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Lapide del saltuario Pilade con dedica a Verginio Rufo
BESANA
VERGINIO RUFO
L'amore di Plinio il seniore per la patria può aver dato causa allo sviluppo dei talenti, alla conoscenza dei meriti dell'uomo il più illustre, che ci sarà dato di riconoscere fra i tanti distinti che trassero il natale nella Brianza, nel distretto di Lecco e nella Valsassina.
Virginio Rufo, che sostenne tre volte il consolato di Roma, la prima l'anno di Cristo 65° con L. Memio Regolo, la seconda con Flavio Domiziano l'anno 85° e la terza l'anno 99° con Nerva, il quale fu poi imperatore, nacque nella terra di Alzate.
Virginio Rufo comandò le legioni romane sulle rive del Reno e fu colà dalle legioni stesse acclamato imperatore l'anno 68°; ma egli ritenne quella dignità non per sé medesimo, ma per quel soggetto bensì, a cui il senato l'avesse decretata, siccome lo fu al detto Nerva. Fu anche il nostro Rufo per favore di Traiano designato console la quarta volta, e dovendo nel senato renderne le grazie, sfalzò di un piede, ed a terra caduto, si ruppe una coscia, per cui s'infermò e fra non molto, carico d'anni e di onori, cessò di vivere. Scrisse alcuni libri di retorica da Quintiliano molto lodati. Plinio il giovane fa onoratissima menzione di Virginio e si lagna che dieci anni dopo la di lui morte non fosse stato eretto ancora, per trascuraggine di chi ne aveva l'obbligo, un degno sepolcro ad un uomo non mai abbastanza lodato.
Lucio Verginio Rufo (Lucius Verginius Rufus: 14-97), console e generale dell'Impero romano, è famoso per aver rifiutato la porpora dopo la caduta di Nerone. Rufo nacque ad Alzate nei pressi di Como da una famiglia appartenente all'ordine equestre. Nel corso della sua carriera raggiunse diverse magistrature inferiori: si occupò delle finanze di Smyrna (una città greca in Asia minore), per poi diventare senatore ed infine console nel 63. Probabilmente fu un buon comandante militare, se nel 65 Nerone lo nominò governatore della Germania superiore, a capo di tre legioni (XXI Rapax, IIII Macedonica e XXII Primigenia). Rufo accettò di fare da tutore del figlio di un suo amico, il cavaliere romano Lucio Cecilio Secondo, morto negli anni 60. In quel periodo Rufo ebbe un dissidio con l'oratore greco Nicete, ma Nerone intervenne e i due avversari si riconciliarono e divennero amici. Nicete fece poi da insegnante per il minore tutelato, che, ricevuta una eccellente educazione, fu in seguito adottato dallo zio, l'ufficiale e studioso Plinio il Vecchio, del quale assunse il nome come Plinio il Giovane. Nella incipiente rivolta contro Nerone il protagonista fu il governatore della Gallia Lugdunense, Gaio Giulio Vindice, un principe aquitanico e senatore romano: scelto il possibile successore al trono, il governatore della Hispania Tarraconensis Servio Sulpicio Galba, Vindice si ribellò nell'aprile 68. Secondo il racconto di Cassio Dione, Rufo si mosse contro Vindice per combatterlo. Giunto a Besançon, la città non gli aprì le porte, e Rufo la mise sotto assedio. Vindice avanzò in aiuto della città assediata e secondo Cassio Dione, i due giunsero ad un accordo contro Nerone. Vindice, allora, avanzò con il suo esercito con lo scopo di occupare la città, ma gli uomini di Rufo, pensando che Vindice stesse per dare battaglia, reagirono e attaccarono il nemico impreparato, facendone strage. Vindice, sconfitto, si suicidò.
A questo punto l'esercito acclamò ripetutamente Rufo imperatore. Verginio, però, rifiutò e dichiarò che non avrebbe né accettato quell'onore per sé, ma avrebbe accettato il prescelto del Senato. A giugno, il Senato scelse Galba imperatore, e Nerone si suicidò. Nell'autunno di quell'anno Rufo concluse il proprio mandato e fu sostituito da Marco Ordeonio Flacco. Le legioni delle province renane, temendo che la loro lealtà a Nerone fosse punita da Galba, proclamarono imperatore il nuovo governatore della Germania inferiore, Vitellio. Nel frattempo Galba era stato assassinato e il Senato scelse al suo posto Otone (gennaio 69). Verginio, nominato console per quell'anno, fu leale a quest'ultimo, ma le truppe di Otone furono sconfitte da quelle di Vitellio. Verginio consigliò al Senato di riconoscere Vitellio imperatore, e si recò in seguito a Pavia in visita presso il nuovo sovrano. Verginio fu in pericolo anche quando salì al trono Vespasiano, in quanto il console era ritenuto capax imperii, un candidato alla porpora; decise allora di ritirarsi a vita privata, e scelse una proprietà posta ad Alsium (moderna Ladispoli, sulla costa tirrenica a nord-ovest di Roma), dove si tenne occupato con gli studi, la poesia ed un cenacolo letterario di cui fecero probabilmente parte Plinio il Giovane e Quintiliano.
La grande considerazione nella quale la figura di Verginio era tenuta dalla storiografia dell'epoca di Vespasiano fece scrivere una volta a Plinio il Giovane che: « Per trent'anni dopo la sua ora di gloria egli visse leggendo di sé nella storia e nella poesia, cosicché fu testimone vivente della sua futura gloria. » (Plinio il Giovane, Lettere, II.1.2)
Nel 96 l'imperatore Domiziano fu assassinato, e il Senato scelse come suo successore Marco Cocceio Nerva. La scelta non piacque all'esercito; significativo è dunque il fatto che il nuovo imperatore scelse come collega l'anziano Verginio, un generale che aveva rifiutato di diventare imperatore e che alla porpora aveva preferito la lealtà al Senato. Mentre Verginio stava per iniziare il suo discorso inaugurale, fece inavvertitamente cadere un libro che aveva con sé e, piegatosi per raccoglierlo, scivolò sul pavimento liscio e cadde fratturandosi l'anca. Morì alcuni mesi più tardi, dopo una lunga sofferenza. Il console Tacito, poi famoso come storico, pronunciò il discorso funebre. Verginio scrisse il proprio epitaffio: « Qui giace Rufo, che una volta sconfisse Vindice e liberò il potere imperiale non per sé, ma per il suo paese. »
La casa ad Alsium fu ereditata da Plinio, che la concesse alla propria suocera; in una visita, nove anni dopo, Plinio scoprì che la tomba di Rufo era ancora incompleta.
"Quando giunsi alla villa di Alsio della mia suocera, che un tempo fu di Verginio Rufo, il luogo stesso rinnovò con vivo dolore nel mio animo la nostalgia di quell'eccellente e grandissimo uomo. Infatti era solito abitare in questo luogo appartato e anche definirlo piccolo rifugio della sua vecchiaia. Ovunque mi recassi, l'animo, gli occhi lo ricercavano. Decisi di vedere la sua tomba, e mi pentii. Infatti è ancora incompleta, e non per le difficoltà dell'opera ... ma per la sua pigrizia ... Si insinua indignazione mista a pietà, nel vedere che, dieci anni dopo la morte, i resti e le ceneri neglette giacciono senza lapide, senza nome, il suo ricordo però vaga per tutta la terra con gloria. Ma quello aveva ordinato e disposto che venisse iscritta quell'impresa divina e immortale: Qui è sepolto Rufo, che colpito una volta da Vindice, rivendicò il potere non per sè ma per la patria."
[Cum venissem in socrus meae villam Alsiensem, quae aliquamdiu Rufi Vergini fuit, ipse mihi locus optimi illius et maximi viri desiderium non sine dolore renovavit. Hunc enim colere secessum atque etiam senectutis suae nidulum vocare consueverat. Quocumque me contulissem, illum animus illum oculi requirebant. Libuit etiam monimentum eius videre, et vidisse paenituit. Est enim adhuc imperfectum, nec difficultas operis in causa, modici ac potius exigui, sed inertia eius cui cura mandata est. Subit indignatio cum miseratione, post decimum mortis annum reliquias neglectumque cinerem sine titulo sine nomine iacere, cuius memoria orbem terrarum gloria pervagetur.]
Nell'attuale territorio brianzolo a Valle Guidino di Besana furono rinvenute quattro epigrafi, una delle quali dedicata dal guardaboschi, un certo Pilade, pro salute et Victoria del suo padrone Lucio Verginio Rufo. La dedica, che è propria soltanto agli imperatori, data l'iscrizione a circa il 69 d. C. dopo la vittoria di Rufo su Vindice e sembra posta da Pilade per festeggiarne la nomina, anche se mancata, alla dignità imperiale. L'epigrafe del sec. I recita: I(OVl) O(ptimo) M(aximo)/pro salutelet victoria L. / Vergini Rufi / Pylades saltuar(ius)/ V(otum) S(olvit).
Pilade era un saltuarius, uno schiavo addetto alla sorveglianza di un fondo appartenente a Verginio Rufo, tutore di Plinio il Giovane. Quest'ultimo, in una sua lettera, parlando di sé e di Rufo, scrive:"utrique eadem regio, municipia finitima, agri etiam possessionesque coniunctae". I due municipia, quello milanese di Rufo e quello comense di Plinio, erano separati dal fiume Lambro. A occidente di questo, vicino a Fecchio, è stata trovata un'iscrizione che testimonia l'esistenza di fondi di Plinio in questa regione.
Attualmente l'epigrafe di Valle Guidino è conservata nei depositi archeologici del castello Sforzesco di Milano. Le altre tre lapidi, che furono rinvenute con quella di Pilade nel 1870 e 1871 dall'ingegner Magretti nello scavo di pozzi di alcuni fabbricati situati vicino alla nuova chiesa di Valle Guidino, erano dedicate alla dea Vittoria da Liberto dei Massuini, a Ercole e l'ultima citava un certo "Verecundus" che ricorda il Verecondo citato da Agostino nel nono libro delle Confessioni.