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Circolo neoplatonico milanese

 Lapide romana di un certo Plinius nell'atrio di sant'Ambrogio a Milano

Lapide romana di un certo Plinius nell'atrio di sant'Ambrogio a Milano

 

 

 

IL CIRCOLO NEOPLATONICO MILANESE

 

 

 

A dire il vero gli autori classici coevi tardo-latini non hanno mai accennato alla esistenza nella Milano imperiale di fine IV secolo di un circolo culturale di ispirazione neoplatonica. La sua esistenza in realtà è una ipotesi che è scaturita dalla moderna ricerca storico-filosofica. In particolare la primogenitura della definizione "circolo neoplatonico milanese" spetta all'autore francese Aimé Solignac, che per primo ha coniato questo termine.

Altri autori hanno in seguito accettato e coltivato le sue argomentazioni su questo soggetto, tanto da dar corpo e contenuti concreti a tale "circolo." Ma in realtà cosa si intende per "circolo neoplatonico milanese" ? Solignac quando introdusse questa definizione nella prima nota complementare del secondo volume delle Confessioni voleva indicare non tanto un'accademia, cioè un gruppo di specialisti o di studiosi che si riunivano frequentemente, quanto piuttosto un gruppo di persone che coltivavano interessi culturali comuni e che si frequentavano abitualmente fra di loro.

Il centro di interesse della loro attività speculativa si rivolgeva preferibilmente al neoplatonismo e alle correnti di pensiero filosofico e teologico che ne approfondivano i contenuti. Solignac qualifica il circolo "milanese" poiché tutti le persone coinvolte risiedevano, sia pure temporaneamente, a Milano, la città che nello scorcio finale del IV secolo raccoglieva, forse più di ogni altra dell'impero, il maggior numero dei migliori intelletti del tempo. L'ipotesi di Solignac probabilmente non avrebbe avuto corso senza le testimonianze di sant'Agostino, nei cui scritti emerge la consapevolezza di aver frequentato a Milano un gruppo di uomini di alto profilo culturale tutti legati in qualche modo fra loro dall'esperienza neoplatonica. E' Agostino che ci fa conoscere i nomi di queste persone che costituivano quello che chiameremo "circolo neoplatonico milanese." Da alcuni suoi scritti, soprattutto i Dialoghi, traspare la realtà viva di un gruppo di persone che amano discutere di filosofia e soprattutto prediligono misurarsi col pensiero di Platone e della scuola neoplatonica. E' possibile scoprire più di una decina di brani agostiniani che in qualche modo si riferiscono ad aspetti di questa questione.

Alcuni di questi testi sono contemporanei alla esperienza milanese, altri sono il frutto di una rielaborazione più tardiva. Prima di citarli secondo un ordine che possiamo considerare sostanzialmente cronologico, è necessario tuttavia leggere un brano tratto dalle Confessioni che inquadra magistralmente l'esperienza agostiniana nell'ambito di questo circolo filosofico milanese e definisce con estrema chiarezza i rapporti fra neoplatonismo e cristianesimo quali si studiavano a Milano. "Per il tramite dunque di un uomo gonfio d'orgoglio smisurato - scrive Agostino - mi provvedesti alcuni libri di filosofi platonici tradotti dal greco in latino. Vi trovai scritto, se non con le stesse parole, con senso assolutamente uguale e col sostegno di molte e svariate ragioni, che al principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio; egli era al principio presso Dio, tutto fu fatto per mezzo suo e senza di lui nulla fu fatto; ciò che fu fatto è vita in lui, e la vita era la luce degli uomini, e la luce luce nelle tenebre, e le tenebre non la compresero; poi che l'anima dell'uomo, sebbene renda testimonianza del lume non è tuttavia essa il lume, ma il Verbo di Dio è il lume vero, il quale illumina ogni uomo che viene in questo mondo; e che era in questo mondo, e il mondo fu fatto per mezzo suo, e il mondo non lo conobbe."

Di fronte a queste sorprendenti analogie fra il prologo del Vangelo di Giovanni e la concezione neoplatonica dell'Uno, dell'Intelligenza e dell'Anima del mondo, Agostino non manca tuttavia di far rimarcare anche le profonde differenze. "Che però egli venne a casa sua - prosegue Agostino - senza che i suoi lo accogliessero, ma a quanti lo accolsero diede il potere di divenire figli di Dio poiché credettero nel suo nome, non trovai scritto in quei libri. Così trovai scritto in quei libri che il Verbo di Dio non da carne, non da sangue, non da volontà d'uomo nè da volontà di carne ma da Dio è nato; che però il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi, non lo trovai scritto in quei libri. Vi scoprii certo, sotto espressioni diverse e molteplici, che il Figlio per la conformità col Padre non giudicò un'usurpazione la sua uguaglianza con Dio, propria a lui di natura; ma il fatto che si annientò da sè, assumendo la condizione servile, rendendosi simile agli uomini e mostrandosi uomo all'aspetto; si umiliò prestando ubbidienza fino a morire, e a morire in croce, onde Dio lo innalzò dai morti e gli donò un nome che sovrasta ogni nome, affinché al nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra, agli inferi e ogni lingua proclami che il Signore Gesù sta nella gloria di Dio Padre, non è contenuto in quei libri. Vi si trova che il tuo Figlio Unigenito esiste immutabile fin da prima di ogni tempo e oltre ogni tempo, eterno con te; che le anime attingono felicità dalla sua pienezza e acquistano la sapienza rinnovandosi grazie alla partecipazione della sapienza in se stessa stabile; ma il fatto che morì nel tempo per i peccatori, e invece di risparmiare il tuo unico Figlio, lo hai consegnato per noi tutti, non si trova in quei libri." (Conf. 7, 9, 13-14)

Questo brano agostiniano è davvero esemplare, perché chiarisce con immediatezza le affinità anche notevoli fra le dottrine cristiane e gli insegnamenti neoplatonici. Alcuni testi di Filone, di Plotino, particolarmente della quinta Enneade, e di minori seguaci della scuola, quali Porfirio, Giamblico e Amelio, al quale appartiene un noto frammento sul Logo citato da Eusebio (Praep. ev. 11, 19, 1) presentano somiglianze singolari col prologo del Vangelo di Giovanni. Certo esistono anche molte differenze e la cristologia è del tutto assente dal neoplatonismo. Ciò nonostante l'insieme delle dottrine neoplatoniche aveva una naturale simbiosi con quelle cattoliche e l'esperienza milanese di fine IV secolo fu fondamentale a questo riguardo. Ma veniamo ai testi agostiniani che ce ne presentano alcuni aspetti e ci fanno intuire quale doveva essere la sua natura.

 

1. Nel secondo libro del Contra Academicos Agostino inizia le discussioni con una esortazione all'amico Romaniano in cui lo invita a occuparsi della filosofia. A questo proposito cita una frase di Celsino che definisce i "libri platonicorum libri quidam pleni." Sia pure in modo molto dubbio, Courcelle ha identificato questo Celsino in Celsino di Castabala, autore di una "Sunagôgè dogmatôn pasès aireseôs philosphou" che Manlio Teodoro avrebbe tradotto e che Claudiano avrebbe ripreso ai versi 67-83 del suo panegirico. L'amore verso la filosofia e la verità che questi libri platonici seppero animare Agostino gli fanno aggiungere che "diffusero su di me buoni odori d'Arabia e fecero cadere su quella fiammella pochissime gocce d'unguento prezioso. Ma accesero in me un incendio incredibile, incredibile più di quanto tu stesso possa di me supporre e, che dovrei dire di più ?, incredibile perfino a me stesso." (Contra Academicos 2, 2, 5)

 

2. Nell'introduzione del De beata vita, dedicata a Manlio Teodoro, Agostino discute della vocazione alla filosofia, cioè del desiderio ardente di interpretare secondo ragione il problema della vita, e dopo aver fatto una breve ma intensa confessione del suo percorso passato, si sofferma sulla situazione spirituale e intellettuale che aveva maturato a Milano. In questa città "conobbi la stella polare cui affidarmi." Agostino ha ascoltato le parole di Ambrogio e ha conosciuto i Sermones di Manlio Teodoro sull'anima, che è incorporea perché affine a Dio. Per sua stessa ammissione il passo in avanti nella sua ricerca deve molto al neoplatonismo e alle persone, come Manlio Teodoro, che lo studiavano: "e letti assai pochi libri di Plotino (Platone) di cui so che sei grande ammiratore, e, per quanto mi fu possibile, messa a confronto con essi anche l'autorità che ci ha trasmesso la sacra dottrina, m'infiammai talmente da voler levare subitamente tutte le ancore." (De beata vita 1, 4)

 

3. Nelle pagine introduttive del primo libro del De ordine Agostino si rivolge all'amico Zenobio ricordandogli alcuni temi filosofici che li hanno appassionati e precisamente le questioni relative all'ordine del mondo e alla provvidenza. La formulazione di un principio ordinatore o razionale, nel quale tutto il reale deve rientrare ed avere la sua giustificazione (De ordine 1, 1, 1) sono ampiamente trattati in Platone (Fedone 97 c) e Plotino (Enneadi 3, 2 -3 e 5, 3). Agostino sostiene più avanti che solo quando "lo spirito è restituito a se stesso comprende l'essenza dell'armonia dell'universo che è stato denominato dall'Uno." E aggiunge che non basta neppure questa restituzione a se stessi con una specie di percorso filosofico di interiorizzazione, perché "non è consentito contemplare questa armonia se l'anima si pone nella variabilità ... essa non si può raggiungere se non con il distacco dalla molteplicità e per molteplicità non intendo una moltitudine di uomini ma il mondo sensibile." (De ordine 1, 2, 4) La via tracciata qui da Agostino è tipicamente platonica (Filebo 16 c) e fu ripresa anche da Plotino (Enneadi 4, 4, 32).

 

4. Ancora nel primo libro del De ordine c'è un breve passo in cui Agostino ricorda che "anche il nostro Zenobio spesso ha discusso con me sulla razionalità delle cose. Non ho mai potuto rispondere esaurientemente alle sue profonde domande sia per l'oscurità del soggetto sia per la scarsezza del tempo."(De ordine 1, 7, 20) Queste dispute con Zenobio sono citate nel corso di una discussione con Licenzio, in cui Trigezio ed Agostino affrontano il problema dell'ordine cosmico e dell'ordine divino da un punto di vista strettamente platonico: quale sia l'origine e la necessità del male (Plotino, Enneadi 2, 3, 16 e 18; 3, 2, 5), quale la giustizia (Plotino, Enneadi 3, 2, 13 e 4, 3, 13), quale la attribuzione dei meriti (Platone, Politeia 613 c - 614 a e Plotino, Enneadi 3, 2, 8 e 4, 3, 16).

 

5. Nella parte conclusiva del primo libro del De ordine Agostino, prendendo spunto dall'arrivo di Monica nel corso di una discussione, fa una piccola digressione sullo stato della cultura ai suoi tempi che non lasciava molto spazio alle donne. Pur in un quadro generale desolante Agostino riconosce l'esistenza di uomini degni di stima, anzi "anche oggi, per tacere di altri - scrive Agostino - v'è Teodoro, uomo insigne per il carattere, l'eloquenza e per doni di fortuna e, sopra ogni altra cosa, eccellente per doti d'intelligenza. Tu stessa madre ben lo conosci. Egli fa sì che oggi e presso i posteri nessuna epoca possa a buon diritto screditare la cultura del nostro tempo." (De ordine 1, 11, 31). Il testo prosegue poi con chiari riferimenti a opere platoniche circa il ruolo femminile in filosofia (Platone, Convivio 210 d - 212 b), l'esistenza di mondi paralleli (De ordine 1, 11, 32 che Agostino si rimprovera in Retract. 1, 3, 2) e il raggiungimento della saggezza (Platone, Fedone 66 b - 68 b e Plotino, Enneadi 1, 4, 4, 32-36).

 

6. Nel secondo libro dei Soliloquia v'è un brano che, pur di difficile interpretazione, ha sicuramente attinenza con il "circolo neoplatonico milanese". Agostino si sta interrogando (Soliloquia, 2, 13, 23) sull'immortalità e sostiene una ragione che non concorda con gli insegnamenti platonici: "Affermo al contrario che un essere, per il fatto stesso che è soggetto al morire, non è spirito. E dal mio parere non mi distoglie l'insegnamento di grandi pensatori i quali hanno affermato che di per sè esclude la morte il principio che, dovunque venga a trovarsi, produce la vita (Platone, Fedone 105 c-e) ... Ne consegue che non è il dissolversi dell'elemento corporeo a garantire la sopravvivenza (contro Platone, Fedone, 70c-72e e 103c-105b)." Proseguendo nella discussione con la propria Ragione, quest'ultima così si rivolge ad Agostino: "Siamo informati che sul problema si sta scrivendo in versi e in prosa. E gli autori sono tanto noti che non possiamo ignorarne le opere e di tale levatura d'ingegno che non possiamo non aver fiducia di trovare nei loro scritti ciò che ricerchiamo." (Soliloquia, 2, 14, 26)

Si parla dunque di due "autori " che stanno componendo degli scritti sull'immortalità dell'anima, uno in prosa e l'altro in versi. "Proprio qui, davanti ai nostri occhi, - scrive Agostino - vive quell'uomo, nel quale riconosciamo che sia tornata in vita, e con alta manifestazione, quell'eloquenza che rimpiangevamo estinta. Egli che ha insegnato con i suoi scritti la regola del vivere, ci lascerà ignorare il significato stesso del vivere? " Questa persona va quasi sicuramente identificata in Ambrogio, autore del De Officiis cle-ricorum, meno probabile che si tratti di Manlio Teodoro. "V'è poi un altro - prosegue Agostino - che conosce, a causa della dimestichezza, la nostra sete ardente, ma ora è lontano e noi ci troviamo in condizioni d'impossibilità perfino a spedirgli una lettera. Penso che nella solitudine delle Alpi abbia condotto a termine il carme col quale viene dissolto il timore della morte ... " L'autore di questo poema è Zenobio, un amico africano di Agostino.

 

7. Un altro probabile componente del "circolo neoplatonico milanese" è forse Ermogeniano. Nella Epistola 1, che Agostino gli indirizza, c'è un passo in cui, dopo aver trattato a lungo la questione dell'ermetismo degli Accademici, lo ringrazia per il suo giudizio favorevole del libro Contra Academicos. La conoscenza dei filosofi neoplatonici di Ermogeniano deve essere stata alquanto approfondita, poiché Agostino in particolare gli chiede una sua personale valutazione personale circa le affermazioni che scrive alla fine del libro III, che tratta le problematiche neoplatoniche: "Perciò essendo a me graditissimo il tuo sincero giudizio sui miei scritti ... ti chiedo di esaminare con maggiore attenzione e poi di rispondermi se approvi quello che io alla fine del terzo libro, in modo forse più congetturale che certo ... ho pensato si debba credere." (Lettera a Ermogeniano 1, 3)

 

8. L'epistolario scambiato fra Agostino e Nebridio nel periodo in cui Agostino stava scrivendo i Soliloquia conferma in vari passi l'esistenza di una particolare attenzione in quel periodo allo studio del pensiero platonico e neoplatonico. Nella Lettera 3 ci sono espliciti riferimenti a Platone in ordine alla genesi delle immagini e ai numeri. Nella Lettera 4 Agostino informa Nebridio dei progressi compiuti a rus Cassiciacum nella conoscenza degli intellegibili, le idee eterne cioè, gli archetipi sostanziali del reale secondo l'interpretazione neoplatonica. Infine nella Lettera 13 Agostino affronta il tema della intellegibilità e della sensibilità: "Bisogna che tu richiami alla mente - stimola Agostino - il problema che abbiamo spesso agitato e che ci ha agitati facendoci accalorare ed affannare ... " Questi richiami a frequenti discussioni con l'amico ci rivelano un Nebridio tutt'altro che digiuno degli scritti platonici. Lo stesso Nebridio conferma questa certezza in una lettera che scrisse ad Agostino dopo il loro ritorno in Africa: "Provo un grande piacere nel conservare le tue lettere come se si trattasse degli occhi miei. Infatti sono importanti non per l'estensione bensì per gli argomenti e contengono importanti dimostrazioni di problemi importanti. Esse mi parlano di Cristo, di Platone e di Plotino." (Epistola 6, Nebridio ad Agostino)

 

9. Temi platonici ritornano anche nel De quantitate animae. Soprattutto è ben evidente che Agostino non era solo nell'affrontare questi argomenti, ma anzi poteva contare sull'aiuto di qualche persona colta ed esperta. In un passo (De quantitate animae 33, 70) Agostino esprime il suo rincrescimento all'amico Evodio per non potere "interpellare entrambi sull'argomento un uomo non solo dotto, ma anche eloquente, veramente saggio e perfetto. Egli potrebbe spiegarci in modo eccellente, mediante l'esposizione e il dialogo, il valore dell'anima nel corpo, in sè e in relazione a Dio, al quale, dopo la purificazione, è assai vicina e nel quale ha il bene assoluto." Ritroviamo qui l'uso di termini che Agostino ha già impiegato nel De ordine a proposito di Teodoro. E' dunque molto probabile che qui Agostino ricordi la straordinaria autorevolezza con cui Teodoro discuteva di platonismo e neoplatonismo nel gruppo di amici milanesi.

 

10. L'esistenza di un gruppo di amici legati da comuni aspirazioni è direttamente verificabile in Confessioni 6, 14, 24: "Eravamo molti amici - racconta Agostino - che per avversione alle noie e ai disturbi della vita umana avevamo progettato, discusso e già quasi deciso di ritirarci a vivere in pace lontano dalla folla. Si era organizzato il nostro ritiro così: tutti i beni che noi possedessimo, sarebbero stati messi in comune, costituendosi, di tutti, un patrimonio solo ... A nostro parere ci saremmo potuti riunire in una decina di persone, alcune delle quali molto facoltose, specialmente Romaniano, mio concittadino e amicissimo fin dall'infanzia, allora condotto alla corte dal turbine gravoso dei suoi affari." Per quanto in questo progetto di vita comune, che si situa nel 385, non si accenni al neoplatonismo, innegabilmente c'è un rimando al progetto "Platonopolis", la città ideale indicata da Plotino (Porfirio, Vita Plotini 12).

 

11. Sempre dalle Confessioni si possono trarre nuove indicazioni sull'esistenza di un circolo neoplatonico in Milano nonché degli scambi culturali e di materiali di studio che vi avevano luogo. Più precisamente in 7, 9, 13 Agostino asserisce che: "per il tramite dunque di un uomo gonfio d'orgoglio smisurato mi provvedesti di alcuni libri di filosofi platonici tradotti dal greco in latino." Da Confessioni 8, 2, 3 sappiamo che fu il retore romano Mario Vittorino a tradurre questi libri, che con ogni probabilità furono portati a Milano dal suo amico Simpliciano. Non è facile individuare l'uomo gonfio d'orgoglio che fece da intermediario: certamente non fu Simpliciano e neppure Teodoro, di cui Agostino aveva grande stima. Con ogni probabilità va annoverato fra i neoplatonici milanesi.

 

12. La circolazione e l'apprezzamento delle idee neoplatoniche nell'ambito ecclesiale milanese è confermata ulteriormente in Confessioni 8, 2, 3 quando Simpliciano si com-piace con Agostino per la sua lettura di alcuni libri platonici: "feci visita dunque a Simpliciano - racconta Agostino - padre per la grazia, che aveva ricevuto da lui, del vescovo di allora Ambrogio e amato da Ambrogio proprio come un padre. Quando, nel descrivergli la tortuosità dei miei errori, accennai alla lettura da me fatta di alcune opere di filosofi platonici, tradotte in latino da Vittorino, già retore a Roma e morto, a quanto avevo udito, da cristiano, si rallegrò con me per non essermi imbattuto negli scritti di altri filosofi, ove pullulano menzogne e inganni. Nei platonici invece si insinua in molti modi l'idea di Dio e del suo Verbo."

 

13. Quest'ultima informazione è strettamente collegata in De civitate Dei 10, 19 a un episodio che Agostino ricorda puntigliosamente e cioè il desiderio espresso da un platonico di far scrivere a lettere d'oro sulla soglia di tutte le chiese il prologo del Vangelo di Giovanni, che, com'è noto, ha una eccezionale analogia con la quinta Enneade di Plotino e altri testi di Filone, Porfirio, Giamblico e Amelio. "Sicut a sancto sene Simpliciano - scrive Agostino - ... solebam audire." I testi agostiniani citati ci hanno permesso di conoscere praticamente tutti o quasi i componenti di questo circolo culturale che rielaborava il pensiero platonico e neoplatonico in chiave cristiana. A questi vanno probabilmente aggiunte alcune persone che mantenevano una corrispondenza con Ambrogio e gli altri membri del gruppo. In particolare è il caso di citare Ireneo. Cercheremo ora di conoscerli meglio presentandoli uno per volta nella loro veste di pensatori e filosofi impegnati in un progetto che del platonismo faceva una delle strutture portanti.

 

Simpliciano

Per varie ragioni è opportuno iniziare da Simpliciano, un anziano presbitero della chiesa milanese avanti negli anni che, secondo Agostino, ebbe una notevole influenza sullo sviluppo e l'evoluzione culturale e spirituale non solo sua ma anche di Ambrogio. I racconti di Agostino nei libri VII e VIII delle Confessioni, che vedono protagonista Simpliciano, chiariscono subito quale fu il ruolo di costui nella genesi e nel consolidarsi di questo "circolo neoplatonico milanese". Simpliciano ne sarebbe stato il promotore, l'anima ispiratrice. Durante un suo soggiorno a Roma Simpliciano era stato intimo amico di Mario Vittorino, il famoso retore romano che tradusse in latino le opere neoplatoniche permettendo così al mondo latino occidentale di conoscere nella sua completezza il pensiero della scuola platonica. Lo stesso Simpliciano era riuscito, dopo qualche resistenza, a convincere l'amico Vittorino della necessità di convertirsi pubblicamente al cristianesimo, un episodio questo che ebbe grande risonanza in quel secolo. Poiché Simpliciano dimostra di conoscere il pensiero della scuola platonica è molto probabile che abbia letto e studiato i libri nel testo tradotto da Vittorino e ne abbia portato con sè una copia quando si trasferì a Milano. Simpliciano si prefigura dunque come l'intermediario principale del platonismo latino nella società latina e milanese in particolare della fine del IV secolo. Simpliciano a Milano riuscì a raccogliere attorno a sè un gruppo di uomini colti, che si dedicavano alla lettura e allo studio, il cui obiettivo finale, pur promuovendo l'aspetto intellettuale, prediligeva l'arricchimento spirituale. L'esperienza personale di Agostino è a questo proposito esemplare. Di cosa si occupavano queste persone che ascoltavano i suggerimenti di Simpliciano ? Dall'itinerario culturale e spirituale agostiniano dobbiamo dedurre che coltivavano la lettura e lo studio delle sacre scritture, con particolare riguardo alle lettere di san Paolo. Inoltre utilizzavano gli scritti dei filosofi contemporanei, soprattutto quelli neoplatonici e quelli plotiniani, con il dichiarato obiettivo di avvalorare l'esegesi spirituale del testo biblico. Il loro atteggiamento verso questi autori non era polemico bensì utilitaristico, cercavano cioè di rendere organico al cristianesimo i contenuti e le interpretazioni a carattere universale del loro pensiero. Tutto ciò non in modo acritico bensì creativo e soprattutto sempre nell'ambito dei confini dogmatici della teologia cristiana. Simpliciano fu maestro in questa metodologia non solo di Agostino ma pure e principalmente di Ambrogio. Anzi è forse proprio qui nella lezione e nel metodo di Simpliciano, che Ambrogio apprende e fa propri, l'origine del suo eclettismo culturale.

Com'è noto Ambrogio attingeva a piene mani da molti autori anche non cristiani, tra cui Filone. Abitualmente Ambrogio non li cita mai nelle sue opere, eccettuato il caso in cui vuole rimarcare le sue divergenze di pensiero e di interpretazione. Questo metodo, che gli aveva attirato gli strali di Gerolamo, non preoccupava Ambrogio, il quale anziché considerarlo un plagio, al contrario lo considerava un diritto in forza della convinzione che quegli stessi scrittori e filosofi contemporanei, per primi, avevano attinto a loro volta, senza mai nominarli, ai libri sacri cristiani o ebraici. Qui Ambrogio rivela una qualità comune a Simpliciano, che forse aveva assimilato proprio da lui: ciò che conta in definitiva non è tanto l'opinione dell'uno o dell'altro autore, ma la continuità e la fecondità della Parola di Dio nelle opere e negli scritti degli uomini. Molto chiara è a questo proposito la raccomandazione che Simpliciano rivolse ad Ambrogio in una lettera: "Non val la pena - scrive Simpliciano - dare del tempo ad autori i cui scritti tramontano prima della loro stesa vita." (Lettera 2, 1 a Simpliciano) L'influsso di Simpliciano fu particolarmente rilevante nell'ambito culturale milanese non solo in materia di interpretazione delle Sacre Scritture, ma pure nelle questioni teologiche. Con l'acuirsi della crisi ariana fu probabilmente proprio lui a guidare Ambrogio nella sua polemica antiariana, dotandolo soprattutto nei primi anni dell'episcopato, di quegli strumenti tecnici necessari per governare una diocesi che risentiva ancora dell'influsso del precedente vescovo ariano Aussenzio.

Più di ogni altro membro del clero milanese Simpliciano aveva infatti le conoscenze adatte a sostenere l'urto delle dottrine ariane. Si sa che a Roma non solo aveva conosciuto Atanasio, il grande vescovo di Alessandria difensore in oriente della fede nicena, ma pure aveva letto e studiato le opere contro gli ariani scritte da Mario Vittorino. La competenza specifica di Simpliciano è innegabile ed essa fu travasata in Ambrogio, il quale nel 378 a soli quattro anni dall'elezione a vescovo, è in grado di scrivere per Graziano, il giovane imperatore residente a Milano, il De fide, un'opera che rivela profondità di pensiero e una padronanza delle questioni teologiche veramente sorprendenti in un uomo che fino ad allora si era solo occupato di questioni di pubblica amministrazione. Lo stesso Agostino trarrà benefici innegabili dai suoi colloqui con Simpliciano, che in passo delle Confessioni si felicita con lui per aver letto "quosdam libros platonicorum", lasciando intendere che li conosce a sua volta molto bene (Conf. VIII, 2, 3). Simpliciano, in definitiva, non solo assicurò ad Ambrogio il battesimo, ma pure curò per lui una approfondita preparazione biblico-teologica e culturale in genere.

"Vecchio sì, ma buono" esclamerà sul letto di morte Ambrogio mentre si rivolgeva ai diaconi milanesi che proponevano sottovoce Simpliciano come suo successore. Questo resta ancora oggi il miglior elogio che gli sia stato fatto.

 

Ambrogio

Prima ancora di essere consacrato vescovo Ambrogio probabilmente aveva già un certo personale interesse per gli studi filosofici. Difficile dire però quale scuola di pensiero Ambrogio seguisse di preferenza: oltre al platonismo quasi certamente si avvicinò e coltivò l'eclettismo di maniera di quel secolo, dove convivevano elementi sia di origine stoica che platonici. Non solo Agostino, ma pure Ambrogio deve molto all'influenza di Plotino. Uno studio comparato dei testi condotto da diversi studiosi ha evidenziato significative analogie tra le Enneadi plotiniane e alcune opere ambrosiane.

Pierre Courcelle ha evidenziato l'impiego di intere proposizioni nel De Isaac e nel De bono mortis desunte dai trattati I, 8 e I, 6 delle Enneadi. Solignac ha segnalato altre analogie tra il De Iacob et vita beata ed il trattato I, 4 Peri eudaimonis. Pierre Hadot a sua volta ha precisato che i passi del De Isaaac e del De bono mortis sono stati desunti dai trattati I 6, I 7, III 5, IV 8. Anche François Szabò ha individuato brevi paralleli fra il De fuga e Enneadi I 2, 1 e I, 7, 1. La composizione di questo complesso di opere ambrosiane risale al 386 circa, l'anno in cui Agostino a Milano ha le migliori occasioni di frequentare il circolo neoplatonico milanese. Queste opere rivelano che Ambrogio era sicuramente impegnato in una fase di rieleborazione del pensiero neoplatonico: qualche autore, come Lorenzo Taormina, ha percorso questa traccia e sottolineando le analogie tra la teologia del De fide e la concezione dell'Uno in Plotino ha evidenziato una stretta affinità fra le idee di Plotino e quelle di Ambrogio. Elementi neoplatonici sono già presenti anche nella prima opera di Ambrogio sulle Scrittura Sacre: nel De paradiso infatti sono ben evidenti alcuni temi plotiniani che saranno ripresi successivamente con ben altro approfondimento nel De Isaac e nel De bono mortis. L'interpretazione dell'episodio dell'albero della conoscenza del bene e del male ad esempio segue in piena analogia il pensiero plotiniano. Per Ambrogio nel disegno originario di Dio questo albero doveva "dare all'uomo la possibilità di conoscere la supremazia del bene .. poiché noi non sapremmo cos'è il male senza la conoscenza del bene. " (De paradiso 2, 8)

In Plotino (Enneadi I 8, 1) si può leggere in piena analogia che "è necessario che colui che vuole apprendere che cosa sia il male sappia discernere la natura del bene." Da Plotino Ambrogio deriva sostanzialmente due idee principali e cioè quella del Bene supremo e quella della possibilità di liberare l'anima grazie alla pratica delle virtù. Queste due idee sospingono Ambrogio in una duplice direzione, una misticheggiante e l'altra moralistica, i cui elementi di fondo emergono chiaramente già dalla prima lettera a Simpliciano. Possiamo qui definire anche quale fu il personale contributo di Ambrogio nella interpretazione del pensiero plotiniano: precisamente Ambrogio identifica il Cristo con il Buono ed il Bello di Plotino (cfr. Epist. 11 a Ireneo). Ambrogio ricorre a Plotino soprattutto negli anni 385-387, un'età che è ben documentata dalla conversione di Agostino. E' un'epoca che vede Ambrogio oscillare da Filone a Plotino per poi tornare a Filone. Difficile dire se Ambrogio abbia conosciuto le opere nei testi originali o secondo la traduzione che fu fatta da Mario Vittorino. Non è da escludere proprio quest'ultima ipotesi tenuto conto che Simpliciano aveva conosciuto molto bene Vittorino, ne aveva lette le opere e soprattutto aveva portato con sè una copia della traduzione dei neoplatonici, traduzione che anche Agostino lesse e che Teodoro studiò con cura.

 

Manlio Teodoro

Un panegirico pronunciato da Claudiano in occasione della elezione a console di Flavio Manlio Teodoro permette di conoscere la sua carriera politica e nel contempo ci aiuta a farci un'idea della sua attività letteraria. Flavio Manlio Teodoro nacque nella provincia della Liguria romana, da una famiglia di condizione piuttosto modesta. Ciò non gli impedì di diventare governatore di una provincia africana (probabilmente la Libia), poi della Macedonia (378), Magister memoriae (379), Comes sacrarum largitionum (380) e infine Prefetto del Pretorio per la Gallia (382), prima di cadere in disgrazia verso il 383. Da questo momento e per più di dieci anni si occuperà di varie questioni legate ai dibattiti culturali del secolo e passerà il suo tempo libero a studiare e a comporre opere filosofiche. Nel 397 riprende la carriera politica sull'onda dell'entusiasmo evocato da Stilicone, prima in qualità di Prefetto del Pretorio per l'Illiria, l'Italia e l'Africa, poi come secondo console con Eutropio nel 399. Non abbiamo più sue notizie a partire dal 409. Ai versi 67-117 e 253-255 del panegirico Claudiano si sofferma a descrivere le opere che scrisse e gli argomenti di cui si occupò. Già nei versi 84-99 si può trovare un esplicito rimando ad un'opera che analizza gli sviluppi della filosofia post-socratica. In essa Teodoro, al dire di Claudiano, "ornava di fioriture romane le dottrine oscure dei Greci rendendo più interessante la sua esposizione facendo dialogare fra loro vari filosofi."

E' verosimile che Teodoro abbia presentato le varie scuole filosofiche dell'antichità e cioè la tradizione socratica, il platonismo, lo stoicismo con Cleante e Crisippo, l'atomismo di Democrito, e persino Pitagora o, meglio, il neopitagorimo che, al pari del platonismo, aveva riacquistato consensi nei ceti alti e fra le persone colte. Nei versi 93-99 Claudiano sembra presentare proprio la scuola di Plotino, il cui insegnamento a Roma iniziò nel 245 protraendosi fino al 269, un anno prima della morte sopravvenuta in Campania nel 270. Claudiano ci offre un vero e proprio riassunto della dottrina neoplatonica, che con Plotino da Atene era migrata a Roma, permettendo ai romani di conoscere "da vicino le condizioni del vivere felici, le norme del bene e dell'onestà e anche la maniera di vincere i vizi praticando le virtù principali."

A quali conclusioni sia giunto Teodoro in questa opera non è noto. Dato che era già cristiano può darsi che abbia evidenziato gli stretti legami fra cristianesimo e platonismo. Se così fosse Teodoro dovrebbe essere considerato fra i primi autori che intravidero nel platonismo un sostegno al cristianesimo, seguendo un giudizio che Agostino codificherà in alcune sue opere (De civitate Dei VIII, 8-12; X, 2; Epist. 118, 3, 21 e 5, 33 a Dioscorum). I versi 110-113 si riferiscono ad un altro scritto che si intitolava probabilmente De rerum natura nel quale Teodoro trattava degli elementi, delle mutabilità della materia, dei moti degli astri, della luna, delle maree e dei fenomeni meteorologici. Questa specifica testimonianza di Claudiano trova una diretta conferma nei testi di Agostino che riferisce della intenzione di Teodoro di realizzare una scritto che però non è ancora riuscito a vergare definitivamente. Più precisamente nell'introduzione del De beata vita, un'opera dedicata proprio a Teodoro, accennando al problema dell'origine del mondo Agostino rivolgendosi all'amico scrive che "il problema è difficile soluzione e tu hai cominciato a chiarirlo." (De beata vita 1, 1) Un altro cenno sul medesimo tema è forse in Soliloquia 2, 14, 26. Teodoro era un appassionato studioso di Plotino: è Agostino stesso a ricordarcelo nel De beata vita, quando accenna alla sua lettura di "alcuni libri di Plotino, di cui so che tu Teodoro sei grande ammiratore. " (De beata vita 1, 4)

Al pari di Agostino anche Teodoro possedeva ampie conoscenze filosofiche e i suoi interessi oltre il platonismo abbracciavano la storia della filosofia antica, i problemi di morale, di fisica e di cosmologia.

 

Nebridio

Personaggio non di secondo piano in questo gruppo di persone dedite agli studi neoplatonici era anche Nebridio. "Anche Nebridio - dice di lui Agostino - aveva lasciato il paese natio, nei pressi di Cartagine, e poi Cartagine stessa, ove lo s'incontrava di sovente. Aveva lasciato la splendida tenuta del padre, lasciata la casa e la madre, non disposta a seguirlo, per venire a Milano con l'unico intento di vivere insieme a me nella ricerca ardentissima della verità. Investigatore appassionato della felicità umana, scrutatore acutissimo dei più difficili problemi, come me anelava e come me oscillava." (Conf. 6, 10, 17)

A Milano discute con Agostino e Alipio sul massimo dei beni e dei mali (Conf. 6, 16, 26). Non partecipa al ritiro di Cassiciaco perché, per aiutare Verecondo, dietro insistenza degli amici ne è diventato l'assistente: "Quanto a Nebridio, cedendo alle sollecitazioni di noi amici - scrive Agostino - era divenuto assistente di Verecondo, un maestro di scuola, cittadino milanese, intimo di tutti noi. Verecondo desiderava vivamente, ce ne richiese in nome dell'amicizia, di avere dal nostro gruppo quell'aiuto fedele, di cui troppo mancava. Nebridio perciò non vi fu attratto dalla brama dei vantaggi, che, se soltanto voleva, poteva ricavare più abbondanti dalla sua cultura letteraria, bensì, da amico soavissimo ed arrendevolissimo qual era, per obbligazione di affetto non volle respingere la nostra richiesta." (Conf. 8, 6, 13) In questo periodo scambia tuttavia alcune lettere con Agostino, il cui contenuto ci chiarisce che i suoi interessi filosofici riguardavano soprattutto l'anima umana, la sua natura corporea o quasi-corporea, la sua memoria, la sua fantasia, l'azione dello spirito durante il sonno. Queste lettere lasciano intravedere delle reminiscenze plotiniane (Enneadi IV 3, 4, 5; VI 6) e anche porfiriane. Tali interessi ci convincono che Nebridio abbia avuto l'opportunità di discutere con Agostino ed Alipio di letture neoplatoniche e che quindi, grazie ad Agostino, che lo stimava molto, abbia partecipato in qualche modo ai lavori del circolo neoplatonico milanese.

Nebridio morì poco dopo il ritorno in Africa al seguito di Agostino: "Non molto tempo dopo la nostra conversione e rigenerazione mediante il tuo battesimo divenne anch'egli fedele cattolico e mentre ti serviva in Africa tra i suoi familiari, che aveva tutti convertito alla fede cristiana, in una castità e continenza perfette, lo liberasti dalla carne. Ora vive nel seno di Abramo, là qualunque sia il suo significato di questo «seno», il mio Nebridio, il dolce amico mio, ma tuo, Signore, figlio adottivo e già liberto. Là vive: e che altro luogo sarebbe adatto a quell'anima ? Vive nel luogo di cui spesso chiedeva a me, omuncolo inesperto. Non avvicina ora più l'orecchio alla mia bocca, ma la sua bocca spirituale alla tua fonte, ove attinge la sapienza quanto può e vuole, infinitamente beato." (Conf. 9, 3, 6)

 

Zenobio

Al pari di Nebridio è sempre Agostino a suggerirci il nome di un altro componente prestigioso del circolo neoplatonico milanese: si tratta di Zenobio, che Agostino conosceva in forza della sua professione. Zenobio, probabilmente di origine greca, era personaggio importante e altolocato, forse un membro dell'entourage della corte imperiale. A lui Agostino dedicò il De ordine e nell'introduzione di quest'opera lo sollecita sul tema della razionalità del mondo. Più avanti esprime un giudizio lusinghiero dell'uomo: "Tu comprenderai certamente o Zenobio la dottrina sull'argomento di cui sto parlando, i motivi della prevaricazione spirituale e il modo per cui tutte le cose si armonizzano nell'unità e raggiungono il fine, e ciò nonostante, la ragione per il cui peccato si deve evitare. Infatti mi sono noti il tuo ingegno e il tuo spirito innamorato della bellezza ideale, sgombro da smoderata libidine e da macchie." (De ordine 1, 2, 4) Con Zenobio Agostino ha discusso spesso sulla razionalità delle cose, anche se non ha mai saputo rispondere esaurientemente alle sue domande, che lo hanno incalzato e lo incalzano tuttora: "Il nostro Zenobio spesso ha discusso con me sulla razionalità delle cose. Non ho potuto mai rispondere esaurientemente alle sue profonde domande sia per l'oscurità del soggetto sia per la scarsezza del tempo.

Egli non ha tollerato il mio continuo rimandare fino a che, per costringermi a rispondere più diligentemente e diffusamente, mi ha perfino sollecitato con una poesia." (De ordine 1, 7, 20)

Sembra che Zenobio si stesse interessando in modo particolare proprio del problema dell'ordine del mondo: "Ma almeno fosse presente Zenobio che si affatica tanto sul problema. Ma da quando non esercito più la professione, non l'ho più incontrato a causa del suo posto altolocato." (De ordine 1, 9, 27) Un contrattempo improvviso, forse legato all'attività e agli impegni pubblici che svolgeva, l'aveva costretto a rifugiarsi al di là delle Alpi, dove forse era riuscito a concludere le sue argomentazioni in forma scritta: "V'è poi l'altro che conosce, a causa della dimestichezza, la nostra sete ardente, ma ora è tanto lontano e noi ci troviamo in condizioni d'impossibilità perfino di spedirgli una lettera. Penso che nella solitudine oltre le Alpi abbia condotto a termine il carme col quale viene dissolto il timore della morte ... " (Soliloquia 2, 14, 26)

 

Alipio

Fra i probabili frequentatori di questo circolo neoplatonico inseriamo anche Alipio, intimo amico di Nebridio e di Agostino, con il quale condivise il percorso intellettuale e di conversione maturato a Milano. E' più che plausibile dunque che anch'egli al pari dei suoi amici abbia conosciuto e studiato le opere neoplatoniche. Alipio, nativo di Tagaste, era compaesano di Agostino, benché più giovane e di famiglia benestante. Era stato allievo di Agostino durante i suoi primi anni di insegnamento non solo a Tagaste ma anche a Cartagine. Benché fosse di indole virtuosa, il vortice degli spettacoli frivoli l'aveva attratto, stimolandogli una passione forsennata per i giochi del circo. Grazie agli insegnamenti di Agostino se ne ravvide per tempo, pur ricadendo qualche volta nello stesso errore. Precedette Agostino a Roma per frequentarvi dei corsi di diritto e sempre a Roma esercitò la professione di giudice. Quando Agostino si trasferì a Milano, lo seguì manifestando una grande passione per la letteratura. Frequentava anch'egli Simpliciano ed anzi è presente con Agostino durante il racconto della vita di Ponticiano.

Durante la permanenza a Milano nel 386-386 sembra l'alter ego di Agostino poiché lo segue ovunque, è sempre presente nei momenti più importanti e percorre assieme ad Agostino la medesima sequela spirituale: è presente alla scena della conversione di Agostino, a sua volta si converte, con Agostino si fa catecumeno, nel 386 si reca anch'egli a Cassiciaco, nel 387 riceve il battesimo assieme ad Agostino e con lui ritorna in Africa, diventa sacerdote e infine vescovo di Tagaste.

Nel dialogo Contra Academicos che si svolse a Cassiciaco fu eletto arbitro delle discussioni e in vari passi dimostra una buona conoscenza della filosofia classica, dei Pitagorici (De Ordine 2, 20, 53) e dei filosofi dell'Accademia (Contra Academicos 2, 6, 14-15). In disputa con Agostino difenderà le tesi accademiche (Contra Academicos 2, 8, 20 e 3, 6, 13) e per questa ragione sarà invocato da Licenzio in una discussione che si svolge nel De beata vita (2, 14-15). Per propria ammissione Alipio ci assicura che ha appreso le dottrine degli accademici da Agostino che "le ha ben presenti nel suo pensiero." (Contra Academicos 2, 10, 24)

 

Celsino

Risulta più difficile identificare un altro personaggio che Agostino cita nei suoi testi e che potrebbe aver fatto parte del circolo neoplatonico milanese. Si tratta di Celsino, per il quale è possibile soltanto avanzare delle ipotesi. Courcelle lo ha identificato con Celsino di Castabala, l'autore di una Sunagôgè dogmatôn pasès aireseôs philosphou che Teodoro avrebbe "tradotto."

Questa raccolta dossografica secondo Courcelle che corrisponderebbe alle citazioni di cui ai versi 67-83 del panegirico di Claudiano e sarebbe la stessa di cui Agostino parla nella prefazione del De haeresibus, parlando di Celsus: "Opiniones omnium philosophorum qui sectas varias condiderunt usque ad sua tempora - neque enim plus poterat - sex non parvis voluminibus quidam Celsus absolvit." Di diversa opinione si è espresso Solignac che ha rifiutato l'ipotesi di Courcelle. Siccome Celsino viene citato nel Contra Academicos in un proemio in cui Agostino si rivolge confidenzialmente a Romaniano: "eccoti che alcuni libri pieni, come dice Celsino, diffusero su me buoni odori ..." (C. Acad. II, 2, 5) è verosimile che i due si conoscessero. Nel quarto secolo sono noti due Celsini: Celsino Tiziano, fratello di Simmaco e Clodio Celsino Adelfio, marito della poetessa cristiana Faltonia Betizia Proba. Il primo era morto verso l'anno 380 mentre del secondo, prefetto di Roma nel 351, non abbiamo notizie certe per l'anno 386. L'attività di Romaniano poteva avergli fatto conoscere sia l'uno che l'altro personalmente o per fama. Del resto non va dimenticato che il cognomen Celsinus nel quarto secolo era diffuso in diverse famiglie romane.

Resta comunque certo che il Celsinus menzionato da Agostino era un latino e conosceva i libri platonici nella traduzione di Vittorino piuttosto che in lingua greca. A Roma nel 384 insegnava un filosofo greco chiamato Celso o Celsus (vedi Simmaco Relatio 59), ma è poco verosimile che si tratti del nostro.

 

Ermogeniano

Un altro personaggio incerto da riconoscere è Ermogeniano. Agostino nella Lettera 1 risponde a una sua lettera, che approvava la sua interpretazione dell'essoterismo dei platonici. Nella medesima occasione Agostino lo invita a esprimere un giudizio più approfondito su quella parte del Contra Academicos in cui rivela la sua decisione di seguire l'auctoritas Christi continuando a cercare presso i neoplatonici "perché ho fiducia di trovare presso loro temi che non contrastano con i libri sacri." (Contra Academicos 3, 20, 43) Solignac lo identifica con Q. Clodio Ermogeniano Olibrio, figlio di Clodio Celsino Adelfio. Ermogeniano aveva percorso una brillante carriera nell'Amministrazione imperiale: era stato proconsole d'Africa nel 361-362, prefetto di Roma nel 369-370 e console nel 379. Simmaco lo cita nel 385 nella sua Relatio, 28.

Nel 386 era probabilmente ancora vivo, ma certamente era già deceduto prima del 395, quando Claudiano celebrò l'elezione di suo figlio Olibrio al consolato. I contatti fra Agostino e la sua famiglia, che continueranno anche negli anni seguenti, sono documentati dalla dedica dell'Epistola 130 sulla preghiera, alla figlia di Olibrio, Anicia Faltonia Proba e dalla dedica del De bono viduitatis alla nuora di costei, Anicia Giuliana, madre di Demetrìade. Come suggerisce Prudenzio (Contra Symmachum I, 554-557) Ermogeniano nel 386 era forse già battezzato. Pur lodandone l'integrità come giudice, Ammiano Marcellino (XXVIII, 4, 1) lo biasima perché viveva nel lusso e si abbandonava a varie relazioni amorose. L'adesione di Ermogeniano al cristianesimo era forse più di facciata che di sostanza, un atteggiamento che era condiviso anche da tanti altri uomini di carriera di quel secolo. Gli alti incarichi e la dignità di magistrato ne facevano un uomo importante, al quale non era estraneo un buon grado di cultura. Sicuramente era in grado di apprezzare l'interpretazione agostiniana e cristiana in genere del platonismo. Solignac avanza l'ipotesi che possa essere lui l'uomo di straordinario orgoglio che fece leggere ad Agostino i libri platonici.

 

Conclusioni

Per concludere possiamo porci una domanda: quale fu l'influenza del neoplatonismo nell'ambito culturale cristiano milanese del IV secolo ? Le opinioni al riguardo sono sottilmente diversificate e possiamo citare come esempi le tesi di Courcelle e Solignac.

Il primo afferma che "neoplatonismo e cristianesimo sono intimamente legati per l'élite intellettuale della Chiesa milanese e non opposti, come hanno creduto i moderni. Questa formulazione sintetica e già elaborata è quella cui Agostino aderisce interamente. Possiamo far risalire l'origine di questa sintesi ragguardevole a Mario Vittorino, di cui Simpliciano, catechista di Ambrogio, è stato amico intimo." Solignac, che pure ha molto studiato il fenomeno attenua di molto questo giudizio e crede in un'azione più attiva del cristianesimo.

 Egli è del parere che "il neoplatonismo è stato sottoposto ad un processo critico di cristianizzazione, iniziato da Vittorino, sottolineato da Ambrogio, di cui Agostino accentuerà la portata nelle opere posteriori. Egli non rinnegherà mai il suo attaccamento al neoplatonismo e ne utilizzerà strumento concettuale per pervenire all'intellectus fidei che gli è proprio. Egli sottoporrà nondimeno la metafisica plotiniana e porfiriana a delle correzioni sostanziali. Dobbiamo tuttavia riconoscere che la lettura dei libri platonicorum nel clima specifico del circolo milanese, ha giocato un ruolo preponderante nella formazione filosofico-teologica di Agostino. Senza questo passaggio attraverso il neoplatonismo, non sarebbe diventato il genio teologico che avrebbe segnato il pensiero cristiano in occidente fino ai nostri giorni." Possiamo completare queste affermazioni sottolineando che il platonismo sicuramente esercitò una grande seduzione sui Padri della Chiesa.

E' opportuno però precisare che il platonismo, oggetto di insegnamento dal IV secolo a. C. fino agli inizi del VI secolo, si tramandò sotto varie tendenza e che solo quelle abitualmente denominate "accademia media" e "neoplatonismo" costituirono l'insieme dottrinale con cui i Padri della Chiesa si trovarono in contatto. Atenagora, Giustino, Clemente Alessandrino, Origene per i greci, Tertulliano e Minucio Felice per i latini sono i principali esponenti di questa corrente di pensiero cristiano che si affacciava costantemente al platonismo. I neoplatonici milanesi seguirono questa via tracciata da secoli e ben consolidata, portando nel dibattito e negli studi una ventata di novità di eccezionale portata.

Gli scritti di Ambrogio e soprattutto di Agostino, che sono il frutto più alto di questa rielaborazione del platonismo in veste cristiana hanno infatti scandito tutta quanta la teologia medioevale e lo stesso Tommaso d'Aquino è più vicino a Plotino di quanto non sia al vero Aristotele. Grazie a Plotino e alla mediazione cristiana, una delle espressioni più alte della filosofia greca, sopravvive ancora oggi e affida alla cultura contemporanea un prezioso testimone il cui obiettivo finale è la ricerca della verità, la vita virtuosa, la prevalenza dell'anima e dello spirito sulle cose materiali.