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Milano: il complesso della Basilica di san Lorenzo
MILANO IMPERIALE AL TEMPO DI AMBROGIO
Verso la città imperiale
Capire Ambrogio e la sua opera significa innanzittutto capire l'epoca e i luoghi in cui visse. La sua grandezza di vescovo non può infatti essere disgiunta dall'importanza della carica che ricoprì e soprattutto dall'importanza della città di Milano nel IV secolo, dove egli risiedette dal 370 fino alla morte, sopravvenuta nel 397, durante il periodo più fecondo della sua vita e della sua attività civile e religiosa.
Un quadro di questa città, certamente celebrativo, ma non lontano dalla realtà di quel tempo ci è offerto da Ausonio nel 379, che orgogliosamente elenca i meriti raggiunti dalla metropoli lombarda: "A Milano - dice - tutto è meraviglioso. A Milano vi è abbondanza di ogni cosa, palazzi innumerevoli e ben costruiti e grandi ingegni e gente che ride volentieri. La doppia cerchia di mura mostra l'espandersi della città: e il circo, passione del popolo, e il teatro grande coperto, i templi, il palazzo imperiale, la splendida zecca, le famose terme erculee con i portici pieni di statue di marmo, le mura circondate dall'acqua dei fossati. " [1]
Ambrogio fu vescovo di Milano dal 374 al 397. In questo periodo Milano non solo è una città importante di quasi 130.000 abitanti, ma soprattutto è la capitale dell'Occidente romano, il luogo di residenza degli imperatori della dinastia dei Valentiniani. L'importanza di Mediolanum, quella che fu l'antica capitale degli Insubri, era progressivamente cresciuta nei secoli e l'integrazione nel mondo romano aveva esaltato le sue attitudini economiche e strategiche. A partire principalmente dal III secolo d. C. la sua posizione geografica l'aveva consacrata città di primaria importanza nelle strategie militari e commerciali. Ai vantaggi e al conseguente benessere di questa condizione contrastavano con altrettanta forza i drammi dei tempi di crisi e di anarchia militare. Fra il II e il IV secolo d. C. la minaccia costante di possibili incursioni barbare e soprattutto l'anarchia militare causata dai ripetuti conflitti fra i generali romani per la conquista del potere imperiale, avevano tolto tranquillità alla città. A ridosso delle Alpi, Milano, proprio a causa della sua posizione geografica, che la rendeva un nodo stradale cruciale, si era venuta a trovare direttamente coinvolta, assieme al suo territorio nei deboli e instabili equilibri politico-militari del tardo impero.
Nel III-IV secolo di fatto Milano si trasforma in una "città di frontiera" e in un paio di occasioni fu costretta a subire il clamore delle armi e dell'assedio, ai tempi di Aureolo [2] e di Aureliano [3]. La sua importanza strategica nello scacchiere militare occidentale non sfuggì a Diocleziano che anzi ne esaltò la nuova possibile funzione. Così nell'età di Diocleziano Milano conobbe la sua prima destinazione a sede imperiale grazie alla presenza di un proprio tetrarca. Si ha motivo di credere che già nell'anno 291 a Milano esistesse un palatium imperiale, dove ebbero occasione di soggiornare sia Diocleziano che Massimiano, i due imperatori che erano al vertice nella nuova organizzazione politica della tetrarchia alla fine del III secolo.
Fu Massimiano "pio, felice, invitto, augusto, protetto da Ercole", come lo definisce la propaganda ufficiale delle iscrizioni, a voler dare alla città padana, posta così felicemente al crocevia di grandi arterie stradali nella parte occidentale dell'impero e di un intreccio di corsi d'acqua navigabili, un aspetto da città imperiale. Più che Roma o le grandi metropoli orientali i modelli di Milano furono però le austere sedi dei comandi militari imperiali dell'Europa continentale come Treviri. Pur avendo accresciuto la sua importanza come centro militare e amministrativo, Milano agli inizi del IV secolo è ancora solo una grande città, talora utilizzata come residenza predisposta per l'imperatore, nel caso fosse di passaggio. Alcuni passi del Panegirico di Mamertino sembrano confermare questa occasionale presenza di imperatori a Milano. Pur essendo in espansione, Milano tuttavia non aveva ancora raggiunto una dignità politica tale da poter sostituire Roma. Milano si proponeva però come una delle poche città, come Treviri in Gallia, Sirmio nell'Illirico, Serdica e Nicomedia in Oriente, che per ragioni militari erano diventate frequentemente dimora dell'imperatore o dei suoi augusti, impegnati con l'esercito a difendere i confini dell'impero. La nuova condizione raggiunta da Milano non riesce ancora a reggere il paragone con la secolare grandezza di Roma. Non è Milano che cresce, ma è Roma che concede: chiarissima è l'espressione di Mamertino quando nel suo panegirico testualmente scrive: "Beatissima per eos dies, Roma concede generosamente similitudinem maiestatis suae." [4]
Una analoga percezione di inferiorità ricorre nel Panegirico di un anonimo dell'anno 313 che celebra l'ingresso di Costantino a Milano nel 312 quando il giovane imperatore era impegnato in una campagna militare contro Massenzio. L'entusiasmo mostrato dai cittadini milanesi per Costantino fa esclamare al panegirista: "non Transpadana provincia videbatur recepta, sed Roma." [5]
Il riferimento a Roma, quale imprescindibile elemento di confronto, chiarisce nella sua interezza tutta la distanza che si avvertiva fra una città provinciale, anche se importante, e quella che era l'Urbs per eccellenza. Lo scorcio iniziale del IV secolo non pare porti sostanziali novità, così almeno sembra di poter dedurre da due significative menzioni di Lattanzio. [6]
Questo autore ricorda sia l'incontro di Costantino con Licinio nel 313, da cui scaturì uno degli atti più importanti del suo governo, che avrebbe profondamente cambiato la storia della civiltà occidentale e cioè la promulgazione dell'editto di Milano, quanto le nozze di Costanza, ma ben poco emerge circa un potenziale cambiamento di ruolo della città nella politica imperiale. Sempre impegnati in operazioni militari contro i barbari o gli usurpatori, sia Costantino che gli imperatori suoi successori erano costretti a percorrere trasversalmente la valle padana per raggiungere dall'Oriente l'Europa continentale e dunque avevano vieppiù consolidato a Milano le strutture organizzative e militari necessarie al governo imperiale. Questa situazione non si modifica ancora almeno sino a Costanzo.
Nel 354 Milano ospita di nuovo un imperatore: reduce da una spedizione transalpina, secondo la testimonianza di Ammiano Marcellino, Costanzo si ferma a Milano ad hiberna, per svernare, ma poi vi resta fino al 356-357, costretto com'è a difendersi dalle incursioni degli Alamanni e anche dai rigurgiti della rivolta di Magnenzio e di altri sospetti usurpatori. [7]
Questo stato di fatto a metà secolo inoltrato non meraviglia più di tanto poichè con la supremazia di Costantino l'impero era tornato di nuovo saldamente nelle mani di un solo imperatore e ciò fa sì che riprenda quota l'affermarsi di una unica sede per l'imperatore, ma in tale prospettiva l'alternativa a Roma era Costantinopoli e non Milano. La situazione però muta radicalmente alla morte di Costanzo e di Giuliano. Ammiano Marcellino scrive che nel 365 "diviso palatio, ut potiori placuerat, Valentinianus Mediolanum, Costantinopolim Valens discessit." [8]
La Milano dei Valentiniani
Risale al 365 la divisione dell'impero tra Valente e il fratello Valentiniano, che scelse Milano come sua residenza abituale. Grazie agli scritti di Ammiano Marcellino possediamo una fonte attendibile per la descrizione degli avvenimenti milanesi di quel periodo, tanto più che a Milano c'era stato di persona in compagnia di Ursicino, al tempo di Costanzo. Questo autore ha una conoscenza sperimentata di Milano, tanto da saper rivelare molti particolari toponomastici della città. Con l'arrivo di Valentiniano e della corte imperiale, Milano sostituisce Roma se non altro nell'amministrazione pubblica tant'è che i processi negli anni di Valentiniano e di Graziano, anche quelli che riguardano le province lontane, si celebrano a Milano, non a Roma. [9]
Il nuovo ruolo assunto da Milano nel contesto dell'impero spiega perchè assieme ad Agostino giungano a Milano dall'Africa uomini desiderosi di approfondire gli studi di giurisprudenza, di fare carriera politica e di curare i propri affari economici. [10] Sorge naturale a questo punto la domanda circa i motivi che invogliarono Valentiniano Augustus potior, a preferire Milano a Costantinopoli. La risposta non è facile, tuttavia si possono evidenziare alcune circostanze che concorrono a far maggior luce sull'episodio. E' noto ad esempio che Valentiniano conosceva bene Milano, poichè c'era stato, subito dopo la morte di Giuliano, assieme agli emissari mandati da Gioviano in Occidente per evitare possibili ribellioni dei seguaci giulianei. [11]
D'altra parte anche lo stesso imperatore Giuliano aveva risieduto a Milano prima del suo cesarato e sempre a Milano aveva ricevuto da Costanzo l'investitura a Cesare. In questa stessa città e nei suoi dintorni, Giuliano, nella sua attività tesa a ripristinare il culto alle tradizionali divinità pagane, aveva fatto svolgere da Iovino un'intensa propaganda fra il 360 e il 361, in concomitanza alla sua marcia contro Costanzo. E' dunque alquanto probabile che l'importanza politica di Milano sia rapidamente maturata nell'età giulianea ed abbia avuto una solida conferma con i Valentianiani. Di fatto dunque è solo con Valentiniano e la sua dinastia che Milano assurge in modo definitivo alla dignità di capitale imperiale, superando i limiti politici propri dell'età della tetrarchia. Ora le affermazioni di Mamertino di qualche decennio prima, secondo il quale Roma aveva concesso a Milano, solo per qualche giorno, similitudinem maiestatis suae appaiono lontane, mentre al contrario è più consona alla nuova realtà della Milano dei Valentiniani e di Teodosio la sopra ricordata citazione di Ausonio, che le dedica dieci versi del suo Ordo urbium memorabilium. A Milano secondo Ausonio tutto eccelle per grandezza di forme quasi gareggiando, velut aemula, con Roma, di cui non si avverte più l'oppressione della vicinanza, nec iuncta premit vicinia Romae. Milano in questo periodo ha l'aspetto di una città ricca, abitata da una popolazione viva, umanamente e culturalmente, facunda virorum ingenia et mores laeti. A Milano ci sono tante case belle ed edifici monumentali, bei porticati ornati di statue, un circo, un teatro, terme, templi.
La città possiede un poderoso circuito di mura costruito da Massimiano, il collega di Diocleziano, che fu il primo Augusto a scegliere Milano come proprio quartiere generale. Inoltre ha una zecca in piena attività e ben 12 sono le strade consolari che si dipartono dalla città in ogni direzione. Gli scavi archeologici di quest'ultimo secolo hanno chiarito molti aspetti dell'urbanistica della città in questa età. Allo stesso tempo sono affiorati i resti di grandi edifici che furono l'orgoglio di Milano capitale imperiale. E' il caso delle grandiose Terme Erculee, così dette dal soprannome di Massimiano che le costruì fuori delle mura orientali della città con ricchi ambienti splendidamente ornati di mosaici i cui resti sono affiorati fra via Vittorio Emanuele e via Longa.
Nella zona di Corso Europa ne è stata rinvenuta la palestra oltre al frigidarium. Fra i rinvenimenti c'è pure un grande horreum, un deposito di grano realizzato per soddisfare le accresciute esigenze civili e militari della città, simile a quelli ritrovati ad Aquileia ed a Treviri. In via dei Bossi è stata rinvenuta una parte del muro orientale del circo, mentre delle antiche fortificazioni murarie, accanto alla torre poligonale detta di Massimiano, nel cortile del Museo archeologico, si è conservata una mezza torre, più antica, connessa alla Porta Ticinensis in un edificio privato del Carrobbio. L'attuale via Torino costituiva il cardine minore dell'impianto urbano connesso col Foro e rappresentava una zona di primaria importanza nell'età di Milano capitale poichè era il capolinea dei collegamenti con Ticinum, l'antica Pavia. Le Palatinae arces ricordate da Ausonio erano probabilmente localizzate nel quartiere occidentale della città. Dopo l'editto di Costantino la piena affermazione del cristianesimo nel corso del IV secolo contribuirà considerevolmente allo sviluppo architettonico della città. A Milano esistevano all'epoca di Ambrogio una decina di chiese: due, le basiliche vetus e nova, dentro il perimetro delle mura, le altre nelle aree cimiteriali, fuori le mura.
Alcune erano anteriori ad Ambrogio, altre, come la basilica nova, furono completate durante il suo episcopato. Altre chiese sorsero per volontà del vescovo Ambrogio nelle aree cimiteriali per il culto funebre e per le attività pastorali. Viene così a formarsi una mirabile cerchia di chiese: la basilica Apostolorum (san Nazaro) presso porta Romana, dove Ambrogio nel 395 fece traslare le reliquie del martire Nazaro, la basilica Virginum (San Simpliciano), la basilica Martyrum (Sant'Ambrogio), dove nel giugno 386 furono deposti i corpi dei martiri Protaso e Gervaso, la cattedrale e la straordinaria basilica di San Lorenzo, che è quella meglio conservata di tutte rispetto all'impianto primitivo e che viene edificata appena fuori delle mura, probabilmente su committenza imperiale. Nel contempo gli edifici episcopali, chiese, battisteri, la residenza del vescovo ed edifici annessi, si concentrano nell'area dell'attuale piazza Duomo, all'interno della cinta muraria. Da una lettera indirizzata da Ambrogio a Ireneo, un diacono della chiesa milanese, emergono altri particolari dell'urbanistica di Milano: il vescovo ricorda gli ipogei, i famosi criptoportici, usati in età romana come terrapieni e sostruzioni di ville, illuminati da feritoie e decorati da mosaici e pitture, freschi d'estate e temperati d'inverno, destinati al passeggio cittadino. Ambrogio ricorda anche il lusso della società milanese e la tendenza del suo tempo a coniungere villam ad villam e a moltiplicare le abitazioni voluttuarie.
Il panorama della vita nelle campagne che emerge ci rivela l'esistenza di vari centri popolosi posti lungo le vie di comunicazione terrestri e fluviali. Fra di essi Angera, sul lago Maggiore, Bedriacum e Laumellum lungo la via delle Gallie sono senz'altro i più significativi. Grandi ville, dimore prestigiose di grandi famiglie aristocratiche legate alla corte imperiale di Milano si sviluppano a Desenzano e a Palazzo Pignano presso Crema, con piante assai articolate e complesse e straordinari mosaici pavimentali. Ville più modeste, come quella di Verecondo a rus Cassiciacum, che pure aveva proprie terme [12], sono sparse nelle aree pedemontane e nella pianura, connesse per lo più alla conduzione di fondi agricoli, piccole fattorie collegate a manifatture di ceramiche o fonderie a carattere domestico. Sono il segno di un relativo benessere dovuto alla benefica influenza della ricchezza economica portata a Milano dalla corte e dagli acquartieramenti delle truppe.
Lo stesso Ambrogio in un'altra lettera, indirizzata sempre a Ireneo, condannando l'uso dei ricchi di avere servi coperti di monili e con i capelli arricciati [13] rivela l'esistenza di artigiani di elevata professionalità e nel De Tobia l'accenno al vasellame d'argento, artisticamente lavorato [14] conferma che in città e intorno alla città erano presenti non solo fabbriche d'armi, ma anche officine di artigianato artistico, botteghe di scultura specializzate nella lavorazione del mosaico, delle tarsie marmoree, dell'avorio, orefici in grado di produrre vasellame argenteo finemente decorato a sbalzo e dorato, manifatture di ceramiche e fonderie. Gli scavi archeologici ci hanno restituito alcuni di questi oggetti: in genere sono a carattere profano, ma non mancano quelli sacri, preziosi doni alle chiese, che testimoniano il prestigio anche sociale raggiunto dal magistero di Ambrogio. La splendida patera di Parabiago conferma l'esistenza di autentici tesori nelle ville dei ricchi milanesi del IV secolo. Questa patera rivela anche i persistere nella Milano dell'età di Ambrogio di culti pagani: l'episodio centrale del carro di Cibele con Attis e i coribanti e la complessa simbologia cosmica e mitraica, richiama immediatamente il neoplatonismo giulianeo al quale si deve il rifiorire, nel IV secolo del culto della madre degli Dei. Rivive qui una fastosa eco delle celebrazioni cibeliche promosse da Virio Nicomaco Flaviano nel 394, in uno di quelli che fu fra gli ultimi disperati tentativi di ripristinare gli antichi culti pagani, solennizzati dal dono di avori e di argenti che Simmaco fece all'imperatore Eugenio.
In Milano il culto di Cibele è confermato anche da un'iscrizione frammentaria trovata presso S. Lorenzo, nonchè dalla comparsa del simbolo cibelico della pigna in antiche raffigurazioni di Milano, e dal bassorilievo della madonna Idea, attualmente conservato nei Musei d'Arte antica del Castello Sforzesco, un segno quest'ultimo della continuità che conobbe fino al medioevo la diffusione dei culti orientali dell'età del tardo impero. La accurata esecuzione artistica della patera di Parabiago oltre che testimonianza della vitalità dei culti pagani nella Milano di Ambrogio è pure il segno rivelatore di una vivacità intellettuale che nella valorizzazione del pensiero neoplatonico rendeva la città il crocevia di esperienze religiose e culturali. Ampie caratterizzazioni di questo ambiente emergono sia dalle opere di Ambrogio quanto da quelle di Agostino che non a caso prepara nel 384 il suo trasferimento da Roma a Milano, una città quest'ultima che ormai è in grado di attirare a sè il meglio di quanto esiste nell'impero d'Occidente. Politicamente importante, Milano è altrettanto viva socialmente, dove accanto ai grandi proprietari terrieri, abituati al lusso e alla vita fastosa coesiste un ricco ceto di mercatores, che sono l'ossatura della operosità e della laboriosità milanese. Nell'età di Ambrogio, che è sicuramente la stagione più prestigiosa di Milano imperiale, accanto alle grandi personalità storiche le testimonianze archeologiche, relative a iscrizioni sepolcrali, ci hanno restituito le immagini di molti altri personaggi milanesi, che aiutano a ricostruire la vita quotidiana della società cittadina.
Un certo Caius Valerius Petronianus, giovane avvocato aristocratico, patrocinava gratuitamente le cause della città; Flavius Aurelius era una guardia imperiale; due fratelli, Aurelius Urbicus e Aurelius Valentinianus appartenevano ad uno squadrone della cavalleria dalmata in servizio a corte; Urbicus era un gladiatore famoso e amato dai suoi sostenitori nel circo. Fra le donne conserviamo il ricordo di nobili aristocratiche che gareggiavano in pietà cristiana. Nel novero delle seguaci di Ambrogio erano sua sorella Marcellina e l'amica Manlia Dedalia, soprannominata la madre dei poveri, Cervia Abundantia, descritta come serena, priva di malizia, nobile e ancora Saura, definita illustre dama, moglie di un ex ministro delle finanze imperiali. Forse la più famosa di tutte fu Serena, la principessa nipote dell'imperatore Teodosio e moglie del più grande generale della fine IV secolo, Stilicone, di origini vandale ma divenuto strenuo difensore della romanità. Serena a Milano, presso la corte di Teodosio e di Onorio che divenne suo genero, ebbe grandissimi onori e la sua bellezza e la sua virtù furono cantate dai poeti e letterati.
In questa Milano di Ambrogio, così imponente nella sua architettura e così viva nelle attività quotidiane, iniziano tuttavia già ad emergere gli elementi di una crisi che ben presto la condurranno ad una rovinosa caduta trascinatavi ineluttabilmente dal tragico epilogo delle vicende belliche imperiali. Un malcostume in particolare suscita l'indignazione di Ambrogio ed è l'abitudine largamente diffusa in città del prestito di denaro ad usura che portava spesso ad un indebitamento dalle conseguenze incontrollabili. E tutto questo solo per mantenere un tenore di vita superiore alle possibilità che l'economia reale poteva permettere: tutto questo per sostenere consumi voluttuari di unguenti e spezie, con mense imbandite di cibi stranieri e raffinati, o ancora per avere vesti preziose intessute d'oro e di seta. [15]
Su questa città, che ama manifestare la sua grandezza, che ama mantenere un alto tenore di vita per la presenza della corte imperiale, verso la fine del IV secolo si addensano ormai minacciose nubi che Ambrogio cercherà di respingere fra il 383 e il 388: ucciso il giovane imperatore Graziano, da lui amato quasi come un figlio e rintuzzati i tentativi di usurpazione di Magno Massimo prima e di Eugenio e Arbogaste dopo, Teodosio riuscirà ancora una volta a ripristinare l'ordine e la pace. Ma durerà poco: morto Teodosio il 17 gennaio 395, morto Ambrogio il 4 aprile 397, entrambi a Milano, gli argini dell'impero, che ambedue avevano faticosamente eretto, si sfalderanno ben presto e irrimediabilmente, per sempre. presto e irrimediabilmente, per sempre.
Note
[1] Ausonio, Ordo, 35/45
[2] SHA, Vita Claud. 5, 3. Dopo la morte dell'imperatore Gallieno, assassinato nel giugno del 268 in una congiura di ufficiali, Aureolo, comandante di cavalleria proclamatosi imperatore, assediò Milano in quello stesso anno.
[3] SHA, Vita Aurel. 18, 3. In seguito alla morte per peste di Claudio il Gotico e all'uccisione di suo fratello Quintillo L. Domizio, Aureliano, ufficiale illirico comandante della cavalleria, fu acclamato imperatore dai soldati nel maggio del 270.
[4] Mamertino, Pan. XI (III), 11-12
[5] Mamertino, Pan. XII (IX) 7, 5
[6] Lactantius, De mortibus pers. 45, 1 e 48, 2
[7] Ammiano Marcellino, XIV, 11, 5; XV, 1,2; 2, 8; 3, 1 e 11; 5, 17; XVI, 7, 2
[8] Ammiano Marcellino, XXVI, 5, 4
[9] Ammiano Marcellino, XVII,7, 5; XXVIII, 6, 30
[10] Agostino, Confessioni 6, 10
[11] Ammiano Marcellino, XXV, 8, 9 ss.
[12] Agostino, De beata vita 2, 12
[13] Ambrogio, Epistola 15 a Ireneo, 7
[14] Ambrogio, De Tobia 3, 10
[15] Ambrogio, De Tobia