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San Simpliciano

 Simpliciano: arca di Sant'Agostino a Pavia

Simpliciano: arca di Sant'Agostino a Pavia

 

 

 

San Simpliciano

 

 

 

"Senex sed bonus" ovvero "vecchio, ma buono", che potremmo meglio tradurre: "è anziano, ma in buona salute" o anche "è anziano, ma è di grande valore." Per ben tre volte Ambrogio ripete sul letto di morte questa breve ma significativa frase che approva l'intenzione dei diaconi milanesi di nominare Simpliciano suo successore sulla cattedra di Milano.

E' Paolino, il primo biografo di Ambrogio, che descrive il contesto in cui si svolge questo episodio: "Casto, Polemio, Venerio e Felice, che allora - scrive - erano diaconi, stando lì tutti insieme discutevano fra loro a voce bassa, sì che a stento si sentivano l'un l'altro, chi dovesse essere ordinato vescovo dopo la morte di Ambrogio. Avendo essi fatto il nome di Simpliciano, Ambrogio che pur giaceva lontano da loro, in tono di approvazione ripeté tre volte: «Vecchio, ma buono». Infatti Simpliciano era avanti negli anni. A udir quella voce, i diaconi spaventati si allontanarono in fretta. Morto Ambrogio, non gli succedette altri nell'episcopato, se non colui che egli tre volte aveva definito buon vecchio. " (Paolino, Vita Ambrosii, 46)

Già da questo breve episodio appare evidente la grande stima di cui Simpliciano godeva nella chiesa milanese e la grande autorevolezza che gli veniva riconosciuta. "Buon servitore di Dio" lo definisce Agostino (Conf. 8, 1, 1), un giudizio questo che conferma il racconto di Paolino, anzi - aggiunge Agostino - "in lui riluceva la grazia di Dio. Avevo sentito dire che fin da giovane viveva interamente consacrato a Dio." Ma chi era veramente questo Simpliciano che suscita l'ammirazione di Ambrogio e di Agostino ?

 

Il soggiorno romano

Contrariamente all'opinione dello storico ambrosiano Paredi, che lo vuole di origini milanesi, Solignac, che pure ha trattato a fondo la questione, ritiene che Simpliciano fosse piuttosto nativo di Roma, poiché non si spiegherebbe altrimenti la grande amicizia che legava Simpliciano a Vittorino, il famoso retore della Roma del IV secolo. La questione è tuttora controversa, perché Simpliciano visse sia a Roma che a Milano e in entrambe le città ebbe un ruolo di primo piano nella storia delle chiese locali.

E' possibile che Ambrogio lo abbia conosciuto proprio a Roma, dove Simpliciano visse per un lungo arco di tempo, che, secondo Paredi, va dal 340 al 365. Proprio in questi anni infatti Ambrogio, che aveva circa 15-20 anni, conclude a Roma i suoi studi prima di intraprendere la carriera politica nell'amministrazione statale imperiale e proprio in questi anni sua sorella Marcellina fa i propri voti di verginità ricevendo il velo dalle mani di papa Liberio. Appartenendo Ambrogio ad una famiglia di primo piano dell'aristocrazia romana, per di più tradizionalmente legata alla chiesa cattolica, non è improbabile che la frequentazione delle gerarchie ecclesiastiche gli abbia permesso di conoscere fra gli altri anche Simpliciano. E' difficile definire fino a quale punto si sia spinta questa conoscenza, soprattutto in considerazione della giovane età di Ambrogio e delle sue giovanili ambizioni di carriera nell'apparato statale. Tuttavia è un dato di fatto che, dopo il suo arrivo a Milano e la sua consacrazione a vescovo, Ambrogio trovò in Simpliciano un aiuto validissimo quanto indispensabile e discreto, che sembra scaturire, onda lunga, da una amicizia o comunque da una personale conoscenza di vecchia data.

Il soggiorno romano di Simpliciano si contraddistingue tuttavia, alla luce delle conoscenze attuali, soprattutto per i suoi personali rapporti con Mario Vittorino e più in generale per gli studi compiuti in questo periodo circa il pensiero neoplatonico, ai quali non fu certamente estraneo lo stimolo della sua amicizia per il grande retore romano. Fra Simpliciano e Vittorino ci fu vera e profonda amicizia che maturò entrambi permettendo a Simpliciano di apprezzare il pensiero neoplatonico tanto caro a Vittorino e a Vittorino di decidersi ad abbandonare la religio pagana per abbracciare la fede cristiana che Simpliciano praticava e viveva assiduamente. In questo contesto romano si concretizza dunque il suo ruolo determinante nella conversione del retore Mario Vittorino, un episodio questo ben conosciuto, soprattutto grazie al fresco resoconto che ce ne danno alcune pagine del libro ottavo delle Confessioni. Agostino venne a conoscenza dei fatti che descrive direttamente da Simpliciano, da cui si era recato con la speranza di ottenere un consiglio su come indirizzare la sua vita futura, se rivolgersi cioè al matrimonio oppure alla vita consacrata a Dio.

Simpliciano non risponde direttamente alla richiesta di Agostino ma gli propone piuttosto l'esempio di Vittorino. E proprio nelle parole di Simpliciano rivive il ricordo dell'amico, in cui possiamo distinguere i due aspetti già sopra introdotti e cioè l'accostamento al pensiero neoplatonico e il suo ruolo decisivo nella conversione dell'amico. Anzi è proprio l'accenno di Agostino alle sue letture neoplatoniche a scatenare in Simpliciano un lungo monologo che vede protagonista Vittorino. In apparenza questo comportamento di Simpliciano sembra lontano dal rispondere alla richiesta di Agostino, ma in realtà, con un esempio ben preciso, lo costringe ad una riflessione personale che non potrà non condurlo ad operare una scelta consapevole della sua vita futura. "Quando accennai - scrive Agostino - alla lettura da me fatta di alcune opere dei filosofi platonici tradotte in latino da Vittorino, già retore a Roma e morto, a quanto avevo udito, da cristiano, si rallegrò con me ... per esortarmi poi all'umiltà di Cristo, celata ai sapienti e rivelata ai piccoli, evocò i suoi ricordi di Vittorino appunto, da lui conosciuto intimamente durante il suo soggiorno a Roma. Quanto narrò dell'amico non tacerò, poiché offre l'occasione di rendere grande lode alla tua grazia. Quel vecchio possedeva vasta dottrina ed esperienza di tutte le discipline liberali, aveva letto e ponderato un numero straordinario di filosofi, era stato maestro di moltissimi nobili senatori. Così meritò ed ottenne per lo splendore del suo altissimo insegnamento un onore ritenuto insigne dai cittadini di questo mondo: una statua nel foro romano.

Fino a quell'età aveva venerato gli idoli e partecipato ai sacrifici sacrileghi, da cui la nobiltà romana di allora quasi tutta era invasata ... A detta di Simpliciano, leggeva la Sacra Scrittura, e tutti i testi cristiani ricercava e studiava con massima diligenza. Diceva a Simpliciano, non in pubblico, ma in gran segreto e confidenzialmente: «Devi sapere che sono ormai cristiano» ma l'altro replicava: «Non lo crederò nè ti considererò nel numero dei cristiani finchè non ti avrò visto nella chiesa di Cristo». Egli sorrideva chiedendo: «Son forse i muri a fare i cristiani ?». E lo affermava sovente, di essere ormai cristiano, e Simpliciano replicava sempre a quel modo, ed egli sempre ripeteva quel suo motto sui muri della chiesa. In realtà si peritava di spiacere ai suoi amici ... perso il rispetto verso il suo errore e preso da rossore verso la verità, all'improvviso e di sorpresa, come narrava Simpliciano, disse all'amico: «Andiamo in chiesa, voglio divenire cristiano». Simpliciano, che non capiva più in sè per la gioia, ve lo accompagnò senz'altro. Là ricevette i primi rudimenti dei sacri misteri. Non molto tempo dopo diede anche il suo nome per ottenere la rigenerazione del battesimo, tra lo stupore di Roma e il gaudio della Chiesa ... Allorché il tuo servo Simpliciano mi ebbe narrata la storia di Vittorino, mi sentii ardere dal desiderio di imitarlo, che era poi lo scopo per il quale Simpliciano me l'aveva raccontata. Soggiunse poi un altro particolare: che, poiché ai tempi dell'imperatore Giuliano un editto proibiva ai cristiani d'insegnare letteratura e oratoria, Vittorino, inchinandosi alla legge, aveva preferito abbandonare la scuola delle ciance anziché la tua Parola, che rende eloquente la lingua chi non sa parlare."

Poiché questa conversione di Vittorino si matura verso il 355 è possibile ipotizzare la data di nascita di Simpliciano: in quell'anno doveva avere circa trent'anni o trentacinque, il che ci permette di porre il suo anno di nascita verso il 320-325. Agostino raccontando la conversione di Vittorino purtroppo non specifica, sia pure sommariamente, l'età di Simpliciano. Tuttavia nel De civitate Dei, lo indica come un "sanctus senex." Quest'ultima definizione agostiniana non può essere interpretata riduttivamente come una proiezione di ciò che aveva potuto sapere da altre fonti sull'età avanzata alla quale era pervenuto Simpliciano, ma è più probabile che l'espressione "sanctus senex " concretizzi l'impressione che Agostino personalmente maturò durante i loro incontri milanesi e cioè quella di un uomo che aveva ormai passato i sessant'anni. Un brano di Paolino conferma questa impressione che Agostino ci trasmette: siamo sempre a Milano alla vigilia della morte di Ambrogio, poco più di dieci anni dopo gli incontri tra Agostino e Simpliciano.

Mentre i diaconi milanesi stanno discutendo sottovoce sul possibile successore di Ambrogio, costui, pur morente, ma di sicuro non sordo, reagisce quando si fa il nome di Simpliciano e pronuncia le famose parole "senex sed bonus." Paolino aggiunge anche che "erat enim Simplicianus aevi maturus ", cioè aveva ormai passato i settant'anni.

 

Il suo pensiero

Le indicazioni forniteci da Agostino sembrano chiarire l'estrema importanza che Simpliciano ebbe nella diffusione dei metodi e dei contenuti neoplatonici nell'ambito intellettuale e teologico della chiesa milanese. Nel racconto di Agostino Simpliciano si prefigura infatti come l'intermediario principale tra il cultore del neoplatonismo latino e i circoli intellettuali cristiani milanesi. Non è noto quando Simpliciano da Roma si trasferì a Milano, nè se ciò sia accaduto prima o dopo l'arrivo di Ambrogio in questa città nel 370. Ogni ipotesi è possibile quantunque l'evolversi dei fatti nel 374 lasci presupporre che Simpliciano fosse già stabilmente residente a Milano prima della designazione episcopale di Ambrogio. Contrariamente all'ipotesi sostenuta da Solignac, siamo dell'avviso che la sua partenza da Roma per Milano fu dettata da motivi che ci sfuggono piuttosto che da una esplicita chiamata di Ambrogio perché gli fosse "padre nella recezione della grazia", vale a dire perché lo preparasse al battesimo.

Certamente Ambrogio alla vigilia della sua ordinazione episcopale può aver richiesto l'aiuto di un maestro in materia di Sacra Scrittura e teologia e la scelta, forse per unanime consenso, sarebbe caduta proprio su Simpliciano. Ciò chiarisce che, al di là della probabile conoscenza personale dei due, che risaliva al soggiorno romano, Simpliciano già godeva nella chiesa milanese di grande prestigio. E' la stessa stima che indiscutibilmente gli viene attribuita unanimemente dai diaconi che lo propongono come successore di Ambrogio. Questo stato di fatto rende plausibile l'ipotesi che Simpliciano abbia giocato un ruolo molto ampio prima e durante l'episcopato ambrosiano. Egli fu non solo "un padre nella recezione della grazia", ma anche il primo maestro e guida intellettuale di Ambrogio nella conoscenza dei temi della Sacra Scrittura e di teologia. A Simpliciano infatti è attribuito, quasi unanimemente dagli storici, un ruolo importante nella preparazione di Ambrogio al battesimo. In questo senso viene interpretato l'appellativo "padre" con cui Ambrogio si rivolge all'anziano prete in alcune sue lettere, così come farà in seguito anche Agostino. Sarebbe tuttavia troppo riduttivo intenderlo nel senso di padrino e di catechista nella preparazione al battesimo di Ambrogio. Prima che "padre" infatti Simpliciano è chiamato "amico" nelle cui parole Ambrogio riconosce "l'affetto di una antica amicizia e, ciò che più conta, l'amore di una paterna bontà" (Lettera 7, 2 a Simpliciano, cfr. Lettera 2, 10). Ma Ambrogio va oltre e aggiunge, quasi con un'espressione di gelosia, che "un'amicizia di antica data stabilisce un raporto che può essere condiviso con molti, l'amore paterno no." E' un linguaggio e una precisazione che ci rimandano ad una relazione spirituale prima ancora che pastorale, dove prevale l'aspetto morale sull'aspetto propriamente operativo.

Gli effetti di questa influenza dottrinale di Simpliciano sono dirompenti e sono immediatamente percepibili nelle predicazioni e nelle prime opere ambrosiane pubblicate pochi anni dopo la sua ordinazione a vescovo. Ambrogio che non aveva ricevuto una formazione specifica in questo settore - è lui stesso a dire che "eletto all'episcopato, ho cominciato ad insegnare ciò che io stesso non avevo ancora imparato" - a partire dall'autunno 378, tratta invece con sicurezza, per l'imperatore Graziano, le questioni dogmatiche sollevate dall'arianesimo. Una analoga sicurezza nelle trattazioni si scopre anche in un'altra opera di quegli anni, il Commentario della Genesi nel De Paradiso. Ebbene Ambrogio fa ricorso in entrambe le due occasioni a fonti diverse che utilizza con una obiettiva capacità di sintesi, per quanto non si possa certo parlare di originalità. La sua conoscenza del greco gli permetteva di comprendere le sue fonti, anche se forse non riusciva ad apprezzarne la portata in relazione alle principali articolazioni del dogma cristologico e dei temi scritturistici. In questo contesto l'aiuto di Simpliciano diventa fondamentale, poiché può mettere a disposizione la sua esperienza maturata durante il soggiorno romano dove aveva potuto seguire da vicino gli sviluppi della crisi ariana. A Roma aveva potuto incontrare nel periodo del suo secondo esilio (339-346) Atanasio, il patriarca di Alessandria strenuo difensore in Oriente della fede nicena. Sempre a Roma aveva avuto occasione di incontrare i vescovi occidentali al loro ritorno dall'Oriente nel 360-361. Ma, soprattutto, Simpliciano aveva potuto leggere e approfondire i contenuti degli scritti di Mario Vittorino Adversus Arianos. Simpliciano era dunque la persona più adatta per guidare Ambrogio nel tracciare e maturare le linee direttrici della sua azione pastorale. Può anche darsi che Simpliciano abbia portato con sè, da Roma, le fonti greche e latine che aveva studiato assicurando al clero milanese utilissimi strumenti di lavoro. La prima lettera di Ambrogio a Simpliciano è molto importante per definire questi aspetti che tracciano le relazioni dottrinali e metodologiche fra i due. Questa lettera risponde ad una domanda formulata da Simpliciano a proposito di Exaemeron 24, 6.

Questa domanda di Simpliciano ci introduce immediatamente nell'argomento, poiché rivela la "metodologia didattico-educativa" di Simpliciano e cioè quella di porre questioni con lo scopo specifico di sollecitare l'interlocutore ad intraprendere una ricerca personale. Simpliciano aveva cioè il dono di stimolare le qualità intellettuali dei suoi interlocutori. Più che suggerire soluzioni o imporre scelte, egli sapeva accompagnare le persone, preparandole a percorrere da sole la stretta strada che porta alla verità. Nelle fasi preliminari della lettera, Ambrogio fa capire che egli personalmente conosce questo modo di procedere e anzi si fa vanto di averlo appreso da Simpliciano, che è in realtà il suo maestro. (Cfr. Epist. 2: "Sed quid est quod ipse dubites et a nobis requiras; cum fidei et acquirendae cognitionis divinae gratia totum orbem peragraveris, et quotidianae lectioni nocturnis ac diurnis vicibus omne vitae huius tempus deputaveris, acripraesertim ingenio etiam intellegibilia complectens, utpote qui etiam philosophiae libros quam a vero sint devii demonstrare soleas et plerosque tam inanes esse ut prius scribentium in suis scriptis quam vita eorum defecerit.") Lo scritto ambrosiano permette di distinguere almeno tre aspetti nell'attività intellettuale di Simpliciano, che hanno un diretto riflesso su Ambrogio. Simpliciano sarebbe stato teologo, esegeta e anche filosofo.

In quest'ultimo caso però dobbiamo fare attenzione poiché il termine "filosofo" va interpretata secondo l'accezione che Pitagora coniò per primo e cioè filosofo = amico della saggezza. Veniamo a sapere che Simpliciano ha frequentato tutto l'universo, cioè ha studiato le opere sia di autori orientali che occidentali, con il preciso intento di conoscere meglio gli elementi della fede. Queste letture gli hanno permesso di perfezionarsi nella scienza divina, cioè di essere un valido teologo. Simpliciano è anche una persona che passa la maggior parte del suo tempo, sia di giorno che di notte, a leggere, in primo luogo, soprattutto la Sacra Scrittura. E' cioè un esegeta di grande impegno. Inoltre sa penetrare "gli intellegibili " con acutezza di spirito ed è anche in grado di individuare gli errori dei filosofi e la vacuità dei loro scritti. Simpliciano per Ambrogio è dunque anche un filosofo, un "amico della saggezza", un tema questo, che anche Agostino a lungo tratta nel De Trinitate VIII, 1, 7. Anzi in questa occasione Agostino chiarisce una esplicita contrapposizione tra i termini philosophiam profiteri e sapientiam profiteri. Quest'ultima definizione viene rigettata da Agostino perché esprime una arrogante disposizione mentale e cioè il "credersi saggi " che un cristiano non può condividere. Al contrario, Agostino preferisce l'espressione philosophiam profiteri, che più umilmente indica l'atteggiamento di chi fa professione di essere amico della saggezza.

La medesima espressione philosophiam profiteri si ritrova con identico significato in Paolino che di Ambrogio asserisce "philosophiam profiteri voluit " (Vita Ambrosii, 7), Ambrogio cioè si interessò anch'egli di filosofia come via per cercare e amare la saggezza. Al pari di Simpliciano sia Ambrogio che Agostino sembra che qui seguano la posizione di fondo espressa da Pitagora (cfr. Ambrogio, De Abraham, II, 7, 37 e Agostino, De Civ. Dei, XVIII, 37, 3). I tre punti che abbiamo delineato hanno tutto l'aspetto di corrispondere ad un programma di formazione teologica, esegetica e filosofica, che si fonda su testi specialistici in ciascun campo. Questo programma viene abitualmente seguito da Ambrogio nelle sue opere del primo periodo, con la sola esclusione degli scritti sulla verginità, nelle quali attinge a diversi autori fra cui principalmente Filone, Origine, Atanasio, Basilio e Plotino. Questi testi ambrosiani dello scorcio iniziale del suo episcopato ricorrono costantemente ai testi-fonte, probabilmente per supplire alla scarsità di informazioni personali. Le stesse fonti subiscono in genere una profonda rielaborazione che cerca di inserirle in un piano cristiano ricco di referenze scritturistiche, che talora ne modificano il senso pur di piegarle e plasmarle in funzione della dottrina cristiana. Dietro questo metodo sembra di intravedere proprio la figura discreta e silenziosa di Simpliciano, che tuttavia, pur restando nell'ombra della storia, assume per sè un forte ruolo di stimolo. Questo aspetto della personalità di Simpliciano è ben espresso da un breve cenno che Gennadio di Marsiglia gli dedica presentandolo come il "questionatore" di Agostino, e lo compara ad Ambrogio che fu l'ergodiôktès (colui che perseguita attraverso il lavoro) di Origine (De viris inlustribus 37). Gennadio inoltre attribuisce a Simpliciano un'Epistula propositionum, che forse ha letto e che non è giunta fino a noi, nella quale Simpliciano insegnava ponendo delle domande: "quasi disciturus docet doctorem".

Questo doveva essere il suo modo di procedere con Ambrogio, che poi utilizzerà anche con Agostino. Illuminante è a questo proposito una osservazione espressa da Solignac che riportiamo per esteso e che definisce in estrema sintesi l'uomo-Simpliciano: "Simpliciano appartiene alla categoria di coloro che non scrivono o scrivono poco, non perché manchino di idee ma perché o ne hanno troppe, oppure il loro ingegno finissimo li porta a considerare qualsiasi formulazione inadeguata rispetto al vero." Simpliciano non ha scritto, o ha scritto molto poco, ma ha fatto scrivere: gli dobbiamo, anzittutto, l'opera di Ambrogio; ma in secondo luogo, nell'opera di Agostino, il modo in cui costui integra il neoplatonismo subordinandolo al messaggio di Cristo. Agostino rende visita a Simpliciano con lo scopo preciso di sapere se sia possibile essere cristiano e sposato. Ma il consigliere non risponde a questa domanda. Senz'altro ritiene che sia meglio permettere ad Agostino di continuare per la sua strada fino all'accettazione della continenza totale. Tuttavia il colloquio prosegue ed Agostino giunge spontaneamente ad una sorta di confessione riguardo al suo itinerario morale ed intellettuale. Simpliciano si felicita con lui per aver letto "quosdam libros platonicorum", lasciando intendere che li conosce molto bene; poi lo indirizza con molta discrezione sul cammino dell'umiltà, mostrandogli l'esempio di Vittorino, questo neoplatonico che non ha avuto vergogna di diventare "puer Christi tui et infans fontis tui subiecto collo ad humilitatis iugum ", non arrossì cioè a farsi bambino del tuo Cristo e neonato alla tua fonte, a sottoporre il collo al giogo dell'umiltà e a chinare la fronte al disonore della croce (Conf. VIII, 2, 3). Anche Agostino trae un importante giovamento dagli insegnamenti di Simpliciano. Sicuramente da Simpliciano ricava la consapevolezza delle differenze tra la metafisica di Plotino e le dottrine cattoliche. In particolare gli diventa chiaro il significato dell'incarnazione e della Croce, che non trova nei neoplatonici. (Conf. VII, 9, 13-14; cfr. anche De civitate Dei X, 19: "sed ideo voluit superbis Deus ille magister, quia Verbum caro factum est et habitavit in nobis.")

Vi sono molti motivi per ritenere che l'attività culturale e dottrinale di Simpliciano diede vita a Milano ad una cerchia di uomini colti, dediti alla lettura e allo studio, dove l'intento spirituale prevaleva sulle questioni puramente intellettuali. Si tratta di quello che Aimé Solignac ha chiamato il circolo neoplatonico milanese. Vi si coltivavano le letture e gli studi delle Sacre Scritture, in particolare delle lettere di san Paolo. In parallelo gli scritti dei filosofi del tempo, soprattutto i neoplatonici e i plotiniani, erano studiati perché fosse possibile sfruttarli ecletticamente per avvalorare l'esegesi spirituale del testo biblico. L'intento di questo circolo che raccoglieva l'eredità spirituale e culturale di Simpliciano non era quello di confrontarsi nè di polemizzare con gli autori classici pagani, bensì servirsene opportunamente secondo modalità sempre molto ortodosse e, per così dire, creative. A Simpliciano, come poi anche ad Ambrogio, non interessava l'opinione dell'uno o dell'altro autore. Ciò che realmente stava loro a cuore era ricercare e scoprire la continuità e la fecondità della Parola di Dio nel linguaggio degli uomini. "Non val la pena - raccomandava Simpliciano ad Ambrogio - dare del tempo ad autori i cui scritti tramontano prima della loro stessa vita." (Lettera 2, 1 a Simpliciano) "Vecchio sì ma buono" esclamerà Ambrogio morente, verso i diaconi che discutevano sottovoce il nome di Simpliciano come suo successore. Nessuno elogio poteva essere migliore per il suo vecchio maestro.

 

Simpliciano vescovo

Simpliciano succedette ad Ambrogio, ma il suo fu un episcopato di breve durata, dal 397 al 400 circa. In questo breve arco di tempo, quasi di transizione, ebbe tuttavia l'occasione di interessarsi di molte questioni di carattere generale che erano dibattute dall'intera cristianità. Dopo che Milano era diventata la sede occidentale dell'imperatore, la Chiesa milanese infatti aveva acquisito una tale importanza e un tale prestigio che al suo vescovo era spesso richiesto il parere o l'approvazione di importanti decisioni. La funzione di guida della Chiesa di Milano negli ultimi decenni del IV secolo aveva ricevuto un impulso straordinario dalla eccezionale personalità di Ambrogio e rimase sostanzialmente inalterata anche con Simpliciano e il suo successore Venerio, almeno fino al trasferimento della capitale da Milano a Ravenna voluto da Onorio.

Per queste ragioni sovente sia Ambrogio che Simpliciano vennero sollecitati ad esprimere un parere su questioni diversissime che coinvolgevano chiese locali, in analogia a quanto veniva abitualmente chiesto al papa di Roma. Già nel 397 gli fu recapitata, in qualità di nuovo vescovo di Milano, la lettera che il vescovo Vigilio di Trento aveva indirizzato ad Ambrogio per metterlo al corrente del martirio di Sisinio, Martirio ed Alessandro. Costoro erano tre leviti originari della Cappadocia, Sisinio diacono, Martirio lettore e Alessandro ostiario, che si erano formati a Milano sotto la direzione di Ambrogio e che si erano spinti durante il 397 nell'Anaunia, l'odierna Val di Non, dove furono martirizzati il 29 maggio dalle popolazioni alpine locali mentre cercavano di impedire a una famiglia cristiana di partecipare a una processione lustrale durante i riti tradizionali per il culto di Saturno. Le loro reliquie furono donate a Milano per interessamento del vescovo Vigilio di Trento, a cui si era rivolto proprio Simpliciano appena eletto vescovo. I loro corpi furono ricevuti da Simpliciano che li depose nella basilica delle Vergini, una chiesa voluta da Ambrogio lungo la via per Como, che egli stesso aveva aperto al culto. La depositio dei martiri nella chiesa, dove sarebbe stato poi sepolto anche Simpliciano, fu un gesto significativo che il nuovo vescovo compì per rinsaldare sul piano del prestigio spirituale ed ecclesiastico la preminenza di Milano nell'ambito di un impero che stava vacillando. Simpliciano si pone in questa occasione nel solco già tracciato da Ambrogio, la cui pastorale si propose di rilanciare il culto dei martiri che fu utilizzato nello scorcio finale del IV secolo dalla chiesa milanese per contrapporsi all'ambiente tendenzialmente filoariano della corte imperiale che pure risiedeva in città. Questa capacità della chiesa milanese di ergersi indipendente di fronte allo Stato continuò anche con Simpliciano, sia pure con toni meno aspri del periodo ambrosiano.

L'importanza della cattedra milanese è confermata dai pareri che in più occasioni furono richiesti a Simpliciano. Oltre che a papa Siricio i padri del concilio africano di Cartagine dell'agosto 397 inviarono anche a Simpliciano le lettere sinodali per saggiare la possibilità di ammettere agli ordini sacri i figli dei donatisti (Canon sessionis 13 augusti 397 in CCL 149, 186). Anche nel corso del concilio di Toledo del settembre 400, che definì numerosi canoni disciplinari e condannò l'eresia priscillianista, i vescovi chiesero a papa Atanasio I e a Simpliciano l'approvazione della decisione conciliare di riammettere alla comunione ecclesiale alcuni vescovi priscillianisti pentiti (J. Vives, Concilios visigóticos e hispano-romanos, 32-33). Non sembra che queste richieste di ratifica comportassero un particolare coinvolgimento della sede milanese nelle questioni dibattute, anche perché più che alle discussioni dottrinali in questi concili si poneva mano alla risoluzione di casi disciplinari e proprio riguardo a queste scelte si chiedeva la ratifica della chiesa milanese. Diverso fu il caso della questione origeniana che scoppiò con forza in quegli anni e coinvolse l'intera ecumene cristiana. Il pensiero teologico di Origene, ricco e complesso, dopo aver suscitato apprezzamenti e critiche, verso la fine del IV secolo fu accusato di numerosi errori e venne condannato principalmente da Epifanio di Salamina, da Teofilo di Alessandria e da san Gerolamo, che usò tutta la sua impetuosità e maestria per criticare Origene. Papa Anastasio convocò nell'estate del 400 un concilio a Roma che sostenne la linea antiorigenista e, secondo quanto traspare da una lettera personale che inviò a Simpliciano, condannò "tutto ciò che un tempo fu scritto da Origene in contrasto con la nostra fede." (Anastasio, Epistula ad Simplicianum Mediolanensem episcopum, 2. La medesima lettera corrisponde alla Ep. 95 nell'epistolario di Girolamo, CSEL 55) Questa lettera, inviata subito dopo la sessione del sinodo, è un segno dell'importanza della sede di Milano e di Simpliciano, il cui assenso in una situazione così grave non poteva essere trascurato neppure dal papa. A questa lettera portata a Milano personalmente dal presbitero Eusebio di Cremona, un fedele discepolo di Girolamo, Simpliciano non diede mai alcuna risposta. Ce lo conferma lo stesso papa Anastasio in un'altra lettera inviata a Venerio successore di Simpliciano (Anastasio, Epistula ad Venerium Mediolanensem episcopum, PLS 1, col. 791-792).

Probabilmente Simpliciano non ebbe il tempo materiale di rispondere, perché sarebbe morto di lì a poco sul finire dell'anno, tuttavia non si può escludere che non abbia voluto intervenire di proposito in tale questione. Già sollecitato in precedenza sullo stesso argomento da Girolamo, si era astenuto infatti dal prendere una posizione di netta condanna: probabilmente a Milano si era assai cauti di fronte alle intransigenti prese di posizioni di Girolamo, che tra l'altro aveva avuto parole di poco riguardo nei confronti di Ambrogio. Pare che Simpliciano e il clero milanese in genere prediligessero piuttosto l'opinione sostenuta dal monaco Rufino di Aquileia, un compagno di Girolamo nella vita ascetica, il quale apprezzava gli insegnamenti di Origene. Fu forse in questa occasione, presente Eusebio, che Rufino ebbe quel dibattito sull'origenismo di cui parla nella sua Apologia contra Hieronymum. Approfondita la questione e forse su pressioni esercitate da Roma, il successore di Simpliciano, il vescovo Venerio, fu tuttavia indotto ad allinearsi poco dopo alla posizione prevalente antiorigenista. L'attività di metropolita di Simpliciano è infine attestata da un'ultima notizia, secondo cui pare che egli abbia presieduto il concilio di Torino del 398 (Concilia Galliae), mentre nel 397-398 procedette alla consacrazione del primo vescovo di Novara, Gaudenzio. Questa consacrazione è al centro di un episodio agiografico narrato nella Vita S. Gaudentii Novariensis (III, 11-12) ripreso in età carolingia da una Vita Ambrosii (Codice Sangallensis 569). Secondo questa leggenda un giorno Ambrogio andando a Vercelli avrebbe cercato di differire il suo incontro con Gaudenzio, ma vari inconvenienti lo convinsero a recarsi subito da Gaudenzio per comunicargli che sarebbe stato eletto vescovo. Durante l'incontro tuttavia Gaudenzio gli avrebbe risposto che certamente sarebbe stato eletto vescovo, ma un altro l'avrebbe fatto e non lui, Ambrogio. Difatti Ambrogio morì e fu il suo successore Simpliciano a consacrarlo vescovo. Marcellina, la sorella di Ambrogio, sarebbe morta durante l'episcopato di Simpliciano, che avrebbe presieduto le esequie e avrebbe provveduto a farla seppellire presso la tomba di suo fratello. Simpliciano fu pubblicamente venerato subito dopo la morte e il culto verso la sua persona non è mai cessato.

La sua festa religiosa viene celebrata 16 agosto. Gli succedette nell'episcopato Venerio (400 - 408 circa) che era stato uno dei quattro diaconi che assistettero alla agonia e alla morte di Ambrogio.

 

San Simpliciano nelle tradizioni ambrosiane

Per quanto sia incerto il luogo dove nacque, una tradizione medioevale milanese lo vuole originario dell'area abduana e precisamente di Beverate. Per inciso va ricordato che in un sermone, che gli viene attribuito, Agostino, dopo averne riconosciuto i meriti nella sua conversione, lo definisce ligure, un termine questo che nella tardoantichità indicava principalmente la Lombardia attuale. Ma al di là di questa estemporanea indicazione le vicende della sua vita nella tradizione milanese sono rimaste a lungo nell'ombra ed è solo nel medioevo grazie all'opera di Goffredo da Bussero prete a Rovello Porro che appaiono o forse riappaiono alcune leggende che lo riguardano. La prima propone stretti riferimenti fra Simpliciano e i martiri dell'Anaunia, della cui storia abbiamo già riferito e su cui il Bussero ritorna in due occasioni. In un passo della sua opera, che risale alla fine del '200, troviamo la testuale affermazione che Simpliciano ricevette i corpi dei martiri anauniensi e li depose a Brivio "dove si trova la loro chiesa, che è matrice di quella pieve." Dopo la loro traslazione a Milano, Simpliciano volle lasciare a Brivio alcune loro reliquie. L'elenco delle chiese che portano il titolo dei martiri anauniensi comprendeva nel secolo XIII, quando scriveva il Bussero, altre località oltre a Brivio: precisamente Cremella e Carate, oltre ad Angera, che era un'altra chiesa matrice. Sfugge da questo elenco la chiesa di Mornigo nella pieve di Incino, che però è citata poco più tardi. Ad Angera gli scavi hanno messo in luce un'area di grande ricchezza archeologica, dove al principio del V secolo venne costruita la chiesa dedicata a tre martiri. Qualcosa di simile deve essere avvenuto anche a Brivio, dove alla primitiva chiesa battesimale di S. Alessandro, che sorgeva nel perimetro del castello medioevale, si aggiunse un'altra chiesa dedicata a Sisinio, Martirio e Alessandro, dove risiedeva ed officiava il plebano con i canonici. Di questa dedicazione si hanno notizie a partire dal 1036. La sua fondazione e il suo sviluppo probabilmente vanno collegate all'intraprendenza politica ed economica della famiglia dei da Vimercate, che avevano possessi a Brivio, Cisano, Airuno e Vimercate. Questa famiglia ebbe un ruolo di primo piano nelle lotte milanesi contro il Barbarossa e probabilmente non è un caso che sia il Bussero quanto Galvano Fiamma abbiano attribuito la vittoria di Legnano alla intercessione dei martiri dell'Anaunia, dal cui sepolcro tre colombe sarebbero salite a volteggiare intorno al carroccio fino alla sconfitta degli imperiali: era il 29 maggio, giorno della loro festa nella chiesa milanese di san Simpliciano. Lo stesso Bussero introduce poi una seconda leggenda, ripetendo per due volte che Simpliciano "apparteneva ai capitani di Beverate presso l'Adda." Questa stessa affermazione venne ripresa nel 1478 dal Mombrizio, che nel suo Sanctuarium pubblicò che Simpliciano era di famiglia nobilissima, figlio di Ludovico e Senedruga, "oriundo, come si tramanda, del pago beveratese."

Il Dozio, che nel 1858 riesaminò la questione, pur sostenendo l'ipotesi che Beverate sia stato effettivamente un territorio controllato dalla famiglia capitaneale dei da Vimercate dal mille al '200, tuttavia non manca di rimarcare che a Beverate si ha notizia in età medioevale solo della chiesa di S. Margherita, mentre il titolo di san Simpliciano le è aggiunto a partire dal 1751, probabilmente su sollecito interesse dell'arcivescovo Erba. Simpliciano ebbe invece sicuramente una dedicazione a Carate. Questa chiesa, che fu catalogata già dal Bussero, sorgeva in un paese che aveva anche un oratorio dedicato a san Sisinio. In alcune carte del 1147 è testimoniato che a Simpliciano era dedicata una chiesa anche al Lavello, la cui proprietà assieme ad altre in Galbiate erano state confermate dal vescovo di Milano Oberto da Pirovano al monastero di san Simpliciano a Milano. E' significativo notare che anche il territorio del Lavello era soggetto in questo periodo al dominio dei da Vimercate. Il legame, già sottolineato dal Bussero, fra Simpliciano e i martiri anauniensi ha probabilmente un qualche fondamento di verità, che trova conferme e interrogativi nello strano concentrarsi in Brianza di dedicazioni ai protomartiri trentini: oltre ai già citati, è necessario rilevare nelle vicinanze anche l'esistenza della chiesa di S. Vigilio a Calco, che la tradizione locale ritiene fondata direttamente dal vescovo trentino. Infine non si può dimenticare che nel 968 sulla sponda opposta al castello di Brivio era funzionante una chiesa dedicata a sant'Ambrogio. Questo insieme di documentazioni e di episodi fa supporre che in quest'area sia stata molto attiva l'azione missionaria di Agrippino di Como e di Secondo di Non, che cercarono di convertire i longobardi nel secolo VII. Potrebbero essere stati loro a introdurre il culto ai martiri anauniensi e con essi quello a Simpliciano. Certo è che dal secolo X questi culti, in concomitanza alla ripresa di vigore della figura di Ambrogio nella chiesa milanese, conobbero un solido radicamento nel popolo. La loro diffusione costituisce probabilmente un segno dell'attaccamento di questi territori a Milano e una espressione della loro fedeltà a questa città in secoli di forti contrasti fra Milano e l'autorità imperiale.