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Agostino e sua madre Monica
OTT FRERES
1900
Mutzig, chiesa di san Maurizio
Agostino e sua madre Monica: l'estasi di Ostia
Fra le vetrate del transetto della chiesa, si trova questa scena che raffigura Monica ed Agostino. Monica è seduta e con la mano sinistra si attacca alla mano sinistra di Agostino. Il santo è ritto in piedi, vestito con una elegante tonaca. Il suo volto ha un aspetto giovanile. Il capo è avvolto dal nimbo dei santi. Anche Monica ha la testa, coperta da un velo, raccolta in un nimbo color rosso vivo. Con la mano destra sembra voler indicare qualche cosa al figlio Agostino.
La scena non ha uno sfondo particolare che possa individuare qualche elemento che ci permette di collocare con certezza questo incontro tra Madre e figlio nello spazio e nel tempo.
E' alquanto verosimile che l'immagine realizzata nella vetrata voglia ricorda l'episodio dell'estasi Ostia narrata da Agostino nelle Confessioni e che vede protagonisti proprio Agostino e la madre Monica.
Questa come altre vetrate del transetto, è stata realizzata dai disegnatori e produttori alsaziani di vetrate della azienda Ott. Lavorarono in questa fabbrica Isidoro Ott, i suoi figli, e i suoi fratelli, Hippolito (nato nel 1865 e morto nel 1917) e Henri Ott (nato nel 1874 e morto nel 1945).
Alcune delle pagine più belle delle Confessioni sono dedicate da Agostino al commosso ricordo della madre Monica. In particolare, è rimasto famoso l'episodio della cosiddetta "estasi di Ostia", un'esperienza mistica che i due ebbero a Ostia Tiberina nel 387, a breve distanza dal battesimo di Agostino e pochi giorni prima dell'ultima malattia di Monica. Risalendo di contemplazione in contemplazione dalle cose create alla divina Sapienza creatrice, madre e figlio pregustano la gioia del paradiso. Nel viaggio di ritorno da Milano dopo il 387 Agostino e Monica soggiornarono a Ostia in attesa di potersi imbarcare per l'Africa. In questa città Monica trovò la morte, ma prima di morire Agostino ricorda un fatto curioso che li vide protagonisti: un'estasi platonica.
10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.
- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?
- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"
AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25
La chiesa di san Maurizio a Mutzig è caratteristica per l'alta guglia che la contraddistingue: si tratta tuttavia di una costruzione neo-gotica di fine Ottocento per quanto cerchi di imitare abbastanza fedelmente i modelli più antichi.
Sorge sul sito di un precedente edificio romanico del XII secolo.
L'attuale chiesa fu costruita nel periodo 1879-1880 quando era parroco il pastore Hasselmann su progetto dell'architetto Charles Winkler. Presenta una icnografia a tre navate con transetto con due cappelle laterali e un coro pentagonale. Il campanile è alto 72 metri ed è il più elevato della valle di Bruche. All'interno l'arredamento è in stile neogotico (fine del XIX secolo), progettato principalmente dalle officine Klem di Colmar tra il 1884 e il 1900.
Oltre al mobilio notevoli sono anche l'altare e le vetrate tutto in un omogeneo stile neo-gotico.
Ott Frères
La società di Strasburgo "Ott Frères" fu attiva tra il 1850 e il 1950 ed era formata da pittori e decoratori (Kunstmaler) e pittori del vetro (Glasmaler). La loro produzione ha segnato la loro epoca. Era senza dubbio la più antica e fruttuosa azienda di vetrate alsaziane assieme ai grandi vetrai alsaziani Werlé, Heitzmann e Ruhlmann.
La prima generazione è composta dai fratelli Joseph Hippolyte Ott (1825-1893) e Antoine Jerome Isidore Ott (1834-1908), entrambi figli di Joseph Ott e Jeanne Vilvot. La seconda generazione, più famosa, che rese celebre l'azienda, è formata dai fratelli Léon Théodore Ott (1865-1917), e Henri Isidore Ott (1874-1945), entrambi figli del pittore del vetro Antoine Jerome Isidore Ott e Marie Louise Lichtenberger.