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Agostino confuta l'eretico Fausto
ANTONIO CATENAZZI
1774-1830
San Sisinio, chiesa parrocchiale
Agostino confuta l'eretico Fausto
L'opera di Catenazzi si trova nella chiesa di San Sisinio nella vallata trentina. L'episodio narrato dal pittore è semplice nella sua struttura compositiva con al centro i due contendenti, Agostino e Fausto: l'ambiente tuttavia è molto scenografico con un gran numero di persone che assiste alla disputa. Agostino se ne sta seduto nel proprio seggio episcopale ed ha davanti a sé un tavolo dove è appoggiato un libro aperto: con la mano sinistra indica un passo del libro mentre con la destra leva alto al cielo l'indice a indicare il senso del testo. Fausto, in piedi, si rivolge energicamente a lui e sembra voler rispondere a quanto afferma Agostino. Agostino indossa i vestiti episcopali, l'atteggiamento è fortemente determinato e dietro lui una folla di chierici lo segue attentamente e sostiene il suo parlare.
Il grande bastone pastorale si leva alto nella scena, simbolo efficace della forza della Chiesa. All'opposto, sempre in piedi, altre persone, seguaci di Fausto, sembrano voler intervenire nella discussione con l'agitazione delle mani e delle braccia. L'ampia fascia nera centrale introduce una straordinaria dicotomia scenica dove la luce si espande da destra, dove sta assiso Agostino, verso sinistra, dove, nell'ombra agiscono gli eretici. I dipinti di Antonio Catenazzi, pittore mendrisiense, si caratterizzano per le figure mosse che sono colte in svariate posizioni rese con fresca naturalezza e sapienza anatomica. Il risultato è una viva animazione, incrementata, come ha osservato Giuseppe Martinola, "da effetti chiaroscurali ancora di influenza seicentesca". Il suo è uno stile plastico.
Agostino nella sua gioventù conobbe il vescovo manicheo Fausto. In Conf. 5, 3, 3 lo definisce un gran lacciuolo del diavolo, in cui si lasciava impigliare molta gente ammaliata dalla dolce favella. A Cartagine attende con ansia e desiderio l'arrivo di Fausto per nove anni ma non trova in lui quanto cercava. Fausto disattende le sue aspettative e con lui muoiono in Agostino i legami con il mondo manicheo.
E parlerò al cospetto del mio Dio di quell'anno, il mio ventinovesimo. Era arrivato a Cartagine un vescovo manicheo di nome Fausto, gran laccio del demonio: molti vi incappavano, attratti dalla soavità del suo eloquio. E anch'io la ammiravo, distinguendola però dalla verità sostanziale, che ero avido di apprendere: perciò non badavo al recipiente del suo ragionamento ma al contenuto di conoscenza che quel Fausto, di cui parlavano tanto i suoi seguaci, aveva da offrire alla mia fame. La sua fama lo annunciava come uomo assai esperto negli studi letterari e dottissimo nelle discipline liberali.
E poiché avevo letto molte pagine dei filosofi e le avevo imparate a memoria, ne confrontavo qualcuna con le lunghe favole dei manichei, e mi pareva più plausibile, il pensiero di quelli che furono capaci di calcolare il corso del mondo, anche se non di trovare il suo Signore. Perché sei grande, Signore, e posi lo sguardo sulle cose vicine alla terra, e quelle eccelse le osservi da lontano, e non ti avvicini che a un cuore avvilito e dai superbi non ti fai trovare, neppure se la loro avida scienza sa contare le stelle e i grani della sabbia e misurar gli spazi siderali e investigare le strade degli astri.
AGOSTINO, Confessioni 5, 3, 3
1. Ci fu un certo Fausto di stirpe africana, cittadino di Milevi, piacevole nel conversare, avveduto per natura, seguace della setta manichea e, per conseguenza, corrotto da un nefando errore. Ho conosciuto di persona quest'uomo, come ricordo nei libri delle mie Confessioni. Costui pubblicò un volume contro la retta fede cristiana e la verità cattolica. Il volume giunse nelle mie mani e fu letto dai fratelli. Questi a loro volta espressero il desiderio e insistettero, per il diritto derivante loro dall'amore che mi lega al loro servizio, perché fornissi una mia risposta. Mi accingo pertanto a quest'impresa nel nome e con l'aiuto del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo in modo che tutti coloro che leggeranno si rendano conto che non hanno nessun valore un ingegno acuto ed un eloquio fluente se i passi dell'uomo non sono guidati dal Signore. Questo privilegio fu concesso a molti, benché tardi e deboli d'ingegno, grazie ad un segreto atto di amore da parte della provvidenza divina, mentre molti altri, forniti d'acutezza d'ingegno e di abilità oratoria, ma abbandonati dall'aiuto divino, si volsero verso questo errore con prontezza e pertinacia allontanandosi per largo tratto dalla via della verità. Ritengo quindi utile riportare a nome di Fausto le sue precise parole e a nome mio la mia risposta.
AGOSTINO, Contro Fausto Manicheo 1, 1