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brianza romana: Massi cuppellati

Immagine dei Massi coppellati alla Brovada

 

Massi coppellati alla Brovada

 

 

MASSI CUPPELLATI E LE ETA' PROTOSTORICHE

 

 

 

 

 

I massi erratici

 

La Brianza un tempo doveva essere molto ricco di massi erratici abbandonati dal ghiacciaio. Carate rappresentava il limite estremo verso sud di deposito di questi massi oggi scomparsi, ma che si trovano ancora quando le ruspe scavano in profondità . Un documento notarile del XV secolo indicava una località caratese che si chiamava "ad petram grossam" cioè una località che si caratterizzava dalla presenza di un grande masso. Anche una contrada caratese era detta contrata de Predal forse per la presenza di una grande pietra che caratterizzava il rione. Nel medioevo il cognome Preda, derivato dal toponimo ovvero dal luogo d'origine della persona, era molto diffuso in Carate.

Un campione di questi massi, fortunosamente conservatosi perché inserito in un antico parco, è quello detto «sasso del Guidino». A Valle Guidino, nel parco di villa Osculati, è conservato e protetto quale monumento naturale. È anche visitabile: un grande masso erratico in serpentino del volume di più di 100 metri cubi, oggi considerato uno dei più belli della Brianza. Questi grandi massi, misteriosi sino a quando lo Stoppani ne spiegò l'origine, nell'antichità dovevano essere considerati d'origine celeste tanto che antiche paure in leggende nordiche erano legate al timore che potesse «cadere il cielo».

(In un poema mitologico, il drammaturgo greco Eschilo narra che Eracle, giunto nelle terre che si presumono quelle della pianura padana, incontrò l'esercito dei Liguri «nella terra palustre sparsa di sassi caduti dal cielo» e anche « ...fu attaccato da forze locali tanto numerose da restare a corto di frecce. Buttatosi in ginocchio, si rivolse supplice a suo padre Zeus, che fece piovere pietre sulla pianura. Eracle le afferrò e le lanciò contro i suoi assalitori sgominandoli»).

Alcuni scienziati di inizio Ottocento ipotizzavano che questi massi fossero stati messi in posto durante il «Diluvio Universale solo osservando i ghiacciai svizzeri ci si accorse della loro vera origine. In Brianza molti di questi massi sono chiamati «masso del diavolo» o «sass delle streghe» perché gli antichi non riuscivano a spiegarsi la loro origine e anche per certi «segni» che erano incisi sulle loro superfici.

Il timore reverenziale per queste presenze inspiegabili non aveva impedito agli scalpellini di 2000 anni fa di utilizzare il duro granito per scolpire le are con le invocazioni a Giove o a Silvano che vediamo riutilizzate nelle strutture della basilica di Agliate, o gli avelli trovati a Realdino. Per secoli questi massi furono una facile fonte di approvvigionamento per architravi, mensole, gradini o stipiti colonne, sarcofaghi e coperchi.

 

 

I massi cuppellati della Brovada

 

A Carate Brianza questi «trovanti» furono oggetto di culti misteriosi che lasciarono tracce notevoli nella valletta della Brovada, dietro a Cascina Peschiera. Nel fitto del bosco se ne trovarono tre su cui, sulla superficie liscia, erano state scavate molte «coppelle», ossia degli incavi semisferici o ellittici, disposti con un ordine forse non casuale, ma come nella maggior parte dei casi, che sono decine o centinaia di migliaia, incomprensibile. Il primo masso della Brovada era stato rinvenuto nel 1883 e pochi anni dopo se ne rinvennero altri due che giacevano più a monte, verso la cascina Contravaglio. I massi furono tagliati in più pezzi per asportarne le superfici cuppellate e portarle a Milano; dove sono ancora malamente visibili nel cortile del Castello Sforzesco. Dei tre massi si vedono cinque frammenti. Uno, il primo rinvenuto nel 1883, ha la superficie ancora intera mentre gli altri sono frazionati.

Si ha il ricordo di un altro masso in sarizzo inciso con coppelle tagliato e utilizzato per la costruzione della ferrovia. L'operazione di stacco fu l'unico mezzo per salvare almeno il ricordo dei massi e dei riti che si celebravano intorno a essi, purtroppo l'effetto monumentale e misterioso, che chi incise i massi certamente voleva, è perduto. Quasi una copia piatta di una superficie senza più la suggestione del grande masso affiorante dal terreno, tra il folto degli alberi e a fianco del ruscello, che doveva aver suscitato sentimenti di rispetto e di timore nel nostro progenitore.

Enormi sassi scagliati sulla terra da un cielo di cui si doveva aver timore oppure parti affioranti del .. corpo della Dea Madre da cui tutto aveva vita e in cui si tornava. Sentimenti di una religiosità che ruotava attorno alla natura ed al mistero che racchiudeva. Un ultimo masso, descritto come «masso in sarizzo nero di m. 0,90 x 0,75, alto 0,55, nel cui centro è scavata una grande scodella circolare del diametro di m. 0,34, con profondità di m. 0,32, mentre all'intorno, lungo il margine della pietra, esistono nove scodelle minori, con diametro di cm. 10 e profondità variabili da cm. 3 a 8», sembrerebbe provenire anch'esso dalla valletta della Brovada. Questo masso ricoverato negli anni Venti nella villa dell'ing. Giuseppe Mascherpa in Carate Brianza è oggi introvabile.

 

Immagine dei Massi coppellati a Consonno

Massi coppellati a Consonno sul crinale dell'Adda

 

Le età protostoriche

 

La mancanza di testimonianze materiali riferibili alle età protostoriche nel territorio caratese non presuppone l'assenza di tali antichi insediamenti. Intorno a noi non mancano per esempio ritrovamenti dell'età del Bronzo finale (XI-X sec. a. C.). A Capriano di Briosco, nelle torbe dei Cariggi, fu trovato un ripostiglio di oggetti di bronzo. Tra di essi un bellissimo pendaglio-amuleto a cerchi concentrici e una fibula ad arco semplice, identica a quella rinvenuta nel corredo funerario contenuto in un'urna biconica alla Brera dei Morti di Biassono, riconducibile alla Cultura detta di Protogolasecca.

Tra le poche ma significative testimonianze ricordiamo anche quella rinvenuta nello scavare il pilone del sovrappasso della Statale 36 sulla provinciale Robbiano-Verano. Venne alla luce una tomba tardo celtica contenente il corredo caratteristico. Erano presenti piatti, bicchiere e una fiasca da vino con l'esclusiva forma a trottola, l'inconfondibile biglietto da visita di un Insubre.

La presenza della Pieve in Agliate è poi una sicura conferma dell'antichità del sito. Il professor Davide Pace, l'archeologo cui va il merito di aver salvato molte antiche testimonianze brianzole, scrisse: «L'antichità di Agliate presuppone un periodo arcaico; quello per cui la località fu tanto importante da dare origine a una pieve ossia alla tramutazione cristiana di una rilevante società civile - conciliabulum e pagus - assurta da fase arcaica alla romanità». L'estensione dei territori dei pagi ricalcava i confini fissati dalle popolazioni celtiche pre-romane o ancora più antiche, indipendentemente da quelli dei municipi romani. Molte pievi della diocesi milanese, per esempio Brivio, Garlate e Agliate, erano poste a cavallo di fiumi, a conferma che i pagi erano organizzazioni preposte al controllo territoriale, commerciale e militare.

«La funzionalità tribale del pagus non era stata intaccata dall'Adda, che pur dividendo due regioni, continuava a interessare le due sponde del fiume, si perpetuava nel territorio della pieve cristiana. Questa interessante sopravvivenza del costume pre-romano è documentata anche tra i territori di Bergamo e Brescia occupando la pieve bergamasca di Caleppio ambedue le sponde dell'Oglio». Il centro del pagus era ubicato in una posizione strategica come un guado o un punto obbligato di passaggio del fiume, di cui era necessario il controllo delle due sponde. Questo era il luogo di incontro per i commerci e sede di mercato, o per l'amministrazione della giustizia, o centro di culto, o per il controllo militare del territorio.