell'Impero avvenuta nel sec. V in seguito alle invasioni barbariche [14]. Come entità territoriale invece è frutto dell'organizzazione amministrativa romana e preromana. Pertanto la sua configurazione primitiva non risponde ad esigenze di ordine pastorale, ma è da ricondurre alle istituzioni delle popolazioni Traspadane assoggettate dai romani, alle quali viene riconosciuta la cittadinanza romana solo nel 49 a. C.
Un ordinamento in cui il substrato delle grandi città non è omogeneamente suddiviso, in quanto i confini delle civitas sono generalmente delimitati da elementi naturali come fiumi o catene montuose, mentre il territorio soggetto alla giurisdizione diretta del municipium e delle colonie risulta diviso in pagi. Tuttavia il rapporto tra le circoscrizioni pagensi e quella municipale non collima, in quanto il pagus può comprendere quegli elementi naturali che delimitano il suolo sottoposto al municipium.
Il pagus dunque non è una entità istituita dai romani, in quanto essi assegnano tale nome al distretto di una comunità preesistente, bensì la continuazione del pago celtico denominato gau. Esso mantiene una sua peculiarità a livello organizzativo, anche quando il municipium estende la sua giurisdizione oltre i confini della città per occupare il suburbio. Infatti sino al sec. IV i quadri amministrativi del pago e del vico risultano soggetti alla magistratura municipale. Resta ignoto il criterio che portò alla sovrapposizione dei due assetti amministrativi, o amministrativo e censuale, poiché per Augusto l'ubicazione dei fondi va definita in relazione al pagus, conservando comunque una discordanza con il territorio. Nel territorio pagense sussiste poi un'altra entità giuridica ed economia ereditata dai romani dai precedenti abitatori celti e liguri: il vicus, ossia il villaggio dove risiede la comunità dei vicani, che vanta possedimenti comuni nell'àmbito dei suoi confini. Questi organismi minori sono quelli più soggetti ai mutamenti, sia nel corso della dominazione romana sia nei secoli successivi, perché la loro esistenza è legata alla presenza della comunità vicana, mentre il pagus, avendo funzione censuale, poteva sussistere anche se spopolato [15].
Ma il pagus non è solo una istituzione amministrativa. Esso è caratterizzato da diversi insediamenti sparsi sul territorio con abitazioni isolate o gruppetti di case. In tale organizzazione: «la pieve non era concepita come la chiesa del maggior centro abitato, che comprendesse la quasi totalità della popolazione del territorio: per questo motivo la pieve non era l'unica o quasi l'unica chiesa del suo territorio ma aveva tante chiese succursali» [16]. La chiesa pievana sorge nel vicus più importante, situato in una posizione militarmente o commercialmente strategica: nelle vicinanze di una grande via di comunicazione, oppure è il centro in cui convengono i vicini perché vi si svolge periodicamente il mercato. Qui sorge il tempio pagano, dove ufficiano i sacerdoti imperiali o quelli della religione locale agreste. I confini del pagus sono riconosciuti ogni anno attraverso una processione: la lustratio pagi. Dunque è un centro di particolare interesse per il territorio pagense sia in relazione alla vita economica e al commercio sia in rapporto alla vita religiosa.
Anche se oggi non è più così indiscussa la tesi che voleva le antiche pievi rurali o primitive parrocchie (salvo le immancabili eccezioni) fondate sopra la struttura pagense, sembra invece acquisita la consapevolezza che le pievi nulla ereditano in termini di beni religiosi dalla primitiva istituzione con la soppressione del paganesimo da parte degli ultimi imperatori [17]. L'elemento di continuità potrebbe essere individuato «nella somiglianza tipologica del funzionamento della pieve rispetto al funzionamento del centro religioso del pago». [18]
E' dunque in questa cornice solidamente strutturata nelle sue forme istituzionali che nei primi secoli penetra e si propaga la fede cristiana, inizialmente tollerata, poi aspramente combattuta ed infine apertamente proclamata. La conferma che nelle nostre campagne risiedono comunità di cristiani spiritualmente assistiti dal sacerdote la troviamo nel primo canone del concilio di Vaison (529), il quale impone ai preti della Gallia di abitare presso le chiese battesimali come fanno i confratelli italiani. Ma c'è di più. Costoro ospitano in casa dei giovani chierici che guidano nella formazione spirituale, istruendoli nella celebrazione della parola divina e nella recita dei salmi per formare degni successori. In conclusione possiamo ritenere che la pieve nel sec. V disponga di un clero residente gerarchicamente organizzata, che garantisce una assistenza spirituale nei confronti di quei cristiani che la vogliono ricevere ma non estesa a tutte le comunità del territorio, che sono libere di riferirsi ad una diversa chiesa battesimale (paroecia) o di aderire ad una diversa comunità battesimale (plebes). Ciò che manca è la definizione di un territorio all'interno del quale il clero esercita la sua potestà. Perciò «l'esistenza di chiese battesimali non deve far pensare all'immediata costituzione di pievi (...), perché queste sono costituite da un centro con chiesa battesimale e da altre località minori, i cui abitanti confluivano appunto alla chiesa plebana. Proprio una qualche lentezza dell'evangelizzazione delle campagne, a causa della tenace adesione ai culti pagani, fa pensare ad un succedersi di tappe o momenti che solo più tardi daranno la possibilità di costituire una pieve» [19].
La resistenza del Cattolicesimo in età Longobarda. (secoli VI - VIII)
Un freno alla diffusione del cristianesimo è posto dalle invasioni barbariche. Per un settennio i Longobardi vagano per le campagne dell'Italia settentrionale uccidendo i sacerdoti e saccheggiando le chiese, come testimonia Gregorio di Tours nell'Hystoria Francorum. Un altro storico dell'epoca, Paolo Diacono, nell'Hystoria Longobardorum conferma che nei sette anni successivi all'arrivo di Alboino i Longobardi percorrono le campagne «saccheggiando le chiese ed uccidendo i preti, distruggendo le città e sterminando gli abitanti» [20].
Le nozze tra re Autari e la cattolica Teodolinda (589) pongono fine alle scorrerie, determinando condizioni favorevoli per una ripresa della evangelizzazione di cui si fanno carico i cenobiti in mancanza di sacerdoti. L'azione è lenta e faticosa perché non sostenuta da alcuna iniziativa ecclesiale, ma frutto della spontaneità di monaci ed eremiti, tra i quali il più celebre è il monaco irlandese Colombano. I frutti non tardano ad arrivare grazie al consenso e alla disponibilità di Teodolinda che favorisce il processo di conversione dei Longobardi. Alla sovrana si deve la fondazione della basilica di S. Giovanni nella corte regia di Monza. Di origine longobarda è la chiesa battesimale di Desio. A re Cuniberto è attribuita la chiesa di S. Giorgio di Cornate (690).
Nel 745 si dà poi esistente la chiesa battesimale di S. Stefano di Vimercate. A questo secolo risale la chiesa di S. Pietro di Beolco [21].
In un capitolare del re Pipino, forse celebrato nel 782, si stabilisce che devono provvedere al restauro delle chiese battesimali e degli oratori coloro che già da tempo li hanno fatti costruire, e «ordinò che tanto la corte regia quanto i privati esponenti della società del regno (i Longobardi) vi conservassero quei poteri che da lungo tempo per consuetudine avevano avuti» [22]. Da questo impegno protratto nel tempo non scaturiva un diritto di proprietà ma certamente l'esercizio di alcuni poteri. Quando il re dei Longobardi Alboino il 3 settembre 569 entra in Milano, probabilmente per timore di rappresaglia il vescovo Onorato (560-571 ca.), unitamente al clero della cattedrale, si ritira a Genova, dove gli arcivescovi milanesi fanno residenza fino a quando lo stesso popolo invasore conquista la Liguria ed il presule di quel tempo, Giovanni Bono (641-659), stabilisce di riportare la sede nella capitale lombarda. Durante il regno di Teodolinda le chiese esistenti sono sottoposte a restauri e le donazioni ai luoghi santi sono numerose. Ma quale venerazione nutrono i Longobardi nei confronti di Ambrogio ?
Al riguardo è significativo un codice conservato nella Biblioteca Capitolare di Verona redatto intorno all'anno 871 ma che risalirebbe al 739, dunque all'età Longobarda (569-774). E' un appassionato elogio a Milano", presentata come città nobile, spaziosa, ricca, fiorente, ben difesa da una cerchia di mura con nove porte. Elenca le chiese appartenenti a Milano ma l'accenno ad Ambrogio è assai laconico, in quanto semplicemente definito come presul magnus (grande vescovo) e l'autore non ne tesse l'elogio e nemmeno dichiara che è il patrono della città. Reticenza incomprensibile se pensiamo che l'appellativo derivato dal nome del patrono diventerà sinonimo dell'aggettivo derivato nome della città stessa: ambrosiano = milanese. Un atteggiamento però che trova giustificazione nel periodo storico in quanto i Longobardi provengono dall'arianesimo, mentre la figura più significativa per l'Occidente contro tale eresia, che nega la divinità di Cristo, è proprio Ambrogio.
La formazione dei distretti pievani in età carolingia e l'Istituzione delle decime
(sec. IX - X)
La presenza in àmbito diocesano di un considerevole numero di chiese battesimali e di comunità cristiane che a loro si riferiscono, porta all'attenzione dei vescovi l'esigenza e l'urgenza di sottoporre alla loro potestà tali centri. Perciò nel concilio romano dell'826, i presuli concordano di adottare provvedimenti in tal senso perché le chiese battesimali, siano soggette all'autorità del vescovo. A costoro spetta il compito di amministrarle attraverso delegati da essi nominati chiamati Arcipreti, in sostituzione dei semplici diaconi, i quali detengono un'autorità specifica e devono essere scelti tra persone che «avessero anche lo splendore delle virtù necessarie» per esercitare tale incarico [23].
Al riguardo i vescovi della Longobardia affermano in un sinodo celebrato a Pavia nell'850 che: «come il vescovo era capo della chiesa matrice (cattedrale), così gli arcipreti dovevano essere a capo delle pievi» [24], stabilendo così una pari dignità gerarchica di chiesa e di ufficio all'interno della giurisdizione diocesana. Principio riconfermato nell'864 in un sinodo dei vescovi della provincia milanese. A coloro che contravvenivano a tale disposizione, ossia rifiutavano di collocare dei responsabili a capo delle singole chiese veniva comminata la scomunica. L'arciprete viene eletto dai preti e dai chierici della pieve, che scelgono tra loro la persona da elevare a tale incarico, elezione che successivamente deve essere confermata dai fedeli.
Nel caso in cui non ci sia nessun chierico degno di virtù da destinare a tale compito, il vescovo può eleggere un presbitero diocesano. Diverse sono le funzioni spettanti all'arciprete: garantire la cura pastorale assidua dei fedeli, del clero residente presso gli oratori dipendenti e riferire al vescovo sulla condotta tenuta dai presbiteri; individuare in seno alla pieve i peccatori pubblici, che il vescovo poteva poi conciliare; scegliere i preti idonei a rimettere i peccati privati. E' importante sottolineare che non ci troviamo di fronte ad un riciclaggio dell'esistente, perché i nuovi centri ecclesiastici del contado sorgono là dove già è presente un luogo di culto, la chiesa battesimale, ma rivestono connotazioni diverse rispetto all'antica struttura: «la pieve era il centro dell'organizzazione ecclesiastica e della vita religiosa del contado. La chiesa pievana aveva peculiari funzioni di cura d'anime, che consistevano essenzialmente nell'amministrazione dei sacramenti (del battesimo, in primissimo luogo, e della cresima e degli altri), nella predicazione e nella Messa pubblica nei giorni festivi. In queste funzioni era indicato il fondamento dell'obbligo, che avevano i fedeli, di restaurare la chiesa pievana e di pagare ad essa la decima» [25].
Le definizione di un territorio soggetto alla responsabilità dell'arciprete impone anche la gerarchizzazione della chiesa rurale: nell'àmbito della pieve sorgono e si organizzano nuovi oratori, o tituli, soggetti con il loro clero all'autorità pievana. Abbiamo dunque una nuova entità giuridica: la plebs cum capellis, alla quale spetta la riscossione delle decime imposte con una disposizione capitolare del 780-790, riconfermate con il capitolare Mantovano Generale dell'813 e ribadite nel capitolare di Lotario I del febbraio 832. Non sono però soggette a tale obbligo le chiese private che non dipendono del vescovo. Eccezione che in età franca trova larga diffusione, sottraendo così alla chiesa pievana una fonte di reddito che finisce per minacciare la stabilità incrinando l'autorità del vescovo. Questi oratori sorgono spesso presso le case dei nobili e dei potenti e vi si celebrano gli uffici religiosi per cui costoro in genere non partecipano con i fedeli alla celebrazione, mentre «avrebbero avuto maggior bisogno a sentire una predica» [26], perché pubblicamente si possono invitare i potenti ed i ricchi ad «astenersi dalle rapine e dai soprusi a danno degli umili e di redimere i propri peccati con l'elemosina».
Diversamente, se presso la chiesa pievana si recano solo i poveri al predicatore non resta che richiamarli a «sopportare pazientemente le sventure e le miserie» [27]. Comunque anche se i signori vengono invitati a partecipare alla messa pubblica, di fatto non è impedita la celebrazione presso le loro chiese, ma si chiede che i sacerdoti che vi celebrano siano autorizzati dal vescovo. Nel Capitolare pavese di Carlo il Grosso, del febbraio 876, si afferma che gli abitanti della campagna nei giorni festivi devono partecipare solamente alla S. Messa della pieve.
Nel concilio di Pavia dell'anno 845-850 i padri stabiliscono che i proprietari di chiese private non versino le decime ai chierici che in esse vi ufficiano ma alla chiesa battesimale dove ricevono i sacramenti. Una deroga alla norma è permessa dal sinodo milanese dell'anno 864 su autorizzazione del vescovo. Al sec. IX risale il documento diocesano più antico in cui compare il termine plebs nel senso di giurisdizione ecclesiastica. E' un atto dell'846 inerente la fondazione di una chiesa privata dedicata a S. Siro entro il territorio della plebs sancti Stephani sita Legitum (Leggiuno).
Il primo impatto della chiesa milanese con la politica dei Franchi è a livello liturgico e rischiò la soppressione del rito ambrosiano perché Carlo Magno perseguiva un piano di unificazione liturgica attraverso il quale doveva passare l'azione culturale dei popoli. Di questa vicenda si è impadronita la leggenda che vuole i due sacramentari, quello romano e quello ambrosiano, collocati in S. Pietro per una speciale ordalia o giudizio di Dio. Sigillati, dopo tre giorni di preghiera furono miracolosamente trovati aperti. Ma quale sia stato l'influsso della politica carolingia in seno alla città di Milano lo vedremo meglio trattando della basilica di S. Ambrogio.
Le strutture ecclesiali nei secoli XI e XII
In un capitolare di Ludovico II o Lotario si stabilisce che appartengono alle cappelle private le decime del nucleo centrale della corte, ossia di quella parte soggetta alla conduzione diretta, mentre i contadini dipendenti che coltivano la terra a masserizio sono tenuti a versare le loro decime alla pieve in cui risiedevano.
Tale distinzione deriva dal fatto che le terre della corte sono disperse su di un territorio assai vasto, quindi in molti casi lontane dal centro curtense padronale, mentre risultano più vicine al centro di organizzazione ecclesiastica. Quindi all'interno della pieve vanno formandosi delle enclaves ma in genere le cappelle private non riescono a diventare il centro della cura d'anime e a trasformarsi in parrocchia per tutti i dipendenti della corte. Probabilmente tale situazione rallenta il costituirsi di centri ecclesiastici minori nell'àmbito pievano. Inoltre non siamo ancora in grado di definire i confini della pieve, ossia se ricalcano la circoscrizione del pago romano o preromano oppure no, e non è sufficiente supporre tale ipotesi con il sorgere della chiesa battesimale nel centro di culto pagense [28].
I proprietari di cappelle private godono di diritti e privilegi anche di natura ecclesiastica che possono trasmettere ai loro discendenti. Tra il X e l'XI secolo si formano nuove pievi, forse in seguito all'incremento demografico, tuttavia rimane invariata la struttura organizzativa. Dalla prima metà del secolo XII sino all'inizio del successivo sorgono all'interno della giurisdizione pievana nuove realtà: le parrocchie. Alcune delle cappelle erette nel corso dei precedenti secoli acquistano una maggiore autonomia nei confronti della chiesa pievana, appropriandosi di talune prerogative un tempo ad essa sola riservate, esercitate all'interno di un territorio definito nel tempo in relazione all'assistenza spirituale elargita nei confronti dei fedeli. Una territorialità influenzata da un nuovo assetto organizzativo civile in atto che è quello delle signorie, scaturito dalla concentrazione dei beni del possessore locale più dotato che insieme ai diritti signorili acquista anche potere [29], che porterà alla costituzione di nuovi insediamenti residenziali chiamati villaggi. Comunque la pieve mantiene ancora qualche prerogativa peculiare come l'amministrazione del battesimo. Generalmente «avevano la facoltà di battezzare o anche il battistero le cappelle di corti o, curie regie, poiché queste propriamente non appartenevano a nessun territorio pievano. Costituivano eccezione le due chiese dalla corte regia di Arosio, che non aveva né battistero né diritto di battezzare» [30].
Le cappelle dotate di fonte battesimale possono amministrate il sacramento del battesimo solo con l'acqua battesimale prelevata presso la pieve il Sabato santo, appositamente consacrata. Sempre presso la chiesa pievana si prende il crisma e l'olio santo per la cresima, l'ordinazione sacramentale dei chierici, la consacrazione delle chiese e degli altari. Ad un sacerdote della chiesa pievana spetta la remissione dei peccati privati, funzione poi delegata al rettore della cappella, mentre la penitenza pubblica può essere assolta dal vescovo o dal pievano. Anche il diritto di sepoltura viene decentrato dalla pieve alle cappelle.
Quando una famiglia si insedia in una nuova abitazione è abitudine che «il primo fuoco in una casa (era) acceso e benedetto dal rettore della cappella-parrocchia (...): il fuoco rappresentava emblematicamente l'unità familiare, ed era pure l'unità di contribuzione pubblica e privata, detta anch'essa focus» [31]. Il rito aveva anche valore ricognitivo della giurisdizione parrocchiale. Continuando l'antica tradizione delle litanie triduane, ogni anno l'arciprete della pieve raggiunge le cappelle dei villaggi in processione, accompagnato dal clero e dal popolo, accolto dai chierici e dai fedeli residenti.
Ambrogio interdice a Teodosio l'ingresso in chiesa
La processione riveste anche un carattere giurisdizionale in quanto avviene all'interno dei confini, ribaditi in tale circostanza. Particolarmente solenne è la celebrazione della festa del santo patrono o di un altro santo. In queste circostanze l'arciprete ed i chierici della pieve raggiungono la cappella dove cantano il vespro nella vigilia e celebrano la santa messa il mattino del giorno successivo.
Il cappellano è tenuto ad offrire il pranzo «stabilito minuziosamente dalla tradizione sia nel numero delle persone che ne avrebbero beneficiato, sia nella quantità e qualità dei cibi o altri donativi» [32]. Tra le prerogative spettanti all'arciprete della pieve vi è quella di eleggere i cappellani, ma molto spesso si appropriano indebitamente di tale diritto i signori (laici o monasteri) che detengono ampie proprietà nel territorio o i vicini del comune o del luogo stesso. Queste controversie spesso degenerano a tal punto da essere sottoposte all'autorità del vescovo. Con il sorgere di queste cappelle che garantiscono l'assistenza spirituale ai fedeli di un territorio, la chiesa pievana pur mantenendo alcune funzioni peculiari restringe sempre più il suo raggio d'azione ad un territorio che diventa quello della sua parrocchia, corrispondente alla signoria territoriale detenuta dal signore del luogo. Ma accanto ai signori nell'arco del sec. XII incominciano ad apparire anche i vicini come singoli prima, come collettività o universitas attraverso i loro delegati o i loro rappresentanti istituzionali poi, ossia i consoli: «La formazione delle parrocchie rurali fu, sulla base di una realtà ambientale preesistenti, e a volte antichissima, un fatto nuovo, organicamente connesso con la costituzione della signoria territoriale e del comune rustico» [33].
La Parrocchia
Come già abbiamo accennato, gli inizi del secondo Millennio registrano un diffuso processo di trasformazione e rinnovamento in seno alla società altomedievale per una concomitanza di fattori. Contemporaneamente alla ripresa delle istituzioni civili si assiste ad una rinascita della Chiesa. Nel corso del sec. XIII incomincia a prendere forma un nuovo sistema di giurisdizione ecclesiastica: la Parrocchia.
Il significato più proprio del termine, che deriva dal greco paroecia, vicinia o accolarum conventus, è impiegato per designare le diocesi quanto le pievi [34]. Vicinus proviene da vicus, che nel latino classico vuol dire agglomerato di case [35], ossia un modesto nucleo di fabbricati che, riferito alla realtà rurale, rappresenta il villaggio, il paese. Dal sostantivo vicus è scaturito quello di vicini o vicinie, che contraddistingue i componenti delle piccole comunità rurali. La vicinia deriva quindi dalla necessità di alcune persone di aiutarsi vicendevolmente nel risolvere i problemi contingenti della vita quotidiana. Tale organizzazione amministrativa, già vigente nell'Impero romano, diventa poi il villaggio medievale [36]. In campagna forme di comunanza di vita in un territorio almeno approssimativamente definito, esistevano sin dall'origine del villaggio che spesso risaliva all'età preromana, quando già per motivi politici, economici e religiosi si erano stabilite delle consuetudini comunitarie [37].
Inizialmente l'evoluzione è assai lenta. Il processo riceve una spinta benefica allorquando: «i Vicini trovano nella chiesa, posta a centro morale e religioso della Vicinia, un fattore grandissimo di forza unitiva non solo per la vita religiosa, ma anche per quella sociale e civile» [38].
E questo si verifica nel periodo delle lotte comunali milanesi, quando l'anelito di libertà porta alla costituzione nelle campagne del comune rurale. Nel diritto pubblico romano parochia distingue un gruppo di province governate da un alto funzionario chiamato vicario, mentre nel diritto ecclesiastico occidentale indica il territorio retto da un vescovo, prima di riferirsi alla odierna modesta circoscrizione [39]]. Sotto il profilo giuridico gli elementi costitutivi della parrocchia sono tre: la chiesa, l'ufficio ecclesiastico, il territorio e la popolazione [40]. Per giurisdizione parrocchiale si intende, quindi, l'àmbito territoriale all'interno del quale il Parroco o Curato, esercita la sua azione sacramentale e di evangelizzazione ed è responsabile, sotto il profilo spirituale, dei fedeli che costituiscono la comunità locale, e dal lato materiale degli immobili che compongono il Beneficio parrocchiale. Il simbolo visibile che contraddistingue ogni singola parrocchia è rappresentato dalla chiesa parrocchiale o matrice, dove convergono i fedeli per partecipare ai Sacramenti o alla liturgia. E' solo qui, infatti, che si amministra il Battesimo, si celebra la Santa Messa domenicale, e in tutte le altre feste di precetto, i matrimoni, i funerali e si confessa.
Liber Notitiae Sanctorum Mediolani
Il documento a cui abbiamo pensato di riferirci per ripercorrere la diocesi ambrosiana alla ricerca delle chiese dedicate a S. Ambrogio è il Liber Notitiae Sanctorum Mediolani. Un catalogo redatto da Goffredo da Bussero attorno al 1289 (certamente prima del 1311) in cui l'autore stende un repertorio alfabetico dei santi venerati sia nella città di Milano che in diocesi. Di ciascuno riporta l'elenco completo degli altari, oratori o chiese che gli sono dedicate, oltre ad altre notizie di carattere liturgico seguite da un breve racconto sulla vita, passione e miracoli, ricavate da documenti d'archivio o amministrativi redatti per scopi fiscali. Le finalità a cui mira Goffredo da Bussero sono: rendere noti i nomi dei santi venerati nella diocesi milanese; evitare confusioni nelle celebrazioni liturgiche; evitare che i pittori cadano in errore nella loro rappresentazione (finalità didattica della iconografia - vedi Civate S. Pietro e S. Calocero, sono rappresentanti alcuni episodi significati della Bibbia - Giudizio di S. Pietro); segnalare i santuari più indicati alla pietà; informare i predicatori di quegli altari dove le celebrazioni richiedono la loro opera; offrire ai poveri un riassunto economico sulla loro vita. Purtroppo il catalogo presenta evidenti lacune, poiché non sono citate le chiese dedicate a S. Giorgio e S. Ambrogio e non è chiaro il motivo di tale omissione: forse richiamate in un opuscolo a parte dall'autore o per una svista del copista. Per quanto riguarda S. Ambrogio l'opera ne denuncia solo undici nel contado (direttamente o indirettamente) mentre allora le chiese forensi intitolate al santo erano 180, come attesta un codice della Biblioteca braidense (A E X 10, f. 114r). [41]
Nella città di Milano troviamo :
01 - la basilica di S. Ambrogio
02 - Ambrogio ad Nemus
03 - S. Ambrogio in Solariolo (via S. Maurilio - abbattuta nel 1787)
04 - S. Ambrogio in loco zigago (località non identificata)
Nel contado invece abbiamo :
05 - S. Ambrogio a Briosco (199 B; durante l'episcopato carolino si verifica l'unificazione dei titoli, essendo l'antica parrocchiale di S. Vittore troppo distante dal borgo, il titolo viene trasferito in S. Ambrogio, tuttora esistente; l'ultima ristrutturazione risale al 1951);
6 - S. Ambrogio a Carate (261 D - risale al 956 una permuta di fondi siti in Carate tra la chiesa di S. Giovanni e quella di S. Ambrogio di Monza per cui l'intitolazione potrebbe essere suggerita dalla presenza monzese - S. Ambrogio era all'interno delle mura, S. Simpliciano all'esterno - con lo sviluppo del borgo S. Carlo decreta l'unione - coabitazione difficile di due parroco costretti a celebrare bella stessa chiesa fino al 1767 in seguito ad un atto della S. Sede - l'edificio attuale risale al 1774 - nel 1779 perizia del Pollak - è completata agli inizi dell'800 da Simone Cantoni);
07 - S. Ambrogio a Monte (218 D - Montesiro - S. Siro prevale su S. Ambrogio e S. Michele", allora altari secondari); tutte nella pieve di Agliate;
08 - S. Ambrogio di Cormano (246 C - inesistente già nel 1566) nella pieve di BruzzanoI;
09 - S. Ambrogio di Bolladello (196 B - esistente, dalla pianta quadrata del 1566 si passa alla rettangolare del 1684 - ristrutturato a fine ‘700 e ‘800 - di rilievo il portale con quattro formelle che richiamo fatti della vita di S. Ambrogio) nella pieve di Gallarate
10 - S. Ambrogio con S. Margherita (275 C - si è persa ogni traccia) a Cantù nella pieve di Galliano
11 - S. Ambrogio di Rozzano (234 B - al piccolo edificio di 5 x 11 mt del 1566 se ne sovrappone un altro di 11 x 16 nel 1615 conserva alcuni affreschi del sec. XVI, da Federico Borromeo attribuiti al Luini) nella pieve di Locate
12 - S. Ambrogio di Vaiano (166 B e 303 C - la struttura è vetusta al tempo dei primi visitatori carolini che ne ordinano l'abbattimento) nella pieve di S. Donato Milanese
13 - S. Ambrogio di Cortenova" (260 C e 303 B - nel 1564 ha già mutato intitolazione a favore dei SS. Gervaso e Protaso) nella pieve di Valsassina
14 - S. Ambrogio di Morosolo (173 D - la chiesa è menzionata in un atto del 1179 - l'attuale struttura è del Seicento - Ambrogio è rappresentato in un mosaico della facciata - S. Monte - Castagne - api) nella pieve di Varese
Anche se siamo ben lontani della 180 chiese in onore di S. Ambrogio, a quelle presenti nel Liber Notitae sanctorum Mediolani possiamo aggiungerne 17, per un totale di 31.
15 - S. Ambrogio di Olgiate Calco (menzionato in alcune carte del sec. XII, secondo il Dozio era l'antica parrocchiale. Ricostruito nel 1526 ha subito un successivo ampliamento perché l'aula passa da 6 x 3,5 m nel 1610 a 4 x 11 m. Nel 1754 è privata (Calchi). Nel 1610 era affrescata la parete dietro l'altare con una Crocifissione e tra i santi c'è S. Ambrogio, riprodotto anche sulle pareti laterali, ma non più menzionato dal Pozzobonelli) nella pieve di Brivio
16 - S. Ambrogio di Cisano Bergamasco (compare in una carta del 968. E' l'antica parrocchiale di Villa Sola in cattivo stato nel 1566/70 e non è più richiamata negli Atti successivi) nella pieve di Brivio
17 - S. Ambrogio Vescovo e Dottore di Trezzano sul Naviglio (la tradizione la vuole eretta tra il 1130 e il 1170 dai canonici di S. Ambrogio di Milano. La chiesa viene allungata nel 1604 e l'interno mantiene un aspetto goticheggiante per ampi e bassi arcani. Conserva uno splendido affresco del Luini, Madonna col Bambino) nella pieve di Cesano Boscone
18 - S. Ambrogio di Vignate (documentata nel 1209 - al tempo di S. Carlo è distinta in due navate - una sola nel 1604 in seguito all'ampliamento - ristrutturata nel 1727 ha subito altri rimaneggiamenti nel 1828 e nel 1902) nella pieve di Corneliano, poi Gorgonzola
19 - S. Ambrogio di Arcellasco (da un contratto del 1212 tra le coerenze c'è la chiesa di Casate = Incasate, Incassata - Atti carolini attribuiscono alla parrocchia di Brugora la chiesa di S. Ambrogio di Camugiano o Comazzano o Lumazzano - al tempo del Pozzobonelli era sede della Confraternita del SS. Sacramento - esistente - privata) nella pieve di Incino
20 - S. Ambrogio di Inverigo (esistente nel 1291, più volte rimaneggiata, l'ultimo intervento è del 1930 su progetto dell'architetto Paolo Mezzanotte. Si conserva un pregevole quadro di Bernardino Campi (1522-1591) che raffigura la Vergine col Bambino) nella pieve di Mariano
21 - S. Ambrogio di Monza (vedi Carate 956). Qui viene sepolto Gerardo de Tintori per cui dal 1300 i monzesi iniziano a chiamarla chiesa di S. Gerardo. La Chiesa lo eleva agli onori degli altari come beato nel 1606. Ricostruita nel 1836 su disegno dell'architetto Giacomo Moraglia, dal 1980/90 è sede di una parrocchia in via Amendola che recupera l'antico titolo) nella pieve di Monza ?
22 - S. Ambrogio di Cornaredo (citato in una bolla pontificia del 1169, di esso si perdono ben presto le tracce) nella pieve di Nerviano
23 - Cascina S. Ambrogio di Brugherio (monastero fondato nel 1098 - tradizione, possedimenti lasciati da S. Ambrogio in usufrutto alla sorella Marcellina - si vuole la primitiva struttura eretta nel sec. IV - l'attuale chiesa sarebbe sorta sulle fondamenta del più antico oratorio - pala con Cristo affiancato da S. Ambrogio e S. Agostino - S. Ambrogio e S. Marcellina - martirio di S. Sebastiano assistito da papa Liberio - qui fino al 1613 si conservano le reliquie dei SS. Maghi che la tradizione vuole portate da Costantino dall'Oriente, il quale le avrebbe consegnate a S. Eustorgio che ne fece dono a Marcellina) nella pieve di Monza.
24 - S. Ambrogio di Legnano (esistente nel 1257. Qui si vorrebbe sepolto l'arcivescovo Leone da Perego, che, bandito dal popolo milanese, si era rifugiato a Legnano) nella pieve di Parabiago
25 - S. Ambrogio di Verdello (citato in una carta dell'869, ora appartiene a Bergamo) nella pieve di Pontirolo
26 - S. Ambrogio di Valsolda (secondo la Guida della Diocesi 1977 esistente nel 1100. La zona era centro dell'eresia catara. Qui si conserva uno dei più interessanti affreschi sulla vita di S. Ambrogio - Teodosio, Ordinazione episcopale, Trapasso. La chiesa ha subito rifacimenti notevoli con l'inversione dello orientamento) nella pieve di Porlezza
27 - S. Ambrogio di Coronate (Morimondo - qui l'arcivescovo deteneva una chiesetta dedicata a S. Ambrogio) nella pieve di Rosate
28 - S. Ambrogio di Settala (è l'unica pieve dedicata a S. Ambrogio, menzionata in un documento del 1157. Il nome della pieve deriva da una illustre famiglia. Quando la visita S. Carlo nel 1573 aveva 7 altari. L'attuale edificio risale al 1716 mentre una incisione sul portale della canonica (1476) potrebbe rivelare una influenza della Canonica di S. Ambrogio, perché un prevosto riferisce di dispute tra il Prevosto di Settala e quello di S. Ambrogio, tuttavia non è chiaro l'oggetto della contesa e molti manoscritti sono andati dispersi) nella pieve di Settala.
29 - S. Ambrogio di Chironico, Svizzera (esistente nel 1223 - di particolare interesse gli affreschi sulla vita di Ambrogio) nella pieve delle Valli Svizzere e in Val Capriasca
30 - S. Ambrogio di Pizzino (una incisione apposta ad una lapide murata nella più antica chiesa reca la data del 1010. La chiesa è stata ricostruita più a monte rispetto alla precedente struttura dall'architetto svizzero Antonio Bergio nel 1716) nella pieve di Primaluna-Valsassina.
31 - S. Ambrogio di Sulbiate (monastero benedettino elencato nel registro dei Censi del 1192, un tempo era decorato da diverse immagini sacre: tra i santi presente S. Ambrogio) nella pieve di Vimercate
Ciononostante abbiamo ritenuto opportuno prendere questo documento come riferimento - criticamente rivisto da Mons. Gualberto Vigotti che ha individuato e correttamente attribuito al territorio di appartenenza alcune località in precedenza sconosciute - perché ci consente di ricostruire la mappa più antica della diocesi attraverso le pievi, prima che le stesse subissero in seguito mutamenti nei loro confini, come consta da due altri cataloghi ecclesiastici a cui accenneremo tra poco, o a causa della riorganizzazione operata da S. Carlo durante il suo episcopato [42].
Notitia Cleri Mediolanensis de anno 1398
Un secondo importante documento utile alla individuazione delle chiese dedicate a S. Ambrogio è rappresentato dalla Notitia Cleri Mediolanensis de anno 1398. [43]
Anche in questo caso si tratta di un elenco di chiese che, con il trascorrere del tempo però, diminuiscono di numero. Esso delinea uno stato della chiesa milanese alla fine del sec. XIV assai più generico rispetto al precedente, perchè molto spesso omette anche il santo titolare della cappella, così infatti sono chiamati i luoghi di culto. Accanto a ciascuna il reddito, probabilmente il primo cespite dei benefici parrocchiali. La nota è compilata dal Fisco e ci presenta la diocesi divisa in pievi.
Se scorriamo la distinta troviamo il santo patrono apertamente dichiarato per 32 volte mentre in 5 casi non essendo espresso il santo titolare dobbiamo presupporre che si tratti di una chiesa dedicata a S. Ambrogio in quanto attestata da altri documenti. Comunque sono diversi gli enti ai quali vengono attribuite le entrate: 1 altare, 1 canonica, 1 domus, 1 feudo, 1 obbedienza, 2 ospedali, 2 monasteri, 3 cappelle in chiese dedicate ad un altro santo, 8 cappelle incerte e solo 17 dedicate a S. Ambrogio. Invece se raggruppiamo i diversi enti per pievi troviamo al primo posto la città di Milano con 8 entità; 3 nelle pievi di Agliate, Brivio, Gallarate e Varese; 2 nelle pievi di Desio, Gorgonzola e Pontirolo; 1 sola a Cesano, Corbetta, Galliano, Leggiuno, Locate, Mariano, Mozzate, Olgiate Olona, Rosate, Valtravaglia, Vimercate.
Morte di Ambrogio
Liber Seminarii Mediolanensis
Questo prezioso documento rinvenuto da mons. Marco Magistretti e pubblicato in Archivio Storico Lombardo del 1916 è di particolare interesse storico perché ci offre uno spaccato della diocesi ambrosiana prima della grande riforma messa in atto dal Concilio di Trento, che non è solo di carattere dottrinale ma anche di riordino dei benefici per meglio provvedere all'assistenza religiosa del popolo. La sua compilazione risale al 1564 in occasione dell'erezione dei seminari diocesani, resa obbligatoria con il decreto conciliare del 15 luglio 1563. A sostegno delle ingenti spese che si preannunciavano a carico di ogni diocesi, viene imposta una tassa su tutte le rendite beneficiarie, o di altri enti sottoposto all'autorità ecclesiastica, stabilita da una commissione speciale di delegati del clero diocesano. Completato il 5 ottobre 1564 diviene operante il 21 gennaio 1565.
La distinta riporta nella prima parte i benefici più ricchi, poi seguono tutti gli altri. La divisione cittadina è per porte (sei), mentre quella dell'agro, distinto per pievi, le rendite sono raggruppate sotto il nome delle canoniche dei capoluoghi in ordine alfabetico. Seguono i benefici della Gera d'Adda e dell'Agro Borgomense; tra i due gruppi figurano gli elenchi delle case religiose, degli hospitali, delle confraternite e dei luoghi pii.
Ovviamente soffermiamo la nostra attenzione sulle intitolazioni ambrosiane: su 2165 benefici quelli che a diverso titolo rimandano a S. Ambrogio sono 54 (2,49%) inequivocabili perché è espressamente richiamato il santo, ossia 1 abbazia, 1 canonica, 13 cappelle, 2 chiericati, 1 convento, 1 domus, 1 feudo, 2 monasteri, 2 ospedali, 2 parrocchie, 1 prepositurale, 20 rettorie, 2 scuole. A queste potrebbero aggiungersi 4 cappelle la cui identificazione è incerta in quanto si trovano in località dove è segnalata in altri cataloghi una chiesa dedicata a S. Ambrogio. Tuttavia a volte ritrovandosi nel territorio più di una chiesa non abbiamo la certezza che quella censita sia intitolata a S. Ambrogio [44].
Le Visite Pastorali
Una fonte preziosissima per la ricostruzione delle vicende relative alle singole chiese è rappresentata dagli Atti redatti in occasione delle Visite pastorali, depositati presso l'Archivio Storico Diocesano di Milano, che possono essere distinti in due periodi: pre e post tridentini. Prima del Concilio di Trento ricordiamo tra le più significative quelle di: Carlo Gabriele Sforza (1454-1457); Stefano Nardini (1461-1484); Guidantonio Arcimboldi (1489-1497). La documentazione, scarsa prima del Concilio di Trento (1545-1563), diventa cospicua con l'inizio dell'episcopato del primo Borromeo.
Fedele esecutore dei decreti tridentini, S. Carlo invia nella vasta diocesi milanese prima i suoi delegati e poi egli la percorre personalmente almeno tre volte. Gli Atti di visita sono relazioni minuziose, descrittive dei luoghi di culto, della suppellettile, dei benefici ecclesiastici, di quanto avviene in parrocchia. Ad essi seguono le Ordinazioni attraverso le quali il santo arcivescovo ordina, ammonisce, rimprovera, esorta.
Leggendo i manoscritti, soprattutto dei primi visitatori, ci si rende conto di quanto fosse abbondante allora il patrimonio edilizio riservato al culto e al cattivo stato in cui versava. Tanto che sovente il delegato impone l'abbattimento di chiese ed oratori fatiscenti con il vincolo di impiegare il materiale nella ristrutturazione o costruzione di nuove chiese. E' assai raro che un edificio ecclesiastico non necessiti di interventi, tutti sono carenti e non conformi alle disposizioni prescritte nelle Istruzioni generali.
Un altro arcivescovo che ha lasciato una abbondante ed ordinata documentazione è il Card. Federico Borromeo (1595-1631). In questo caso si tratta di veri e propri volumi di centinaia di pagine in cui è minuziosamente descritta la parrocchia in ogni suo particolare, seguendo uno schema preciso, e preziose - oltre che opere di indubbio rilievo artistico - restano le planimetria realizzate ad acquerello delle pieve o parrocchie. Potremmo continuare con tanti altri arcivescovo ma vogliamo concludere citando il Card. Pozzobonelli (1743-1783) che ci ha consegnato relazioni redatte con tanta diligenza e Andrea Carlo Ferrari (1894-1921) [45].
Metodologia
Nella stesura della presente ricerca in primo luogo ho interpellato, attraverso l'Associazione S. Agostino, le singole parrocchie dedicata a S. Ambrogio o condivise con altri santi, e tutte quelle parrocchie in cui ho rilevato la presenza di una chiesa sussidiaria in suo onore. Purtroppo sono state pochissime quella che hanno inviato un minimo di documentazione storica e fotografica, dopo avere telefonato personalmente ad ogni parroco, per cui ho interpellato le relative Biblioteche ottenendo qualche risultato migliore ma sempre insufficiente. Quando ho iniziato ad organizzare il lavoro mi sono trovato con numerose chiese senza alcuna notizia. Allora, nella seconda metà del mese di luglio ho cercato di attingere direttamente alle fonti archivistiche. Purtroppo però non sono riuscito a perseguire una indagine minuziosa e costante per tutte le pievi della Diocesi, ma mi sono concentrato prevalentemente su quelle dove avevo qualche indizio certo, ricavato cataloghi più sopra descritti, dal Dizionario della Chiesa Ambrosiana, pubblicato dalla NED negli anni scorsi, dall'opera La Lombardia paese per paese che offre una panoramica generica della realtà di ogni singolo comune, attraverso una sintesi storica ed il richiamo dei monumenti più significativi.
Il metodo adottato è stato quello di sondare prevalentemente tre periodi: i primi Atti dei Visitatori carolini perché conservano le descrizioni delle realtà più antiche (ho tralasciato invece gli Atti delle Visite personali di S. Carlo perché in genere sono dispersi in vari volumi); le relazioni del Card. Federico Borromeo riferibili ai primi anni del Seicento; gli Atti del Card. Giuseppe Pozzobonelli intorno alla metà del Settecento. Inoltre la consultazione delle pievi dalla lettera Q in poi è difficoltosa, perché non sono ancora state diligentemente regestate, di conseguenza non è disponibile l'elenco dei documenti contenuti in ogni singolo volume e manca, quindi, un quadro dettagliato che indubbiamente è di grande aiuto nella ricerca.
In molti casi quindi manca la situazione attuale delle strutture e delle parrocchie perché l'indagine andrebbe condotta sui documenti depositati nei singoli archivi locali. Le relazioni in genere si soffermano su una minuziosa descrizione dei luoghi di culto, dei beni mobili ed immobili, delle confraternite, precisano le entrate della parrocchia, le feste di precetto e di voto, dichiarano il numero delle anime della parrocchia ammesse e non ammesse ai sacramenti, e altro, mentre mancano elementi attraverso i quali cogliere l'aspetto devozionale.
L'edilizia Santambrosiana nel 1997
Lo stato attuale dell'edilizia santambrosiana nel 1997 è il seguente. Complessivamente nella giurisdizione diocesana milanese, pur ridimensionata rispetto al sec. XIII per avere ceduto verso la fine del Settecento e nell'Ottocento chiese alla diocesi di Bergamo, Pavia, Lugano, Novara, Alessandria, abbiamo 38 chiese parrocchiali, di cui 29 intitolate a S. Ambrogio e 9 condivise con altri santi; 21 di esse sono in provincia di Milano, 10 in quella di Varese, 4 nella provincia di Como e 3 in quella di Lecco. Per quanto riguarda le chiese sussidiarie ne abbiamo contate complessivamente 30, di cui 19 dedicate solo a S. Ambrogio e 11 condivise con altri compatroni; di esse 15 rientrano nella provincia di Milano, 6 in quella di Varese, 4 in quella di Como e 5 in quella di Lecco.
[1] A. Caprioli - A. Rimoldi, L'età antica - Il vescovo Ambrogio, in Storia Religiosa della Lombardia - Diocesi di Milano, Brescia, La Scuola, 9 (1990), pp. 2-41; ivi pp. 17-18.
[2] Sull'argomento sono sempre attuali gli studi di: R. Beretta, La diffusione del cristianesimo in Brianza e le antiche pievi briantine, in Memorie Storiche della Diocesi di Milano (ASDM), Milano, 1963, vol. X, pp. 311-390; A. Palestra, L'origine e l'ordinamento della pieve in Lombardia, in Archivio Storico Lombardo, 90 (1963) pp. 359-398.
[3] G. Andenna, Le istituzioni ecclesiastiche locali dal V al X secolo, in Storia Religiosa della Lombardia - Diocesi di Milano, op. cit., pp. 123-139; ivi p. 124.
[4] Cfr. G. Andenna, op. cit., p. 125.
[5] G. P. Broglio, La campagna, in Archeologia in Lombardia, Milano, 1982, pp. 213-224; M. Sannazzaro, Cristianizzazione del territorio, in Milano capitale dell'impero romano. 286-402 d.C., Milano, 1990, p. 294.
[6] M. Sannazzaro, Incino: S. Eufemia, in Milano capitale, op. cit., pp. 299-300; S. Mazza, Sant'Eufemia di Incino, in Rivista Archeologica di Como, 159 (1977), pp. 185-210; O. Zastrow, Nuove considerazioni e proposte sull'antica chiesa matrice di Incino d'Erba, in Archivi di Lecco, 10 (1987), n° 2, pp. 203-260.
[7] L. Caramel, Dalle testimonianze paleocristiane al Mille, in Storia di Monza e della Brianza, Milano, IV/1 (1976), pp. 84-90.
[8] U. Monneret De Villard, Iscrizioni cristiane della provincia di Como anteriori al secolo XI, in Rivista Archeologica di Como, 65-66 (1912), pp. 1-74; M. Sannazzaro, Materiali archeologici paleocristiani e altomedievali, in Carta archeologica della Lombardia - La provincia di Lecco, 1994, vol. IV, p. 287.
[9] Cfr. L. Caramel, Dalle testimonianze ... , op. cit., pp. 83-93; M. Sannazzaro, Materiali ... , op. cit., pp. 287-290; S. Casini, Le scoperte in Carta ... , op. cit. n° 161 e n° 162.
[10] C. Violante, Le strutture organizzative della cura d'anime nelle campagne dell'Italia centrosettentrionale, in Ricerche sulle istituzioni ecclesiastiche dell'Italia centro-settentrionale nel Medioevo, Palermo, 1986, pp. 105-265; ivi p. 114.
[11] Cfr. C. Violante, Le strutture organizzative ... , op. cit., p. 120.
[12] G. Baserga, Antiche capselle liturgiche in Brianza, in Rivista Archeologica di Como, 1904, fasc. 49, pp. 100-120.
[13] G. Coradazzi , La pieve, Travagliato, Polesini, 1980, pp. 36-38; G. Colombo, Pieve, in DCA, op. cit., vol. V, pp. 2807-2818.
[14] Cfr. G. Coradazzi, op. cit. , pp. 74-75.
[15] Cfr. G. P. Bognetti, op. cit. , pp. 29-32.
[16] C. Violante, Sistemi organizzativi della cura d'anime in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Ricerche sulle istituzioni ecclesiastiche dell'Italia centro-settentrionale nel Medioevo, Palermo, 1986, pp. 463.
[17] Cfr. G. Coradazzi, op. cit., pp. 59-66.
[18] Cfr. C. Violante, Sistemi organizzativi ..., op. cit., p. 464.
[19] E. Cattaneo, Terra di S. Ambrogio, Milano, Vita e Pensiero, 1989, p. 84.
[20] Cfr. E. Cattaneo, op. cit., p. 103.
[21] Cfr. L. Caramel, op. cit., pp. 81-271; ivi p. 173.
[22] Cfr. C. Violante, Le strutture organizzative ..., op. cit., p. 200.
[23] Cfr. C. Violante, Le strutture organizzative ... , op. cit., pp. 184-185.
[24] Cfr. C. Violante, Le strutture organizzative ... , op. cit., p. 187.
[25] Cfr. C. Violante, Le strutture organizzative ... , op. cit., p. 189.
[26] Cfr. C. Violante, Le strutture organizzative ... , op. cit., p. 193.
[27] Ibidem
[28] C. Violante, Pieve e parrocchie nell'Italia centrosettentrionale durante i secoli XI e XII, in Ricerche sulle istituzioni ecclesiastiche dell'Italia centro-settentrionale nel Medioevo, Palermo, 1986, pp. 267-447; ivi pp. 273-276.
[29] Cfr. C. Violante, Pieve e parrocchie ..., op. cit., p. 369.
[30] Cfr. C. Violante, Pieve e parrocchie ..., op. cit., p. 379
[31] Cfr. C. Violante, Pieve e parrocchie ..., op. cit., p. 383.
[32] Cfr. C. Violante, Pieve e parrocchie ..., op. cit., p. 385.
[33] Cfr. C. Violante, Pieve e parrocchie ..., op. cit., p. 405.
[34] A. Palestra, Considerazioni e note sulla formazione e sviluppo delle parrocchie nella diocesi di Milano, in R. S. C. A., Milano, Centro Ambrosiano di Documentazione e di Studi Religiosi, 1971, vol. II, pp. 137-169; ivi, p. 138; B. M. Bosatra, Parrocchia, in D. C. A., Milano, NED, vol. IV, pp. 2665-2673.
[35] Cfr. A. Palestra, op. cit., p. 161.
[36] Cfr. G. Coradazzi, op. cit., p. 113, nt. 32.
[37] Cfr. A. Palestra, op. cit., p. 161.
[38] Cfr. A. Palestra, op. cit., p. 167.
[39] G. Damizia, Parrocchia, in Enciclopedia Cattolica, Firenze, Sansoni, vol. IX, coll. 856-859.
[40] Cfr. G. Damizia, op. cit., coll. 857-858.
[41] Per avere un paragone risulta dal Liber Notitiae Sanctorum Mediolani che le chiese dedicate a S. Martino in Diocesi al cadere del sec. XIII sono 127 e 13 altari, mentre quelle in onore della Vergine Maria sono: in città 40 e 45 altari, in tutta la Diocesi complessivamente (quindi comprese le cittadine) 289 chiese e 389 altari.
[42] Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, a cura di M. Magistretti e U. Monneret de Villard, Milano, 1917; G. Vigotti, La diocesi di Milano alla fine del secolo XIII. Chiese cittadine e pievi forensi nel «Liber Sanctorum» di Goffredo da Bussero, Roma, Ed. Storia e Letteratura, 1974; M. Ferrari, Liber notitiae sanctorum mediolani, in Dizionario della Chiesa Ambrosiana (D.C.A.), Milano, NED, vol. III, pp. 1723-24.
[43] M. Magistretti, Notitia cleri Mediolanensis de anno 1398, in A. S. L., 27 (1900), pp. 297-298; G. Colombo, Notitia cleri Mediolanensis, in D. C. A., op. cit., vol. IV, pp. 2477-2478.
[44] M. Magistretti, Liber Seminarii Mediolanensis, in Archivio Storico Lombardo (A. S. L.), 1916.
[45] A. Rimoldi, Materiale Documentario, in Storia ... , op. cit., pp. 854-857.