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Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Cinquecento: Matthaeus Grünewald e Nikolaus HagenauerPITTORI: Matthaeus Grünewald e Nikolaus Hagenauer
Sculture di Nickolaus Hagenauer: Agostino (sinistra),
Antonio (al centro) e Gerolamo (sinistra)
Le sculture nella predella di Desiderius Beichel
raffigurano scena della vita di Gesù
MATTHAEUS GRUNEWALD e NIKOLAUS HAGENAUER
1510-1516
Colmar, Museo d'Unterlinden
Sant'Agostino e donatore
L'immagine che rappresenta Agostino appartiene all'opera straordinaria di un pittore a cui convenzionalmente è attribuito il nome di Matthaeus Grünewald. L'altare a cui appartiene è unanimemente considerato una delle realizzazioni più alte della pittura d'Oltralpe del primo Cinquecento. In origine l'opera si trovava a Isenheim, nella chiesa dell'Ospedale del convento degli Antoniti, presso l'altare di sant'Antonio. Ora è conservato a Colmar, nel Museo d'Unterlinden. Lo scrigno presenta diverse sculture e immagini: quella di Sant'Agostino e donatore, è nel pannello di sinistra, dalle dimensioni di cm. 255 x 74, 5 x 19. L'autore, un personaggio sicuramente misterioso, è indicato da Joachim Sandrart come Grünewald ma anche Matthaeus von Aschaffenburg, che nella sua Teutsche Academie (1675) lo presenta come un artista di grande interesse, la cui storia è però caduta nell'oblio.
Lo presenta contemporaneo di Dürer, sventurato e malinconico, morto nel 1510 in una località sconosciuta. Jakob Burckhardt lo scopre nell'Ottocento, ma la sua prima monografia è di Hans Bock (1904), la seconda, di Schmid, è del 1911, mentre la prima ricostruzione storica dell'artista si deve a Zülch ed è datata 1938. Schmid segnala che l'altare fu eseguito da un certo Mathis Gothart Nithart e con lui nasce la questione del nome e del riconoscimento dell'artista, che è pittore, scultore, ma anche mercante di sapone e colori, costruttore e ingegnere idraulico. Egli corrisponde a un personaggio storicamente accertato di nome Mathis Nithard. Un uomo con questo nome morì il 1 settembre 1528 ad Halle, e solo un anno prima, come risulta nell'archivio di Francoforte, aveva fatto testamento a favore di un figlio adottivo, Endres. La sua data di nascita è prevalentemente fissata attorno al 1480 a Würzburg. Le sue vicende si intrecciano con quelle di un pittore a nome Mathis, che gli studiosi sono inclini a considerare la stessa persona.
Il primo documento ce lo fa trovare ad Aschaffenburg riconosciuto come maestro, nel 1505, il che avvalora l'ipotesi sulla data di nascita. Bisogna però aggiungere che nei documenti d'archivio di Francoforte dal 1512 compare un altro Mathis, il cui nome è Grün. Questi, secondo Zülch, corrisponde al Grünewald di Sandrart, tramandato come lunatico e melanconico, malato di peste nel 1513. Scultore documentato, lavorava per i signori von Erbach e aveva una sua bottega a Francoforte, dove moriva nel 1532. L'ultimo tentativo di riconoscimento è di Hans Rieckenberg (1987) che rigetta Gothard Nithard, per riproporre Matis Grün. Qualunque sia l'autore questo pittore a nome Mathis o Mattias è responsabile di una produzione, se non ricchissima, compatta e di altissimo livello nei primi tre decenni del Cinquecento in un'area piuttosto vasta che comprende l'Alsazia e i territori del Reno. Ma la sua fama non sarebbe così universale se egli non avesse dipinto quest'opera che si distingue per la sua complessità, per la straordinaria ricchezza della tessitura iconografica, per la qualità altissima della pittura e per il controllo esecutivo.
Il progetto del grande altare, dipinto da Grünewald tra il 1510 e il 1516 fu commissionato dall'abate precettore del convento, creduto di origine siciliana, un certo Guido Guersi (1490-1516), che recentemente è stato individuato in un certo Guy Guers nativo del Delfinato. L'intervento di Grünewald consiste nella realizzazione di due grandi ali mobili e di due ali fisse, applicate allo scrigno centrale, dovuto allo scultore strasburghese Nikolaus Hagenauer e comprendente le figure di Sant'Antonio, Sant'Agostino e San Girolamo. Lo scrigno è completato da una predella, comprendente i busti di Cristo e dei dodici apostoli, eseguiti da uno scultore della bottega di Hagenauer, il cui nome era ritenuto Sebastian Desiderius Beychel. Si è sempre creduto che la parte scolpita dell'altare di Isenheim fosse stata eseguita attorno al 1505 e fosse dovuta alla committenza di Jean d'Orliac, precettore degli Antoniti fino al 1490, il cui ritratto sarebbe scolpito, come si conviene a quello di un donatore, nel pannello sinistro, accanto a Sant'Agostino, rivolto verso il sant'Antonio in trono.
Di recente si è proposto di riconoscere Guersi nel ritratto scolpito e di ritenere quest'ultimo il committente dell'intero altare. La complessa macchina prevedeva, oltre alle grandi tavole tuttora esistenti, una zona superiore che fu distrutta durante la rivoluzione francese. La carpenteria originale era stata eseguita dall'intagliatore Michele Wesser di Altkirch. Di come poteva essere questo fastigio esiste un disegno di G. Rothmann del 1905, conservato alla Biblioteca del Museo di Colmar. Le interpretazioni dell'iconografia, piuttosto criptica, del complesso sono le più varie. Una buona parte di esse si concentra sul tema della Redenzione, che sarebbe stato di ausilio ai malati nel superamento delle pene terrene. Feigel propone una lettura quasi apocalittica, basata in realtà sul Vangelo di Giovanni, per la quale la Crocifissione rappresenterebbe le nozze fra Cristo e la Chiesa, rappresentata dalla Vergine in bianco, a svantaggio della Sinagoga, rappresentata dal Battista. Sarwey propone una lettura astrologica della scena della Crocifissione, interpretando Maria come Luna e il Battista come Lucifero e trova uno stretto legame tra i culti celtici e la scena della Resurrezione. Mellinkoff sostiene che il significato globale dell'altare sta nel trionfo di Sant'Antonio e di Cristo sul demonio e individua una nutrita serie di simboli demoniaci in tutta la superficie dipinta. Scheja (1969) pone in relazione l'intera iconografia dell'altare, con le sue palesi allusioni a saperi teologici e mistici, all'attività terapeutica del convento, tesi ripresa più di recente da Hayum in un'analisi molto minuziosa che dà conto di tutti i passaggi simbolici presenti nelle varie tavole come di altrettante allusioni alle pratiche terapeutiche dell'ospedale. Questa discrepanza di impostazione fra parte scolpita e parte dipinta rafforza la nostra opinione che la committenza per le due parti dell'opera sia stata diversa: e non per caso un ritratto del Guersi compare con ogni probabilità, con la sua divisa, nell'incontro fra Sant'Antonio e san Paolo. Anzitutto bisogna parlare della malattia o delle malattie che venivano curate nel convento: forse la sifilide e la lebbra, certo quella che al tempo veniva chiamata fuoco di Sant'Antonio, ignis plaga o pestilentia ignis, più tardi identificata come ergotismo, malattia di origine alimentare che si contrae attraverso la consumazione di pane ottenuto dalla segale infestata da un fungo parassita.
L'avvelenamento si manifesta con formicolii, crampi, bubboni e necrosi provocati da problemi di circolazione e ancora allucinazioni e nelle donne crampi uterini. I frati soccorrevano i malati con una sana alimentazione e impacchi di erbe, ma nei casi più gravi era necessario amputare le estremità necrotiche. Secondo l'interpretazione di Hayum, nella Crocifissione si dà conto della fenomenologia della morte, che richiede l'intervento divino e l'identificazione nel Cristo; nella scena mediana i rimedi contro le forze misteriose dell'infezione e gli approcci alternativi con trattamenti psicopoatologici, come la terapia musicale (musica vitae comes, medicina dolorum); i pannelli con gli eremiti esprimono la violenza del male in tutta la sua fisica evidenza e, per l'accurata descrizione delle erbe, le pratiche realmente eseguite all'intero dell'ospedale. L'analisi di cui qui si riferisce così sommariamente giunge a raffinate ipotesi, come l'interpretazione del rosario di corallo come possibile allusione alla terapia con i preziosi o all'alchimia e inoltre alla lettura della cesura della predella con la Deposizione, che tronca le gambe del Cristo, come allusione alle amputazioni che i malati subivano.