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PITTORI: Gino Brogi

Agostino e il bambino sulla spiaggia

Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

GINO BROGI

1950

Immagine da cartolina

 

Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

 

La scena ricorda un episodio leggendario relativo alla vita di Agostino, che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana. Secondo quanto racconta la leggenda Agostino, mentre passeggiava lungo una spiaggia riflettendo sul mistero della Trinità, incontrò un bambino che giocherellava con l'acqua. La scena descritta riprenderebbe un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

La leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149). Secondo Roland Kany [Il pensiero trinitario di Agostino] l'episodio, prima che fosse associato esclusivamente ad Agostino, venne utilizzato in modo simile anche con altri teologi. Secondo Kany il legame con Agostino fu creato dal canonico agostiniano Tommaso da Cantimpré intorno al 1260. La narrazione leggendaria si trova per la prima volta nel Catalogus Sanctorum del vescovo Petrus de Natalibus intorno al 1370 e successivamente divenne un elemento distintivo delle biografie agostiniane e degli episodi leggendari attribuiti al santo.

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità, in concomitanza con la diffusione del testo di un apocrifo in cui san Gerolamo discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino. In ogni caso la prima volta che si incontra questa leggenda applicata ad Agostino corre nell'anno 1263, dove viene citata nel Bonum universale de proprietatihus apum del domenicano belga Tommaso di Cantimpre, il quale ambientö la vicenda sulla spiaggia di Ippona, «in tempore quo beatus Augustinus librum de Trinitate composuit.»

 

L'episodio descritto in questa leggenda è abbastanza noto: Agostino, grande indagatore del mistero della Trinità, un giorno passeggiava per una spiaggia quando incontrò un bambino-angelo che con un secchiello prendeva dell'acqua di mare e la versava in una piccola cavità nella sabbia. Alla domanda del Santo su che cosa stesse facendo, il bambino avrebbe risposto che voleva porre tutto il mare dentro quel buco. Quando il Santo gli fece notare che ciò era impossibile, il bambino avrebbe replicato che così come non era possibile versare tutto il mare dentro la buca allo stesso modo era impossibile che i misteri di Dio e della SS. Trinità entrassero nella sua piccola testa di uomo.

Ciò detto sparì, lasciando il grande filosofo nell'angoscia più completa. Negli Acta Sanctorum Augusti, tomus VI, p. 357-358 pubblicati ad Anversa nel 1743, Johannes Stilting (1703-1762 ) scrisse un commento assai critico relativamente a questa tradizionale leggenda agiografica citando Petrus de Natalibus (1330-1406), Torelli e Ambrogio de Staibano (in Tempio eremitano de' santi e beati dell'Ordine Agostiniano del 1608): "Quando quidem res gestas S. Augustini antiquorum scriptis consignatas, usque ad beatam Sancti mortem prosecuti sumus, restat ut factam quaedam caeteram auctoritate carentia, et à posteribus solum relata scriptoribus, hoc loco examinemus, ut studiosus lector intelligat, quantam illa fidei mereantur.

Petrus de Natalibus Esquilinus episcopus in Catalogus Sanctorum et gestorum eorum lib. 7, cap. 128 (1369-1372) ad propositum nostrum habet sequentia: "Fertur de eo, quod cum librum de Trinitate compilare cogitasset, transiens juxta litus, vidit puerum, qui foveam parvam in litore fecerat, et cochlea aquam de mari haustam in foveam mittebat. Et cum Augustinus puerum interrogasset, quid faceret: respondit puer, quod mare disposuerat cochlea exsiccare, et in foveam illam mittere. Cumque hoc Augustinus Impossibile esse diceret, et simplicitatem pueri rideret: puer ilee ei dixit quod possibilius sibi esset hoc perficere, quam Augustino minimam partem mysteriorum Trinitatis in libro suo explicare, assimilans foveam codici, mare Trinitati, cochleam intellectui Augustini: quo dicto puer disparuit. Augustinus autem ex hoc se humiliavit, et librum de Trinitate, oratione præmissa, utcumque potuit, compilavit."

Idem refert Ambrosius Staibano in Templo Augustiniano cap. 8, citans plures medievii scriptores. Accedit Ludovicus Torellus in seculis Augustinianis Italice scriptis ad annum 388 num. 12 et 13, multique alii neoterici.

Verumtamen factum illud non solum difficultatem patitur ex antiquorum omnium scriptorum silentio, sed vel maxime suspectum redditur ex loco et tempore, quo istud volunt contigisse. Scribunt enim visionem Augustino oblatam ad litus maris Thusci prope Centumcellas, nunc Urbem Veterem, et vulgo Civita vecchia dictam.

Affirmat Torellus ibidem in ecclesia quadam legi haec verba: Sive viator et, sive inquilinus, Eremitarum venerare domum, venerare sacellum, ubi perfulgidum illud Ecclesiae Christi lumen Augustinus egregium Trinitatis Opus inchoavit, quod mirifico caelestis pueri, iuxta Bertaldi litus apparentis, oraculo intermissum in Aphrica tandem jam senez absolvit.

Eundem locum designat Velaterranus ibidem citatus, aliique, et sane inscriptio illa, quae styli non est medio aevo usitati satis infirmat, illam esse Augustinianorum opinionem. Tempus vero illud assignant, quo sancuts post conversionem suam in Italia mansit, et Torellus quidem eundem annum 388, quo in Africam est reversus. Volunt igitur Sanctum Augustinum paulo post conversionem suam, dum sacris Litteris minus adhuc erat imbutus, inchoasse libros difficillimos desublimi SS. Trinitatis mysterio, quod non minus à verosimilitudine recedit, quam alienum erat a modestia prudentiaque Augustini, qui felicite semper consideravit, quid ferre recusarent, quid valerent numeri.

Porrò Sanctum inchoasse libros de Trinitate jam episcopum, docet ordo, quem in scriptis suis retractandis servavit, cum lib. 2 non recenseat libros, nisi in episcopatu elaboratos; hos tamen ibidem collocet post alios multos cap. 15, non eo, quo absoluti sunt, ordine, sed quo inchoati. Quapropter considerare poteris studiosus lector, quid toti isti historiunculae de apparente puero fidei debeatur, cum antiquis omnibus incognita sit, suisque temporibus tam male divisa.

 

La scena immaginata da Brogi si struttura nel solco della tradizione iconografica. Agostino è vestito con il saio dei monaci che seguono la sua regola e si ferma per interrogare il bambino. Costui versa dell'acqua in una buca ma con l'indice della mano sinistra indica ad Agostino il cielo, dove risiede la Trinità con il suo mistero. Sullo sfondo si apre una rada marina con alcune barche da pesca. Il mare è calmo e l'orizzonte sereno. Tutto concorre a dare tranquillità all'incontro.

 

 

Gino Brogi

Nacque a Prato nel 1902. Assieme ad Arrigo del Rigo, Leonetto Tintori e Quinto Martini, Brogi è stato uno dei protagonisti della cosiddetta "Scuola di Prato", un movimento artistico che fu attivo nella città toscana negli anni dal 1920 al 1930. Brogi era noto soprattutto per il suo stile di tipo figurativo e realistico, che spaziava dalla pittura di paesaggi e nature morte alla rappresentazione di scene di vita quotidiana. Brogi nel corso della sua vita artistica ha partecipato a numerose mostre nazionali ed internazionali ricevendo ottimi riconoscimenti per il suo lavoro pittorico. Le sue opere sono presenti in diverse collezioni pubbliche e private. Morì a Prato nel 1989.