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PITTORI: Stefano Montanari

Ancona dell'altare con la pala della chiesa di S. Agostino e Cesena con i santi Agostino, Giovanni Evangelista e Severo vescovo

Ancona dell'altare con la pala della chiesa di S. Agostino e Cesena

con i santi Agostino, Giovanni Evangelista e Severo vescovo

 

 

STEFANO MONTANARI

1844

Cesena, chiesa di sant'Agostino

 

Agostino, Giovanni Evangelista e Severo vescovo

 

 

 

L'ancona d'altare, opera di Maurizio Giabani, propone un dipinto con i santi Agostino, Giovanni Evangelista e Severo vescovo realizzato nel 1844 da don Stefano Montanari. Dello stesso autore è noto un altro quadro nella chiesa di san Lorenzo a Sogliano al Rubicone, posto sull'altare maggiore e realizzato su commissionato da don Mariani nel 1818. Questo quadro raffigura san Lorenzo portato in gloria dagli angeli, che lascia a terra gli strumenti del suo martirio, il fuoco e la graticola.

L'ancona è completata al livello superiore da due angeli realizzati da Francesco Calligari, il massimo scultore cesenate del tardo Settecento. In alto è possibile osservare nella cornice una copia fotografica dell'Annunciazione di Girolamo Genga (1516-1518). L'originale è esposto presso il Museo della Cattedrale e costituisce una sezione di una grandiosa e oggi smembrata Disputa sull'Immacolata Concezione (1516-1518), la cui espressione artistica più importante si trova alla Pinacoteca di Brera a Milano.

L'opera di don Stefano Montanari si sviluppa su due piani: quello superiore è occupato dalla figura di san Giovanni evangelista che dispiega le braccia in atto di scrivere. Nella fascia inferiore siedono il vescovo Severo ed Agostino. Attorno ai tre santi si muovo degli angioletti.

La presenza di sant'Agostino in questa tela è da ricollegare alla tradizionale devozione verso il santo che si sviluppa in località Santa Maria del Butriolo con la predicazione di S. Giovanni Bono. Con lui sorse intorno al 1208 un convento di Giamboniti che seguivano la regola di S. Agostino. I frati si trasferirono in città dove fecero costruire una prima chiesa. Agli inizi del Quattrocento l'edificio venne completamente ricostruito e nuovamente modificato nel 1457, per volontà di Violante da Montefeltro, moglie di Novello. Tra il 1516 e il 1518 il pittore urbinate Girolamo Genga, seguace di Raffaello, giunge dai frati agostiniani per realizzare una colossale Disputa sull'Immacolata Concezione, di cui oggi resta a Cesena la sola Annunciazione. Nel 1748 i monaci decidono di ristruttura il complesso che assume l'aspetto attuale. Rotto l'accordo con G. A. Landi, il nuovo progettista è Luigi Vanvitelli che avvia i lavori nel 1752, per concluderli nel 1763. Fu ristrutturato anche il convento su progetto di N. Fagioli e supervisione di Azzolini. Nel 1777, dopo 25 anni di lavori, la chiesa fu infine consacrata. Per effetto delle soppressioni napoleoniche il convento scomparve e la chiesa divenne parrocchiale. Attualmente è stata incorporata nella Parrocchia del Duomo. La facciata è incompiuta mentre l'interno si presenta a pianta longitudinale, con tre cappelle per lato.

 

Figlio di Zebedeo e Salomè, Giovanni è fratello dell'apostolo Giacomo il Maggiore. Giovanni prima di seguire Gesù era discepolo di Giovanni Battista. I vangeli gli attribuiscono un ruolo speciale all'interno della cerchia dei dodici apostoli. Il luogo e la data di nascita non ci sono noti. La tradizione successiva che lo indica come il più giovane degli apostoli, o meglio come l'unico di questi morto in tardissima età.

La vocazione di Giovanni da parte di Gesù è esplicitamente narrata dai tre vangeli sinottici. Matteo (4,21-22) e Marco (1,19-20) ne forniscono un sobrio resoconto: i due fratelli Giovanni e Giacomo vengono chiamati da Gesù "presso il Mare di Galilea" mentre sono sulla barca col padre Zebedeo, intenti a riparare le reti da pesca.

In At. 3,1-11 viene descritto il miracolo della guarigione di un uomo storpio dalla nascita, compiuto da Pietro e Giovanni presso la porta "bella" del tempio di Gerusalemme. La grande risonanza che il fatto ebbe portò all'arresto dei due apostoli che furono fatti comparire davanti al Sinedrio. Il consiglio però non li punì e li lasciò liberi (At. 4,1-21).