Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Seicento: Pandolfi Giovanni Giacomo

PITTORI: Pandolfi Giovanni Giacomo

Sant'Agostino

Sant'Agostino

 

 

PANDOLFI GIOVANNI GIACOMO

1634-1636

Pesaro, Oratorio del Nome di Dio

 

Sant'Agostino

 

 

 

Il dipinto costituisce uno dei dodici dipinti monocromi - otto Dottori della Chiesa e quattro evangelisti collocati all'altezza del presbiterio - sui toni del giallo e del bruno che formano le spalliere dei sedili nella la fascia inferiore della decorazione delle pareti della chiesa. Costituiscono emblematicamente il supporto teologico-dottrinale all'iconografia contro riformistica che si sviluppa sulla superficie del soffitto e delle pareti della chiesa. Il questo ha le dimensioni di 125 cm in altezza e 265 in lunghezza.

 

L'Oratorio del Nome di Dio fu fatto costruire dal 1577 dalla Compagnia del Nome di Dio, una fre le più ricche le confraternite laicali della città di Pesaro. La Compagnia provvedeva ai funerali dei poveri e dei giustiziati. Tale attività giustifica la diffusa presenza di simboli di morte nella decorazione della chiesa. L'interno mantiene inalterato l'assetto originario, mentre l'esterno nel 1763 è stato abbellito con un portale in pietra d'Istria di Gian Andrea Lazzarini (1710-1801). Lo splendido soffitto interno mostra una copertura, datata fra il 1617 e il 1619, con grandi tele incastonate da strutture a cassettoni, opera dello scenografo Giovanni Cortese.

I dipinti sono del pesarese Giovanni Giacomo Pandolfi, confratello del Nome di Dio. Al centro del soffitto campeggia il Trionfo del Nome di Dio, circondato dalla Corte Ducale e dalla Corte Pontificia, verso l'altar maggiore l'Immacolata Concezione e dalla parte opposta l'Inferno. Anche le pareti, che furono realizzate dal 1634 al 1636, sono opera di Pandolfi, affiancato da Niccolò Sabbatini, scenografo già al servizio dei Della Rovere. L'artista «ancorché aveva le mani stroppiate dalla chiragra» dipinse la fascia monocroma sotto il soffitto con angeli e putti che suonano e cantano o sono in processione. La fascia centrale propone un itinerario di salvezza attraverso l'intervento divino accuratamente sottolineato da scritte didascaliche tratte dal Vecchio Testamento e dagli Atti degli Apostoli: si tratta di dieci grandi quadri che riproducono le profezie delle Sibille, episodi alludenti alla liberazione, i miracoli di S. Pietro e di S. Paolo. Nella parte inferiore che funge da spalliera per i sedili sottostanti sono raffigurati i Padri della Chiesa, otto Dottori della Chiesa e i quattro Evangelisti. Sulla parete d'entrata si ammira a sinistra il presunto autoritratto del Pandolfi. Sull'altar maggiore si trovava una Circoncisione di di Gesù, è del pittore Carlo Paolucci (1738-1803), copia dell'originale di Federico Barocci, mentre sulla sinistra si ammira l'altare del Crocifisso e alla destra la tela del mantovano Teodoro Ghisi raffigurante la Madonna e Santi. La Sagrestia custodisce sull'unico altare il Monogramma del Nome di Dio, le immagini della Immacolata Concezione e del Bambino Gesù, dipinti da Pandolfi, mentre altre tre tele sono da attribuire a Giuseppe Oddi e a Giovanni Venanzi, discepoli rispettivamente di Carlo Maratta e di Simone Cantarini.

La cupa religiosità dell'oratorio è esaltata dai toni spenti, dalle immagini inquiete, dalla tensione compositiva affannata, dall'eccitazione coloristica adottati dall'anziano pittore.

 

 

Pandolfi Giovanni Giacomo

Nacque nel 1567 a Pesaro da Giovanni Antonio pittore di una certa fama, che aveva sposato la sorella del pittore Girolamo Danti. Il padre, anche se scomparso prematuramente, a Perugia nel 1580, avviò il figlio alla pittura. Pandolfi probabilmente successivamente frequentò la bottega di Taddeo e Federico Zuccari, che viene tradizionalmente considerato suo maestro. Nell'ultimo lustro di secolo ebbe diverse occasioni di lavoro: dalla tempera su muro con la Madonna e santi in S. Domenico (1596) alla tela con la Madonna della Cintola in S. Agostino e alle versioni gemelle dell'Ascensione per le chiese di S. Francesco e di S. Lucia (1600). Elementi "zuccareschi" e "barocceschi", congiunti a un'acuta resa dei dettagli di estrazione fiamminga,sono le caratteristiche della sua produzione negli anni dal 1600 al 1620: basti ricordare la Madonna della Misericordia del Municipio di Gradara (1611), la Madonna in gloria tra santi e il piccolo Federico Ubaldo della Rovere in S. Filippo Neri a Sant'Angelo in Vado (1614), la Madonna e santi in S. Caterina a Urbania (1615) e il san Carlo in S. Giovanni a Pesaro (1616). La sua opera più famosa adorna il soffitto dell'Oratorio del Nome di Dio a Pesaro, che fu realizzato dal 1617 al 1619. Il suo stile segue il manierismo emiliano, caratterizzato dallo sfumato dei colori e dai corpi umani dalle linee armoniche. Tra i suoi allievi si annoverano Simone Cantarini e Domenico Peruzzini. La sua morte è collocata poco dopo il 1636, anno in cui portò a termine la decorazione dell'Oratorio del Nome di Dio.