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Percorso : HOME > Cassiciaco > Iconografia > Fiorentino VilascoVilasco: Agostino e i suoi amici a Cassiciaco
Agostino e il suo cenacolo filosofico a Cassiciaco
Cassago, Cappella di sant'Agostino
FIORENTINO VILASCO
Cappella di sant'Agostino della chiesa parrocchiale di Cassago Brianza
1950-1954
Vita a rus Cassiciacum: il cenacolo agostiniano
Nella trilogia agostiniana che Vilasco dipinse per la Cappella di sant'Agostino nella chiesa parrocchiale a Cassago, il quadro centrale riferisce un dialogo di S. Agostino tratto dal De Vita Beata 33-34, dove indagando la natura del cuore umano e superando tutte le definizioni pagane afferma che "esser felice vuol dire essere sapiente della sapienza di Dio." Nel riquadro assieme al santo sono ritratti in primo piano anche la madre Monica, il figlio Adeodato, mentre più discosti sono i discepoli Trigezio e Fulgenzio in atteggiamento di ascolto. La scena è particolarmente vibrante e mossa nella semplicità delle architetture. Agostino attira su di sé l'attenzione di tutti con quel gesto significativo dell'indice alzato al cielo.
Agostino, De beata vita 33-34
La Cappella di S. Agostino
L'autore del ciclo è il pittore Fiorentino Vilasco di Villasanta che iniziò a lavorarvi nell'agosto 1950. Glielo commissionò il parroco di Cassago don Giovanni Motta. I temi delle scene furono indicati da don Giulio Oggioni, compaesano di don Motta e futuro vescovo di Bergamo, che era uno studioso di S. Agostino. Don Oggioni, che tenne una commemorazione agostiniana nel 1954 a Cassago, suggerì tre quadri tutti riferiti a episodi descritti nelle opere scritte da Agostino nel suo soggiorno a Cassiciaco. L'insieme di questo originale ciclo pittorico è ancora oggi una vera rarità nel panorama iconografico agostiniano.
Il pittore vi lavorò con un certo assillo, perché la gente aveva grandi attese, tanto che don Motta ricorda che il pittore condusse questo lavoro psicologicamente turbato per talune critiche che gli erano state rivolte. Alla fine dei lavori tuttavia la cappella fu generalmente ben giudicata, se si eccettua il quadro dei Soliloqui di cui il pittore stesso riconobbe difetti d'impostazione, tanto da non essere restio dal rifarla su richiesta del parroco. Don Motta desiderò realizzare quest'opera per favorire - come scrive - la pietà dei suoi parrocchiani grazie a dipinti "la cui comprensione poteva aiutare a penetrare l'animo di S. Agostino nella sua vivacità intellettuale, nella sua ricerca morale, nella sua chiare e calda contemplazione."