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Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa
DOMENEGHINI FRANCESCO
1910
Alzano Lombardo, Basilica Minore di san Martino di Tours
Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa
Francesco Domeneghini realizzò quest'opera che ritrae Sant'Agostino nel 1910. Si tratta di un dipinto murale che fa parte della decorazione pittorica realizzata nel 1910. l'autore usò come tecnica esecutivo la tempera su intonaco con metallo in lamina dorata. Si trova ancora in buono stato di conservazione.
Il santo è raffigurato a mezzo busto con i paramenti episcopali: con la mano destra regge il bastone pastorale, mentre con la sinistra, portata al petto sul cuore, evidenzia lo stato di spiritualità che emana dal suo viso e dal suo sguardo.
il santo indossa una strana mitra a sfera, mentre un'aureola gli cinge il capo. Una folta barba castana gli copre il viso il cui sguardo si volge estaticamente verso un punto oltre la raffigurazione.
Agostino viene frequentemente raffigurato nelle sue vesti di vescovo e di Dottore della Chiesa. Spesso Agostino è associato ad altri santi e soprattutto agli altri tre Dottori Gerolamo, Ambrogio e San Gregorio Magno. Con questi ultimi fu praticamente raffigurato in tutte le chiese cristiane d'Occidente sui piloni o sulle volte del presbiterio e della navata centrale. Appare vestito sia da vescovo che da monaco che da canonico; talvolta ha una chiesa in mano, altre volte un libro, una penna o un cuore. Il significato di questo tema iconografico è chiarissimo: Agostino è stato uno dei vescovi che ha maggiormente difeso la Chiesa in tutti i suoi scritti e soprattutto con tutta la sua anima e il suo cuore.
Il primo a parlare di Agostino come Dottore della Chiesa fu Beda il Venerabile che lo elencò assieme ai santi Gerolamo, Ambrogio e Gregorio papa in un suo scritto dell'VIII secolo. Questo elenco fu approvato il 24 settembre 1294 con lettera di conferma liturgica di papa Bonifacio VIII stilata ad Anagni.
Francesco Domeneghini
Nacque a Breno nel bresciano nel 1860. Garzone in una forneria, si dedicò successivamente all'arte frequentando il pittore bergamasco Giuseppe Rota, che dipingeva in alcune case signorili. Nel 1876 lo segui a Bergamo, crescendo alla sua scuola ed a quella di E. Scuri. Probabilmente conobbe anche Antonio Guadagnini. Dopo il servizio militare a Milano, Domeneghini si trasferì a Roma nel 1885 per studiare alla Scuola del costume. Nel 1888 migrò in Sudamerica, avviando una fertilissima attività decorativa a Buenos Aires ed in Argentina risiederà fino al 1896.
Il periodo latino-americano è documentato da un Diario dove l'artista annotò i lavori eseguiti, che tuttavia sono andati in gran parte distrutti. Tra i più importanti, tutti a Buenos Aires, ricordiamo la decorazione del teatro Colón e quella delle abitazioni di uomini politici, quali J. E. Uriburo (1889) e M. Quintana (1891). Lavorò anche nel teatro Odeon, nel salone della facoltà di medicina, nell'albergo Americano, nella chiesa della Racoleta, nella cappella mortuaria Uriburo al cimitero della Racoleta, nel palazzo Lagarretta (1893). Tornato in Italia, si stabili nel 1897 a Bergamo, presso l'istituto "A. Fantoni", dove insegnerà a lungo. A Bergamo privilegiò l'attività di frescante con una estesa attività per palazzi privati e per le chiese del Bresciano e del Bergamasco. Questa produzione mostra le sue grandi capacità tecniche, la tenacia operativa, una certa indulgenza all'agiografia oleografica. Non va d'altra parte sottovalutato il bagaglio tecnico che spesso aiutò l'artista nell'affrontare le vastissime superfici da dipingere. Talvolta la varietà stilistica e ideale lo portava ad abbandonare l'ispirazione settecentesca per un più marcato richiamo a certe durezze gotiche (conventino di Bergamo). Interessanti sono pure le sue decorazioni per alcune residenze private: la sala di villa Gregorini a Lovere è un capolavoro decorativo capace di creare atmosfere di magica suggestione. Si dedicò anche ad una produzione piuttosto vasta di paesaggi, vedute cittadine, ritratti, presenti oggi in collezioni bresciane e bergamasche. Morì a Bergamo nel 1950, lasciando alla cittadina di Breno la propria collezione di tele di artisti bergamaschi dal XVI al XVIII secolo.