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Sant'Agostino vescovo benedicente
MAESTRO DI MORTARA
1590-1599
Mortara, chiesa di santa Croce
Sant'Agostino vescovo benedicente
Questo bell'affresco raffigura sant'Agostino vescovo in atto di benedire il fedele che si accosta al dipinto. Il santo, dall'aspetto vegliardo, con una folta ed incolta barba bianca, porta in testa una elegante mitra. Veste un piviale riccamente ricamato e con la mano sinistra regge il bastone pastorale e un libro chiuso. Sotto il piviale si nota una tonaca bianca, tipica dell'abbigliamento dei monaci mortariensi. Alle sue spalle si nota una corposo tendaggio scuro che risalta la luminosa figura del santo. L'affresco si trova nella chiesa di Santa Croce a Mortara la cui costruzione risale all'ultimo decennio del Cinquecento. La chiesa fu edificata sulla stessa area dell'antica chiesa di Santa Croce costruita nel 1080 fuori dalle mura della città. Fino all'anno 1449 il sacro luogo era stato la Casa della congregazione Mortariense, che papa Niccolò V decise in seguito di unire all'ordine dei Lateranensi di Roma. Il progetto cinquecentesco porta la firma del celebre architetto Pellegrino Tibaldi, ma la struttura che realizzò è stata modificato durante i recenti restauri a metà del XX secolo. La chiesa si presenta a navata unica con diverse cappelle laterali e conserva importanti opere d'arte. Nella terza e nella quarta cappella di destra si trovano una Adorazione dei Magi eseguita nel 1533 da Bernardino Lanino e un san Michele nell'atto di atterrare il demonio di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo.
Sul lato sinistro della navata si possono ammirare una Madonna con Bambino e Santi di scuola veneta del sedicesimo secolo e il nostro affresco coevo che raffigura sant'Agostino benedicente. Quest'ultimo è ubicato nel passaggio che divide la quarta cappella dal transetto. Di buon interesse anche un dipinto di scuola olandese che raffigura la crocifissione. Dell'antica abbazia che fu atterrata per costruire la chiesa attuale sono rimasti rari lacerti: nella lesena che divide la prima dalla seconda cappella di sinistra è possibile ancora notare un piede del Redentore in marmo di Carrara che risale al tempo delle crociate.
La presenza dell'affresco di sant'Agostino va ricondotto alla presenza dei canonici mortariensi, di regola agostiniana che ressero la chiesa sin dalle sue origini.
Grazie alla Generalis totius sacri ordinis clericorum canonicorum historia tripartita, composta negli anni Venti del Seicento dal Canonico lateranense Gabriele Pennotto e ai contenuti del codice ii-12 della Biblioteca Civica Bonetta di Pavia, conosciuto anche con la precedente segnatura di codice B/28 ms. 146 del Museo Civico di Storia Patria di Pavia è stato possibile ricostruire la storia dei canonici mortariensi.
I Canonici regolari di Santa Croce di Mortara, detti mortariensi, sono un'antica congregazione di chierici sorta a Mortara nel 1083, dopo che l'anno prima il ricco ecclesiastico Adamo da Mortara aveva fatto edificare un monastero e una chiesa dedicata alla Croce su un suo possedimento. I cistercensi, provenienti da San Michele presso Avigliana, a cui aveva affidato l'incarico di gestire il complesso, abbandonarono ben presto questo compito, che fu assunto da una comunità di chierici locali guidata dall'anziano Gandolfo da Garlasco. I religiosi della comunità si chiamarono canonici mortariensi e si posero come finalità del loro operare l'assistenza ai pellegrini sulla strada tra Mortara e Parma. Il numero dei canonici crebbe rapidamente tanto da poter creare altre fondazioni lungo l'itinerario. All'epoca di Airaldo Guaracco di Caltignana, personalità rilevante tra i canonici regolari, poi vescovo di Genova nel 1099 e primo successore di Gandolfo, si unirono alla congregazione i priorati di sant'Andrea di Ticineto, santa Maria di Carbonaria e sant'Andrea di Clengo. Questa esperienza religiosa dei canonici di Mortara fa parte della storia del movimento canonicale quale emerge nel panorama della vita religiosa ufficialmente a partire dall'VIII e IX secolo, allorché venne imposto al clero di condurre una vita comunitaria con lo scopo di disciplinare gli obblighi liturgici e le possibilità economiche dei singoli.
L'altare maggiore della chiesa di santa Croce fu consacrato nel 1097 da papa Urbano II durante la sosta che fece in Langobardiam di ritorno dal concilio di Clermont, come attesta il Chronicon di Bernoldo di Costanza. Durante il papato di Innocenzo II la congregazione disponeva di 14 monasteri che con Urbano III aumentarono a 42. L'abito dei canonici mortariensi consisteva in una tonaca di sargia bianca, al di sopra della quale veniva indossato un rocchetto a pieghe. In pubblico indossavano un mantello nero e in coro una cotta, senza almuzia.
Nell'anno 1221 Palmerio, il preposito di Mortara, presentò al Pontefice la proposta di trasferire i monaci in monasteri esterni alla città e di affidare San Pietro in Ciel d'Oro ai Mortariensi, perché questi canonici, che avevano consuetudine con gli ambienti della curia romana, erano apprezzati per il rigore di vita e seguivano la regola di Sant'Agostino, le cui spoglie erano conservate proprio in quel monastero pavese.
Ottenuta l'autorizzazione papale, Giacomo di Carisio, vescovo di Torino, su incarico del Cardinale Ugolino, con il consenso degli ecclesiastici, delle autorità e del popolo pavese, nell'agosto consegnò a Palmerio la chiesa e il monastero con tutti i possedimenti e i diritti, a patto di mantenere le obbligazioni di subordinazione, cui il cenobio già sottostava. Nel documento, tra le clausole che legittimavano il passaggio di consegne al preposito Palmerio, una stabiliva che l'abbazia sarebbe diventata caput illius ordinis Mortariensis. Questa disposizione si fondava sul fatto che in quel luogo si custodivano i resti mortali dell'Ipponense e su un'istanza di Onorio III, che considerava la chiesa di Santa Croce di Mortara non più funzionale al buon andamento dell'osservanza regolare. In un documento dell'ottobre dello stesso anno 1221 Palmerio era menzionato come prepositus ecclesiarum Sanctorum Petri et Augustini in Celo Aureo et Sancte Crucis Mortariensis, adottando nel caso del monastero propriamente il titolo di “abate”. Con gli atti redatti nel 1225 troviamo finalmente documentata la presenza dei canonici nel monastero. Assieme a questa circostanza si può considerare la lettera che Onorio III inviò a settembre del 1225 al vescovo di Vercelli, perché trovasse una sistemazione ai monaci di San Pietro in Ciel d'Oro e li dividesse, dando diverse destinazioni ed eliminando loro ogni possibilità di tornare in possesso della loro antica sede.
Purtroppo le guerre, l'instabilità politica, i disordini sociali misero in difficoltà la congregazione che vide diminuire notevolmente il numero delle fondazioni. Nel 1448 il superiore generale Raffaele Salviati nel tentativo di opporsi al declino convocò il capitolo generale in san Matteo a Tortona, ma non riuscì nel suo intento riformatorio. Salviati intraprese allora un viaggio a Roma e nel 1449 fece richiesta ai Canonici lateranensi di potersi aggregare a loro. La richiesta fu accolta e il superiore generale dei lateranensi si recò a Mortara a prender possesso della chiesa di Santa Croce non senza opposizioni.