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Pupi Perati e Elena Oleskevic

La formella che raffigura Cassiciaco=Cassago ideata da Pupi Perati per il Lume di sant'Agostino benedetto da papa Benedetto XVI in san Pietro in Cuel d'Oro nel 2007

Pupi Perati ed Elena Oleskevic: Cassiciaco

formella vitrea del Lume di sant'Agostino a Pavia in san Pietro in Ciel d'Oro

 

 

 

PERATI - OLESKOVIC

Cero di sant'Agostino nella Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia

2007

 

Rus Cassiciacum

 

 

 

3. 5. Verecondo si consumava d'ansia per questo nostro bene, perché a causa dei tenacissimi legami che aveva, si vedeva già abbandonato dalla nostra piccola comunità. Non ancora cristiano, aveva una moglie battezzata, che tuttavia era proprio l'ostacolo più arduo sul cammino che avevamo intrapreso: e lui non voleva essere cristiano, diceva, in un modo diverso da quello che d'altra parte non gli era consentito. Certo, con grande generosità ci offrì di vivere nella sua villa per tutto il tempo che saremmo rimasti là. Lo ricompenserai, Signore, nella resurrezione dei giusti, tu che gli hai già ricompensato con la loro eredità. Noi già non c'eravamo più, eravamo a Roma, quando si ammalò: si fece cristiano e ottenne il battesimo, poi emigrò da questa vita. Questo fu un gesto di compassione da parte tua, non soltanto per lui ma anche per noi: sarebbe stato un gran tormento infatti pensare alla squisita umanità dell'amico verso di noi, e non poterlo annoverare nel tuo gregge. Grazie a te, Dio nostro! Siamo tuoi. Lo dimostrano i tuoi consigli e i tuoi conforti: fedele alle promesse renderai a Verecondo, in cambio della sua terra a Cassiciaco dove in te riposammo dalla furia del secolo, la primavera eterna, il tuo giardino. Perché le colpe che ebbe sulla terra tu gliele hai condonate lassù sulla montagna della gioia, bianca di latte e cacio.

 

3. 6. Ciò che angustiava Verecondo era invece per Nebridio motivo di rallegrarsi con noi. Benché neppure lui fosse ancora cristiano, e fosse caduto in quella fossa mortale, l'errore di credere mero fantasma la carne della verità da te generata, era però sul punto di cavarsene: non ancora iniziato ad alcuno dei sacri misteri della tua chiesa, questo ricercatore della verità bruciava di passione. Non molto dopo la nostra conversione e rigenerazione, mentre già cattolico e battezzato ti serviva in perfetta castità e continenza, in Africa, nella sua casa che per merito suo s'era fatta tutta cristiana, lo liberasti dalla carne. Ed ora vive in grembo ad Abramo. Qualunque cosa significhi quel grembo, là vive il mio Nebridio, dolce amico mio, e tuo figlio adottivo, mio Signore, da liberto che era: è là che vive. Che altra sede può avere un'anima così. Vive nel luogo che tanto spesso ritornava nelle sue domande rivolte a me, pover'uomo insipiente. Ormai non tende più le orecchie alle mie labbra, ma le sue labbra invisibili alla fonte che tu sei: e beve, beve perdutamente la sapienza, insaziabile fin nella sua felicità sconfinata. Eppure io non credo che se ne inebri al punto di dimenticarsi di me, se tu, Signore di cui lui si nutre, hai memoria di noi. Questo era dunque il nostro stato. Da una parte consolavamo Verecondo della tristezza che, salva la sua amicizia, gli procurava la nostra conversione, e lo incoraggiavamo alla fede secondo il grado che era il suo: la vita coniugale. Dall'altra parte aspettavamo che Nebridio si decidesse a seguirci. Cosa che al punto in cui era avrebbe ormai potuto fare, anzi già vi si accingeva quand'ecco finalmente arrivato l'ultimo di quei giorni... Tanti e così lunghi erano parsi al mio impaziente amore per il libero agio che veniva perché cantassi dal fondo delle mie ossa: Il mio cuore ha cercato il tuo volto, e ti ha detto: il tuo volto mi manca, Signore.

 

[Libertà: la felice vita di Cassiciaco]

4.7. E venne il giorno in cui finalmente sarei stato di fatto libero dall'impiego alla scuola di retorica, come già lo ero nel pensiero. Venne: me ne sbrogliasti la lingua, come già me ne avevi sbrogliato il cuore, e già in viaggio verso la campagna con tutti i miei amici al colmo della gioia io ti rendevo grazie. Ciò che feci laggiù, scrivendo, al tuo servizio - ma in un modo che ancora sa di scuola della superbia, come l'ansimo di chi si ferma a prendere fiato - lo attestano i libri delle discussioni coi presenti e con me stesso, solo davanti a te; mentre quelle che ebbi con Nebridio assente sono attestate dalle lettere relative. E quando mi basterà il tempo per evocare sulla pagina tutti i grandi privilegi che ci accordasti a quel tempo, impaziente come sono di passare ad altri e più grandi. Perché già la memoria mi richiama, e mi è dolce, Signore, confessarti gli interni colpi di sperone con cui mi hai domato, e il modo in cui mi hai spianato abbassando i monti e i colli dei miei pensieri, e raddrizzando i miei sentieri tortuosi e smussando le mie asperità. E confessarti il modo in cui hai piegato Alipio, fratello del mio cuore, al nome del tuo unigenito, nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che dapprima non voleva degnarsi di menzionare nei nostri scritti. Preferiva il profumo dei cedri delle scuole, ormai abbattuti dal Signore, a quello delle erbe mediche che crescono nelle chiese, buone contro i serpenti.

 

4. 8. Che sospiri Dio mio, quando leggevo i salmi di Davide, queste canzoni di fede! Musica della devozione, di fronte a cui si sgonfia ogni superbia ... Ancora principiante nel tuo autentico amore ero, catecumeno ancora e in tempo di vacanza, in campagna, con Alipio catecumeno anche lui e mia madre che non si staccava da noi: con le sue maniere di donna e la sua maschia fede, la pace della sua età e il suo amore di madre, con tutta la sua cristiana devozione. Che sospiri mettevo in quei salmi e di che incendio bruciavo per te, che voglia di recitarli, se avessi potuto, in faccia al mondo intero, alla boria del genere umano! E li si canta, per il mondo intero, non c'è chi possa sfuggire alla tua vampa. E come era violento e doloroso e amaro lo sdegno che provavo verso i manichei, e poi di nuovo la pietà per loro, che ignoravano quei sacri misteri e quei farmaci e infierivano come pazzi contro una medicina in cui avrebbero ritrovato la salute! Avrei voluto allora che fossero lì, a mia insaputa, e mi guardassero in volto e mi ascoltassero leggere il salmo quarto nella pace di quel ritiro e nei miei toni di voce sentissero l'effetto che avevano su di me quelle parole: Ti ho invocato e mi hai ascoltato, Dio della mia giustizia; ero angosciato e m'hai reso ampio respiro. Abbi pietà di me Signore, ascolta se ti prego. Fossero stati lì ad ascoltarmi! Ma a mia insaputa, perché non credessero che per loro dicessi le parole che intercalavo a quelle del salmo. E non le avrei dette in effetti, o non con quel tono, se avessi sentito d'esser visto o ascoltato da loro; e se anche le avessi dette non le avrebbero accolte così come le dicevo a me stesso alla tua presenza, come mi venivano in quella nostra dimestichezza dal fondo del cuore.

 

4. 9. Rabbrividii di paura e al tempo stesso di febbrile speranza e di gioia per la tua indulgenza, Padre. E questi opposti sentimenti si aprivano un varco attraverso gli occhi e la voce quando arrivavo al punto in cui il tuo spirito buono dice rivolto a noi: Figli dell'uomo, fino a quando questo cuore pesante? Perché vi attira il vuoto e l'illusione? Certo, avevo amato il vuoto e cercato l'illusione. E tu, Signore, avevi già riempito di gloria il tuo diletto, richiamandolo dai morti e facendolo sedere alla tua destra, affinché dal cielo mantenesse la sua promessa di inviare il Paracleto, lo spirito di verità. E già l'aveva inviato, ma io non lo sapevo. L'aveva già mandato, perché già l'aveva glorificato la sua resurrezione dai morti e la sua ascesa al cielo. Prima, invece, non c'era ancora il dono dello spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato. Grida il profeta: Fino a quando questo cuore pesante? Perché vi attira il vuoto e l'illusione? E sappiate che il Signore esalterà il suo diletto. Grida fino a quando, grida sappiate, e io per tanto tempo avevo amato il vuoto e cercato l'illusione, e non sapevo, ed è per questo che tremai a sentirlo: eran parole rivolte a persone come me, come io ricordavo d'esser stato. In quei fantasmi che avevo preso per veri non c'era che vuoto e illusione. E l'angoscia della mia memoria risuonava a lungo, profonda e forte, nella mia voce. Magari l'avessero udita quelli che tuttora amano il vuoto e cercano l'illusione: forse ne sarebbero rimasti sconvolti al punto di vomitare tutto questo, e tu li avresti ascoltati levare a te il loro grido, perché di vera morte corporale è morto per noi chi intercede per noi presso di te.

 

4. 10. Leggevo: Fremete e non peccate. E come ne ero scosso, Dio mio, io che avevo appena appreso a fremere d'ira sulle colpe passate, per non peccare più in futuro, e d'ira giusta, perché non era la natura estranea di un popolo di tenebra a peccare in me, come dicono quelli che non s'infuriano con se stessi e così ammassano per sé un tesoro d'ira per il giorno dell'ira, in cui sarà svelato il tuo giusto verdetto! E ormai non erano più fuori di me i miei beni, non li cercavo più con gli occhi della carne nella luce di questo sole. Perché chi cerca gioia fuori di sé facilmente svapora e si sperde nelle cose visibili del tempo, e il pensiero affamato non arriva che a lambirne le immagini. Magari chiedessero, spossati dalla fame: chi ci mostrerà qualcosa di buono? Ascoltino la nostra risposta: stampata è in noi la luce del tuo volto, Signore. Non siamo noi infatti il lume che illumina ogni uomo venuto a questo mondo, ma da te abbiamo luce, finché saremo luce in te noi che pure un tempo eravamo oscurità. O se nel loro interno vedessero l'eterno che io gustavo! E fremevo di non poterglielo mostrare, se fossero venuti da me col loro cuore che s'affaccia agli occhi e ti volta le spalle, chiedendo: chi ci mostra qualcosa di buono? Perché là dove m'ero infuriato con me stesso, nel segreto del mio letto, dove esaminavo con dolorosa attenzione la mia coscienza, dove ammazzavo e ti sacrificavo la mia vecchiezza, e avevo incominciato la meditazione sperando in te per la mia rinascita, là per la prima volta sentii la tua dolcezza e il dono della tua contentezza nel cuore. E uscivo in grandi esclamazioni, che dentro erano riconoscimenti: e non volevo più moltiplicarmi nei beni terreni, divorando il tempo e dal tempo divorato, perché possedevo nella semplicità dell'eterno altra sorta di grano e vino e olio.

 

4. 11. E il verso successivo strappava al mio cuore un alto grido: In pace! Nell'identico! E quelle parole: mi addormenterò e prenderò sonno... Chi ci resisterà quando si attuerà la parola che fu scritta: la morte è stata assorbita nella vittoria? E tu veramente sei l'identico, tu che non sei soggetto a mutamento e in te è il riposo senza più memoria di fatica, perché non c'è un altro con te e non c'è moltitudine di cose da cercare fuori di te, ma tu, Signore, nella speranza mi hai rifatto uno. Leggevo e in quel mio fuoco non trovavo il modo di agire su quella gente assordata dalla morte in mezzo a cui ero stato, peste e cane dal latrato amaro e cieco contro il miele celeste delle tue dolci scritture, luminose del tuo lume. E il pensiero dei loro nemici mi nauseava fino a consumarmi.

 

 

[Lo staffile di Dio]

4. 12. Quando avrò distillata in cuore tutta la memoria di quei liberi giorni? Ma non ho dimenticato e non tacerò l'asprezza del tuo staffile e la furia mirabile della tua misericordia. Mi tormentavi in quei giorni con il male ai denti, e quando fu tanto forte che non ero più in grado di parlare, mi affiorò in cuore l'idea di invitare tutti i miei amici presenti a scongiurarti in vece mia, Dio di ogni salute. E lo scrissi su una tavoletta e la diedi loro da leggere. Avevamo appena piegate le ginocchia in atteggiamento di supplica, che il dolore era sparito. E quale dolore! E come? Ne fui spaventato, lo confesso, mio Signore e mio Dio. In vita mia non avevo provato mai nulla di simile. E questi cenni della tua potenza si insinuarono nel profondo di me stesso, e nella gioia della fede resi lode al tuo nome. E quella stessa fede non mi lasciava stare senza angoscia per i peccati commessi in passato, perché ancora non mi erano stati rimessi con il tuo battesimo.

 

5.13. Trascorse le vacanze vendemmiali diedi le mie dimissioni - se ne trovassero un altro di venditore di parole per i loro studenti, i milanesi, dato che io da un lato avevo scelto di servire te e dall'altro per le mie difficoltà di respirazione e il dolore al petto non sarei stato in grado di riprendere l'insegnamento. E informai per lettera il tuo vescovo, quell'uomo divino che era Ambrogio, dei miei passati errori e della mia decisione attuale, per ottenerne un consiglio su quale dei tuoi libri leggere in primo luogo per prepararmi e dispormi a ricevere tanta grazia. Ma lui mi invitò a leggere il profeta Isaia, credo perché preannuncia più apertamente di tutti gli altri il Vangelo e la chiamata dei gentili. Io però cominciai a leggere senza capire e pensando che fosse tutto come l'inizio lo lasciai per tornarvi una volta che fossi più pratico del linguaggio del Signore.

 

Agostino, Confessioni  IX, 3, 5 - 5, 13

 

 

La formella, 21x21 cm, che ricorda Cassicaco raffigura il parco storico-archeologico sant'Agostino a Cassago l'antico rus cassiciacum di Agostino e dell'amico Verecondo. Sullo sfondo si erge maestosa l'imponente architetture della chiesa parrocchiale di Cassago dedicata a santa Brigida Vergine irlandese di fondazione costruita a metà Settecento su una precedente chiesa alto medioevale.

La formella fa parte del Lume di sant'Agostino voluto dal priore di san Pietro in Ciel d'Oro padre Giustino Casciano per celebrare degnamente l'arrivo, domenica 22 aprile 2007, di papa Benedetto XVI nella Basilica pavese che ospita le spoglie del santo vescovo d'Ippona. Benedetto dal papa, il Lume è costantemente acceso davanti all'Arca di Agostino e ricorda tutte le tappe fondamentali e i luoghi che lo videro protagonista. La realizzazione delle formelle è stata affidata all'artista Pupi Perati che si è avvalso della collaborazione di Elena Oleskovic per la sua straordinaria perizia nella lavorazione artistica del vetro.