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PITTORI: AGOSTINIANI lateranensi

 

 

PITTORI AGOSTINIANI LATERANENSI

 

 

 

Anonimi

"A loro (muratori lombardi) forse debbesi attribuire il disegno e la fabbrica del nostro tempio (cattedrale di S. Giovenale a Narri) se non ad uno dei canonici regolari (lateranensi), i quali religiosi ben conoscevano tutte le arti, ed essi furono i primi possessori del nostro tempio". (G. EROLI, Descrizione delle chiese di Narni, Narni, Tip. Petrignani, 1898).

 

Airoli Angela Veronica

(1590 +1670) Genova. Del monastero di S. Bartolomeo (Genova), detto dell'Olivella, perchè sorgente in un oliveto, e anche dei Carmine perchè in prossimità della chiesa omonima. Fu la prediletta fra gli allievi di Domenico Fiasella detto il Sarzana dalla sua patria e "arrivò a qualche grado di perizia nell'arte del maestro" (RATTI-SOPRANI, Vite dei pittori liguri, Genova, 1768 Vol. I, pag. 238). Monacatasi in giovine età, non abbandonò la pittura, ma si specializzò in quadri di soggetto religioso pel suo monastero, nella chiesa del quale avrebbe dipinta la volta, secondo il BENEZIT in Dictionaire des peintres, sculpteurs, ecc., Paris, Roger, 1911. In breve tempo scrive qualche autore andò affermandosi come una delle più reputate pittrici dei sec. XVII. E' ricordata con lode una sua tavola che ancora si vede nella chiesa di Gesù e Maria (vulgo S. Francesco di Paola) dei PP. Minimi in Genova, rappresentante S. Giovanni Battista. E' l'unico saggio che ci resta di lei (e per di più guasto dai restauri) che la regalò a detta chiesa per avere ivi pregato bambina e avuta l'ispirazione alla vita claustrale.

 

Bacchi Pietro di Bagnara, o Bagnaia

(Imola: sec. XVI) detto comunemente Pietro Bagnara. Alcuni lo vogliono forse senza fondamento scolaro di Raffaello, che imitò con debole colorito. Fu piuttosto un eclettico incerto, vittima di tutte le impressioni. Viveva a S. Maria in Porto (Ravenna) circa il 1550, ove dipinse un S. Sebastiano, una pala di S. Lorenzo per l'altare omonimo, una grande tavola per il refettorio (La moltiplicazione dei pani) e bellissimi arabeschi nella volta, una grande Crocifissione a matita con gran numero di figure.

A Verdace dipinse nel 1537 per la chiesa di S. Giovanni una Madonna tra S. Agostino e il Battista con vago paesaggio e una bellissima Conversazione sacra. A Milano nella chiesa della passione Gesù che va al Calvario con data: 1579. Opera nuova, però mediocre, dal colorito languido come una tempera, che risente l'influsso delle scuole ferrarese e veneziana. Al museo di Padova sono due sue tavole già a S. Giovanni di Verdara in Padova: La Visitazione (1537) e la Madonna su ricordata. La firma abituale del Bacchi era devotamente umile: Orate Deum pro anima huyus pictoris.

 

Cavalli Silvio

(secc. XVII - XVIII) Bagnolo Mella (Brescia). Magister ab intaliis che visse a Brescia, ove intorno al 1660 intagliò banchi ed armadi per la sacrestia di S. Afra, vero museo d'arte. Nel 1725 viveva ancora. Si legge di un Fra Silvio incisore del 1690 che forse deve identificarsi col Cavalli.

 

Clovio Giulio Giorgio

(1498 + 1578) Dalmata. Il principe - il Michelangelo, come fu detto - dei miniatori: "piccolo e nuovo Michelangelo" (Vasari). Recentemente il Clovio fu oggetto di critica non sempre serena da parte degli storici d'arte della Croazia, che vogliono farne un Croato, e del Thieme Beker che vuole sfrondare la gloria del Clovio (per lui esagerata) e togliergli molte opere, che comunemente gli furono sin qui attribuite. Ma il Clovio rimane sempre "il Clovio", e dalmata - cioè italiano - anche se per caso nato in Croazia. Poichè i suoi genitori erano venuti dalla Macedonia (ed ecco perchè egli a volte si firma Macedo = Macedone), cioè erano illirici, o più esattamente Dalmati. Che se a volte firma "de Crovazia" o "Crovatino" è per capriccio d'artista, che altre volte si firma "illirico". D'altra parte (anche se nato a caso nella Schiavonia, in una villa detta Grisone, o Grizane, oggi Krisane) è italiano d'adozione, chè venuto in Italia a 18 anni, non l'abbandonò più. Da questa età 1516 comincia il suo lungo pellegrinaggio artistico. Nel 1516 è a Venezia, poi a Roma, scolaro (per la grande pittura) di Giulio Romano. Da Roma - ove fu a servizio del card. Marino Grimani - passò (1524) alla corte del re Lodovico II d'Ungheria; caduto Lodovico (1526) tornò in Roma al servizio del card. Campeggi, e poi del card. Farnese: studia Raffaello e Michelangelo. Nel famoso sacco di Roma fu fatto prigioniero, fece voto di farsi religioso se avesse ottenuto la libertà. Vestì l'abito di S. Agostino nel monastero di S. Ruffino in Mantova (1521), lasciando il suo primo nome di Giorgio, per il secondo (Iulio) in onore di Giulio Romano. Da Mantova a Candiano (Padova) ove visse molto tempo, e dove approfittò per la sua arte del rinomato Girolamo dei Libri. Passò a Perugia, miniatore del card. legato Grimani, nel 1538 del Papa e del card. Alessandro Farnese, di cui era ospite.

Nel 1551 era a Firenze, miniatore del Granduca Cosimo; nel 1556 segue il card. Farnese a Perugia; nel 1557-58 lavora a Piacenza per Margherita d'Austria. Nel 1560 è a Correggio e a Venezia in cerca di oculisti, nel 1561 ritorna definitivamente a Roma, ove nel 1578 moriva nel palazzo del card. Farnese. Volle, però, essere sepolto nella sua chiesa di S. Pietro in Vincoli, con questa semplice iscrizione: Hic iacet O. Iulius Clovius. Desiderio che non fu rispettato, perchè la breve iscrizione fu sostituita 54 anni dopo da un lungo elogio che incomincia con questa frase giustissima: Iulius Clovius pictor nulli secundus, sotto un suo ritratto in bassorilievo di marmo. Presago della sua fine, pochi mesi prima di morire dettava il suo testamento e redigeva un inventario delle opere sue che avrebbe lasciate: "plures lugubrationes et varia opera et dessegni nuncupati confecit" che assommano a circa ducento, parte di sua invenzione, parte su disegni fornitigli da Michelangelo, parte copiati da capolavori. Testamento del 27 dicembre 1578, nel quale nomina con affetto il prediletto tra i suoi discepoli: D. Claudio Massarelli da Caravaggio, che lavorò sempre in Roma, lasciando una produzione copiosissima. Clovio portò la miniatura - in cui profuse grazia, una precisione meravigliosa e un colorito divino, con un segreto che morì con lui - al suo apogeo, e insieme alla decadenza; perchè confondendola con la pittura, le tolse la propria fisionomia e l'uccise. Se non è più giusto dire che ormai la miniatura aveva fatto il suo tempo, per cedere il campo alla grande pittura e ... al libro nuovo creato dalla diffusione dell'arte della stampa. Moriva la miniatura e nasceva la xilografia. "Dell'arte mia -scriveva melanconicamente un miniatore degli ultimi anni del 400- non se ne fa più niente; l'arte mia è finita per l'amor deli libri che si fanno in forma che non si minian più". La stampa distrugge il codice. Miniò incomparabilmente - con un alito di poesia, dice il Muntz - il Paradiso di Dante (Cfr. M. COZZA LUZZI, il Paradiso dantesco nei quadri miniati e nei bozzetti di G. Clovio, sugli originali della biblioteca vaticana. Roma, 1893).

In Vaticano si conserva pure la sua Vita di Federico duca d'Urbino, così meravigliosamente miniata da sembrare un miracolo. Gli si attribuiscono le Horae di Dionora, duchessa di Urbino (1510-20) ammirevoli, caratteristiche per l'abbondanza d'uccelli d'ogni fatta. Alla pubblica libreria di New Jork si conserva un suo Lezionario del 1534 offerto a Paolo III dal nipote Card. Farnese. Nel Messale per il card. Farnese si legge: Iulius Clovius monumenta haec Alexandro Farnesio domino suo faciebat 1546. Si citano, inoltre, tra le sue opere migliori, i corali della cattedrale di Siviglia, e il meraviglioso Uffiziolo della Madonna, rilegato dal Cellini, che Paolo III donò all'imperatore Carlo V (1536), con le 26 storie della Vergine che gli costarono nove anni di faticoso lavoro. Le belle pagine erano scritte dal valente calligrafo Montecchi. Il Clovio fu anche intagliatore di gemme. Un auto ritratto del Clovio è a Pitti, firmato così: d. Giulio Clovio miniatore, e un ritratto di lui lo dipinse Domenico Theotokopoli, detto il Greco.

 

Comanino Gregorio

(sec. XVI). Dilettante di arte pittorica, nel 1591 pubblicò in Mantova l'opera "Del fine della pittura".

 

Confalonieri Eustachio

(sec. XV). Della canonica di S. Pietro in Ciel d'Oro a Pavia. Con tre suoi colleghi miniò nel 1493-94 tredici corali e antifonari per la certosa di Pavia, asportati nel 1782 ed ivi ritornati nel 1883. "Le Immineature delle lettere grandi delli Messali antichi della chiesa sono state fatte da un don Eustacchio Confanorerio, canonico in San Pietro Celo aureo l'anni 1493 et 1494" (Memorie inedite della Certosa di Pavia, in Archivio storico Lombardo, Anno VI, pag. 143).

 

De Nardis Antonio

(sec. XV: Brescia). Sopraintendente alla costruzione del monastero della sua con-gregazione presso il Laterano (1440-45). (Cfr. la voce Nicola).

 

Evangelista della Croce

(+ 1560) Milano. Vicario di S. Maria Bianca di Casoretto fuori porta Tosa a Milano. Diligentissimo miniatore e coloritore vaghissimo, che inizia la collezione dei celebri libri corali della Certosa di Pavia. Nel 1544 accetta, con regolare contratto, di fare per detta Certosa un Graduale di centoquattro pagine membranacee, e nel 1548 gli è pagata la prima nota pel lavoro non ancora del tutto finito. (Forse nel frattempo attese ad altri lavori). E il lavoro è detto "librurn magnum in carta pecorina; (qui) pro parte est ameniatus, pro parte nondum est perfectus". Nel 1551 era infermo nel monastero di S. Giovanni Battista in Verona.

Un suo Messale conservato oggi alla biblioteca di Brera manifesta insigne bellezza, stile purissimo, grande finitezza e precisione negli ornati ad oro e colori, graziosa composizione. Fondendo insieme lo studio di Leonardo e del Correggio, si formò uno stile suo proprio dolcissimo nel chiaroscuro, dai mirabili puttini. Non so se questo miniatore possa identificarsi con quell'Evangelista di Milano che nel sec. XVI dipinse lo stemma del Comune sulla Lanterna di Genova. (Cfr. Il Raccoglitore Ligure, Ann. I, n. 7). Nel caso affermativo avremmo a Genova - ove poteva dimorare a S. Teodoro - un nuovo aspetto dell'attività di Evangelista della Croce.

 

Fieschi Tomasina

(1440 + 1534) Genova.

Parente, secondo il Cervetto, di S. Caterina da Genova, (S. Caterina Fieschi Adorno e i Genovesi, Genova, Tip. della Gioventù, 1919) il che è da altri messo fortemente in dubbio. Erra il Soprani (Vita della Ven. Suor Tommasina Fieschi, Genova, Celle, 1667) e il Porpora (Vita mirabile della B. Caterina di Genova, Genova, Casanova, 1682), dicendola domenicana di S. Silvestro de Pisis; giustamente l'Alizeri (Di Suor Tomasina Fieschi pittrice e ricamatrice. Atti della soc. lig. di storia patria, vol. VIII) la dice agostiniana lateranese a S. Maria delle Grazie. Tale infatti risulta dai Monialium documenta pubblicati dal notaio Muzio e conservati MS. alla biblioteca civica Berio di Genova (Db. 10.7.39). In due atti capitolari, infatti, del monastero genovese S. M. de Gratiis ordinis S. Augustini Canon. Regul. S. Ioannis Lateranensis del 1458 e 1491 si legge: Soror Thomasina de Flisco.

"Sentiva tanto ardore di spirito che per mitigarlo si esercitava in iscrivere, comporre, dipingere... Dipingeva di sua mano molte diverse figure massime della Pietà, e un certo devotissimo misterio, quando il sacerdote consacra sull'altare. Lavorava coll'ago sottilmente cose divote e belle, delle quali si vede ancora presso le monache del suo primo monastero (Dice primo monastero perché nel 1497 Suor T. Fieschi entrò, per ordine superiore, nel convento dei SS. Filippo e Giacomo, decaduto, per riformarlo "in più osservanza".) un Dio Padre con molti angeli dintorno, e con un Cristo ed altre figure di Santi con grazioso artifizio e maestà" (CATTANEO MARABOTTO, Vita mirabile di S. Caterina Fieschi Adorno da Genova, ristampata a Padova nel 1743 dal Comino, cap. XLV). E il citato Soprani: "Nell'hore di ricreatione hor con variate sete... hor con framischiati colori esprimeva su le tavole col pennello Eroi celesti, historie sacre, misteri divini, figure soavi e volti spiranti, cose tutte singolari". L'unico saggio che ci resta è conservato dalle Clarisse di Albaro. E' una pergamena miniata fissata su tavola (0.75x0.50) rappresentante Cristo incoronato tra i simboli della passione, dietro la quale si legge: "manibus depicta ad R. M. S. Tomasiae de Flisco, quae in anno Domini 1534 aetatis suae 86 requievit".

Il ricordato Cervetto scrive che "presso le suore lateranesi di S. Maria in Passione (Il monastero di S. M. in (o de) Passione in Genova non era precisamente di Suore (meglio canonichesse) lateranensi, ma di moniales "sub regulari obser-vantia ordinis heremitarum B. Augustini" e perciò "nuncupatarum eremitarum": chiamate eremitane; Cfr. Muzio, MS. citato) si conserva un ricamo di T. Fieschi su fondo cremisi", che ritrae magistralmente l'ultima cena di N. Signore. Ma attualmente non ne esiste più traccia. Lo stesso scrittore crede di poterle attribuire (o. c.) anche un ternario della Consolazione di Genova. Alcuni hanno supposto maestro in pittura della Fieschi Giovanni Mazzone di Alessandria.

 

Gerolamo da Rimini

Autore del Codice Vat. Lat. 1569 di f. 152, che dimostra un buon disegnatore, che conosce il paesaggio peruginesco. A carte 152 si legge: "Ego Dominus Jeronimus Animinensis canonicus regulanis Sancti Augustini quondam Mattei filius et Tauris. Anno gratiae Domini 1483 raptim et ante lucem haec scripsi". Non è bene accertato se lo scriba sia anche il miniatore; ma il Serafini inclina a crederlo, basato anche su criteri interni e appoggiato su un particolare della pagina 69. (Cfr. la Rivista "Arte" dell'anno 1892 a pag. 260).

Giacomo Filippo

Visse molti anni a S. Salvatore di Bologna, ove lavorò dal 1490 al 1510. Al Museo Civico di Bologna i codici N.ro 53 (an. 1490), 54 (an. 1491), e 55 (an. 1507) sono segnati col nome di Fr. Giacomo Filippo, che si dimostra miniatore valente e disinvolto, dagli angeli divini, sebbene a volte troppo lezioso. Il N.ro 54 ha questa didascalia: "pro conventu S. Salvatoris in Bononia, exaratum per me fratrem Iacobum Philippum de Mediolano, ejusdem monasterii professore. 1491. Laus Deo". Alla Biblioteca di Parma c'è un codice miniato del 1467 con la scritta: opus fratris Philippi de Mediolano. Che si tratti dello stesso autore ? Recentemente il Malaguzzi ha dubitato della sua qualifica di miniatore, ritenendolo soltanto ammanuense. (Cfr. La Corte di Lodovico il Moro, Hoepli, 1917, Vol. 3°).

 

Grippi Arcangelo

Bologna. Bravo pittore e copista del secolo XVII.

 

Mirandola Antonio

(+ 1648). Visse in Cento (Ferrara) ove guidò e favorì fin dagli inizi il famoso Guercino, che deve a lui il principiare della sua gloria. Scrittore fecondo, dilettante di pittura e promotore di essa.

 

Mula Ascanio

(sec. XVII). Abate per vent'anni di S. Maria in Porto a Ravenna, ove ridusse a perfezione e compì (1664) il tabernacolo lasciato incompleto dal confratello Giuseppe Vivoli. (Cfr. questa voce). Mula - o Da Mula - è cognome di famiglia patrizia veneta.

 

Nicola

Tra il 1439 e 1440 dà il disegno del chiostro lateranense (oggi non più esistente) costruito sotto Eugenio IV (e per sua volontà) insieme al nuovo monastero che il pontefice fa costruire per gli Agostiniani Lateranensi richiamati a Roma, al Laterano. Così ricorda il fatto la Cronaca antica di quel monastero al foglio 9: "Frate Nicolao muratore designante aedificium monasterii ... Remansit Can. D. Antonius De Nardis de Brixia super dictum aedificium", cioè sopraintendente alla costruzione. I lavori sospesi furono ripresi nel 1444, e il chiostro, finito nel 1445, fu consegnato ai Lateranensi con bolla di Eugenio IV che scrive: "quod (claustrum) magnis expensis oneribus et amplissimis structuris a fundamentis aedificare fecimus" (Cfr. N. WIDLOECHER, La Congregazione dei Canonici Lateranensi, Gubbio, Tip. Oderisi, 1929).

 

Oliva Basilio

(sec. XVII). Bologna. Del monastero di S. Giovanni in Monte. Eccellente architetto, che tra il 1632 e il 1640 costrusse il magnifico atrio che da detta chiesa mette in via S. Stefano.

 

Ramelli Giovanni Felice

(1666 + 1741). Asti. Dei conti di Celle. Religioso nell'abazia di S. Andrea in Vercelli, poi preposito a S. Pietro di Gattinara, indi abate di S. Maria Nova d'Asti (1707). Scolaro in Vercelli del suo confratello Dionisio Rho - ch'egli superò nel miniare, tanto in pergamena che su pietra - e maestro della celebre miniaturista Carriera Rosalba (1675 + 1757), la regina del pastello. (Altri dice allievo). Nel 1717 Clemente XI lo chiamò a Roma, nominandolo abate perpetuo privilegiato. Da allora rimase sempre al servizio dei Papi, sino alla morte che lo colse in Roma, ove fu sepolto in S. M. della Pace. Fu celebre disegnatore, miniatore, ritrattista, dal disegno castigato e sicuro, dal colorito vago e vivace e piacevole. Tra le sue opere si ricordano le miniature di Bologna: teste di G. Reni, del Pasinelli e di Del Sole; della galleria di Dresda (ritratto di donna) del Riksmuseum di Amsterdam, (Giuseppe e Putifarre dal Cignani); del palazzo reale di Torino, ove aveva fatte - per commissione del re di Sardegna - copie dei grandi maestri della galleria Fiorentina.

Al palazzo Graziani di Pesaro è una sua miniatura ("cosa rara a vedersi") fatta senza punto: un pastore con selvaggina morta. Nella biblioteca dell'Università di Padova una Madonna con Bambino: miniatura vaghissima per graziosità di disegno e per morbida vigoria di colorito.

 

Rapari Colombino

(+ 1570) Cremona. Architetto della ricostruzione del tempio suntuoso di S. Pietro al Po in Cremona (1563), ove egli fu abate dal 1540 al 1570, e dove B. Gatti lo ritrasse in una tavola ch'era prima all'altare maggiore, nel 1796 esiliò a Parigi e poi - ritornata nel 1815 - fu collocata nel secondo altare a sinistra. La chiesa - ingrandita con l'aggiunta delle contigue S. Maria Egiziaca e S. Alessandro - riuscì di tanta eleganza e purezza di stile da farla, in seguito, attribuire senz'altro al Palladio. Ha tre navi d'ordine corinzio di tanta armonia ed elegante proporzione che desta ammirazione. Nel 1563 il Rapari è ricordato anche come pittore; forse di quel "quadro appeso alla parete (e che) esisteva in chiesa all'altare N. 11, e rappresenta S. Ubaldo vescovo di Gubbio, (che) dicesi lavoro di un canonico lateranense, che si accosta alla maniera fiamminga" (G. GRASSELLI, Guida storico-sacra di Cremona, Cremona, Bianchi, 1818).

 

Rho Dionisio

(sec. XVII). Piemontese. Maestro del Ramelli. Bravo disegnatore, pittore e miniatore, che operò tra il 1680 e il 1707 in Roma. Copia dagli antichi maestri e minia numerosi ritratti.

 

Righettino Girolamo

Torino. Bravo disegnatore e topografo del 1680.

 

Rodolfo

Dagli storici bolognesi è ritenuto comunemente come il ricostruttore (ed amplificatore) della chiesa di S. Giovanni in Monte di Bologna nel 1221.

 

Rota Jacopo

Venezia. Bravo pittore e paesista del 1750.

 

Tacchetti Camillo

(1703 + ?) Verona. Monaco a S. Leonardo. Bravo miniatore, che studiavasi d'imitare la maniera del suo maestro Ramelli. Nato nel 1703, operava ancora nel 1772.

 

Vivoli Giuseppe

(+ c. 1629). Monaco a S. Maria in Porto a Ravenna. Abate di S. Pastore, quindi di Rimini, poi governatore di Comacchio e generale dell'Ordine. A S. Maria ammiravasi un suo tabernacolo - ricchissimo di pietre e di gemme - "ingegnosissimo, di raro e maestrevol disegno" rappresentante la chiesa trionfante com'è descritta nell'Apocalisse. Studiò la navigazione del Po e l'interramento delle valli adiacenti presiedendo ai lavori, e scrisse tra l'altro: Della essicazione del Po di Primaro e della inalveazione dei fiumi adiacenti. (Bologna, Benacci 1598; Ferrara 1599).

 

Volpe (Della?) Gabriele

(sec. XVI). Palermitano per nascita, (o carrarese ?) o per elezione. Da un atto pubblico del 1536 sappiamo ch'egli era passato ai canonici regolari di S. Agostino, dopo essere stato domenicano, e come tale aveva professato nel 1524 a S. Domenico di Palermo. Ivi dipinse una tavola della Madonna della Catena oggi al museo nazionale (N.ro 95) con vago e vigoroso colorito, firmata: Fr. Gabriel de bulpe pictor 1-5-3-5. Nel 1536 col citato atto pubblico nel quale è qualificato' "cittadino palermitano" si obbligava a dipingere una icona dell'Immacolata per la cappella della Concezione nella chiesa di S. Maria degli Angeli, detta la Gancia. Oggi non n'esiste traccia alcuna, come neppure dell'Assunta dipinta a chiaroscuro per la chiesa matrice di Montesangiuliano, firmata: ven. frater Gabriel Vulpi c. p. 1538. Altri lavori gli sono attribuiti per evidenti punti di contatto coi suoi noti, ma non sono certi. Più che il disegno, nel quale non appare molto eccellente, è lodevole nel Volpe il colorito, sempre luminosissimo e trasparente. (Cfr. DI MARZO G., La Pittura in Palermo nel rinascimento, Palermo, Reber, 1898).

 

 

Il movimento artistico agostiniano segue un po' le fasi del movimento artistico in genere: gli albori, lo splendore, la decadenza. Da tre nomi nel secolo XIII - è l'aurora - si sale ai ventotto del secolo XV - l'apogeo - attraverso i dodici del secolo XIV, per scendere a ventidue nel XVI. Poi la stasi - direi per forza d'inerzia- del secolo XVII: ventuno artisti, la discesa a dodici nel XVIII. E poi... la fine. Gli uomini di chiesa - i clerici - che avevano ormai perduto il primato scientifico (clericus equivaleva a doctus) spariscono pure dal campo dell'arte, fors'anche per colpa dei rivolgimenti politici. Prima che all'arte - che richiede tranquillità e raccoglimento - dovevano pensare, in quei frangenti, alla vita. Ora che qualche artista torna a fiorire nelle file del clero; ora che si parla tanto di arte cristiana, o religiosa, riprenderà il clero d'Italia, riprenderanno i figli di S. Agostino il posto che in antico tennero così nobilmente nel campo dell'arte? Faxit Deus.