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Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Quattrocento: Amanuense fiorentinoPITTORI: Amanuense fiorentino
Sant'Agostino e le due Città
AMANUENSE FIORENTINO
1465
Biblioteca Laurenziana, ms. Plut. 12.12, c. 2
Sant'Agostino e le due Città
L'amanuense di questo ms. Plut. 12.12, c. 2 conservato alla Biblioteca Laurenziana istituita da Lorenzo de' Medici a Firenze, ci presenta la figura a mezzo busto di Agostino posto fra due città: la Città di Dio e la Città degli Uomini, che sono state rappresentate in alto in cielo a sinistra e in basso a destra sulla terra. Agostino vestito da vescovo e tiene in mano il bastone pastorale e un libro. Il suo viso è anonimo, con la barba e la mitra in testa.
La miniatura illustra il capolettera G(loriosissimum civitatem Dei) incipit del primo libro del De Civitate Dei.
L'opera fu scritta da Agostino dopo il Sacco di Roma da parte dei visigoti guidati da Alarico I nel 410, un evento che sconvolse il mondo romano ovvero. Agostino apprese la notizia mentre faceva la spola tra Ippona e Cartagine, dove si stava svolgendo un concilio. Presto gli arrivarono alle orecchie le accuse dei pagani contro il Dio cristiano che non aveva saputo difendere l'Urbe, ed assistette all'arrivo dei profughi con i loro racconti drammatici.
L'eccezionalità dell'evento lo sollecita a riflettere sul senso della vita e della storia. E nel 412 intraprende un'opera che lo impegnerà per una dozzina di anni e che diventerà uno dei pilastri della cultura occidentale. L'opera appare come il primo tentativo di costruire una visione organica della storia dal punto di vista cristiano, principalmente per controbattere le accuse della società pagana contro i cristiani.
Frattanto Roma fu messa a ferro e fuoco con l'invasione dei Goti che militavano sotto il re Alarico; l'occupazione causò un'enorme sciagura. Gli adoratori dei molti falsi dèi, che con un appellativo in uso chiamiamo pagani tentarono di attribuire il disastro alla religione cristiana e cominciarono a insultare il Dio vero con maggiore acrimonia e insolenza del solito. Per questo motivo io, ardendo dello zelo della casa di Dio, ho stabilito di scrivere i libri de La città di Dio contro questi insulti perché sono errori. L'opera mi tenne occupato per molti anni. Si frapponevano altri impegni che non era opportuno rimandare e che esigevano da me una soluzione immediata. Finalmente questa grande opera, La città di Dio, fu condotta a termine in ventidue libri. I primi cinque confutano coloro i quali vogliono la vicenda umana così prospera da ritenere necessario il culto dei molti dèi che i pagani erano soliti adorare. Sostengono quindi che avvengano in grande numero queste sciagure in seguito alla proibizione del culto politeistico. Gli altri cinque contengono la confutazione di coloro i quali ammettono che le sciagure non sono mai mancate e non mancheranno mai agli uomini e che esse, ora grandi ora piccole, variano secondo i luoghi, i tempi e le persone. Sostengono tuttavia che il politeismo e relative pratiche sacrali sono utili per la vita che verrà dopo la morte. Con questi dieci libri dunque sono respinte queste due infondate opinioni contrarie alla religione cristiana. Qualcuno poteva ribattere che noi avevamo confutato gli errori degli altri senza affermare le nostre verità.
Questo è l'assunto della seconda parte dell'opera che comprende dodici libri. Tuttavia all'occasione anche nei primi dieci affermiamo le nostre verità e negli altri dodici confutiamo gli errori contrari. Dei dodici libri che seguono dunque i primi quattro contengono l'origine delle due città, una di Dio e l'altra del mondo; gli altri quattro, il loro svolgimento o sviluppo; i quattro successivi, che sono anche gli ultimi, il fine proprio. Sebbene tutti i ventidue libri riguardino l'una e l'altra città, hanno tuttavia derivato il titolo dalla migliore. Perciò è stata preferita l'intestazione La città di Dio.
Nel decimo libro non doveva esser considerato un miracolo il fatto che in un sacrificio che Abramo offrì, una fiamma venuta dal cielo trascorse tra le vittime divise a metà, perché gli fu mostrato in una visione. Nel libro decimosettimo si afferma di Samuele che non era dei figli di Aronne. Era preferibile dire: Non era figlio di un sacerdote. Infatti era piuttosto costume garantito dalla legge che i figli dei sacerdoti succedessero ai sacerdoti defunti; tra i figli di Aronne si trova appunto il padre di Samuele, ma non fu sacerdote. Né si deve considerare tra i figli, nel senso che discendesse da Aronne, ma nel senso che tutti gli appartenenti al popolo ebraico son detti figli di Israele. L'opera comincia così: Gloriosissimam civitatem Dei.
AGOSTINO, Ritrattazioni 2, 43