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CICLo AGOSTINIANo di Garcia Hidalgo

Conversione di S. Agostino

Conversione di S. Agostino

 

 

HIDALGO GARCIA

1663

Madrid, Museo del Prado (in. 3770)

 

Conversione di sant'Agostino

 

 

 

José García Hidalgo è  l'autore di questa tela dipinta nel 1663 dal titolo la Conversione di S. Agostino che ci riporta all'episodio narrato dallo stesso Agostino nelle sue confessioni quando sentì sotto un fico nel giardino di casa a Milano una voce che lo chiamava a cambiare vita. Dipinta con la tecnica ad olio la tela misura 53 centimetri x 84 cm.

L'opera è entrata al Prado provenendo dal Museo della Trinità. La conversione del santo avvenne in età matura grazie alle continue preghiere di sua madre, Monica, e agli insegnamenti di Sant'Ambrosio. L'episodio finale che corona un lungo percorso di avvicinamento alla fede cristiana lo troviamo raccontato nelle sue Confessioni. Agostino era seduto sotto un albero di fico in un giardino, quando ha sentito una voce che diceva: "Prendi e leggi". Aperto il libro biblico, casualmente la lettura cadde su un passo delle epistole di san Paolo che teneva in mano e lesse questo passaggio: "Non vivere in sfrenatezza e l'impurità, ma rivestiti di nostro Signore Gesù Cristo" (Ep. Romani , 13, 13-14).

Subito le tenebre del dubbio svanirono nel suo spirito e, dopo una preparazione che in parte si svolse a Cassiciaco, l'attuale Cassago Brianza, Agostino fu battezzato a Milano dal vescovo Ambrogio con il suo amico Alipio e suo figlio Adeodato.

García Hidalgo aveva iniziato a dipingere una serie di tele progettata per abbellire il chiostro del convento di San Felipe el Real di Madrid, con la vita di San Filippo e Sant'Agostino che venne conclusa nel 1711. Il pittore si ispirò a stampe che illustravano la vita illustrata di Agostino, pubblicate a Parigi nel 1624 da Adam Schelte un fiammingo dal nome originario di Bolswert. La struttura proposta da Hidalgo richiama la lettura delle incisioni di Schelte anche se la composizione è stata sostanzialmente alterata, introducendo una sua originalità nelle strutture architettoniche. Anche la vegetazione presenta una nuova trattazione e soprattutto la figura del santo rivela una dignità superiore all'incisione. L'artista ripete i suoi modelli umani con una monotonia esasperante, insistendo su un tipo fisico che amplifica le caratteristiche fisiche, ad esempio il naso grosso. Purtroppo l'artista non ha molto curato il disegno finito. La vibrante società, tipica degli artisti suoi contemporanei di Madrid, raramente compare nel suo lavoro. Piuttosto è rimasto legato ad un tono aspro e scontroso che caratterizza il suo  autentico e originale stile. A suo merito va citato l'interesse per lo sviluppo della prospettiva, attraverso le solide architetture e il gusto per un bel paesaggio.

 

 

José García Hidalgo

Nato a Villena nel 1646, studiò nella città di Murcia, alla bottega di Mateo Gilarte e Nicolás de Villacis. Dopo alcuni anni di apprendistato si recò in Italia. A Roma divenne discepolo di Giacinto Brandi, alla cui scuola fece notevoli progressi e anche Pietro da Cortona, Salvator Rosa, e di Carlo Maratti lo assistettero con i loro consigli. Purtroppo il clima italiano si dimostrò dannoso per la sua salute, e fu costretto a tornare in Spagna, dove divenne discepolo del pittore Carreño, nonostante avesse ormai raggiunto un buon grado di maturità.

Nel 1674 si recò a Madrid, dove Carlo II gli commissionò una serie di ventiquattro quadri sulla vita di sant'Agostino, per i chiostri di San Felipe el Real, che lo impegnarono, con altre commissioni sempre da parte del re, fino al 1711. Lavorò anche per Filippo V, che lo promosse suo pittore di corte nel 1703, e poco dopo lo fece Cavaliere dell'Ordine di San Michele. Nell'ultima periodo della sua vita si ritirò nel convento di San Felipe, e vi morì probabilmente nel 1719. Ha pubblicato Principios para estudiar la nobilissima arte de la Pintura nel 1691 e diverse altre opere di anatomia e pittura a beneficio degli studenti. Le sue opere sono conservate principalmente a Madrid, Valencia, Sigüenza, San Jago e Guadalaxara.