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PITTORI: Antoniazzo Romano

Agostino, Monica e santi tavola nella chiesa di sant'Agostino a Narni

Agostino, Monica e santi

 

 

ANTONIAZZO ROMANO

1460-1510

Narni, chiesa di sant'Agostino

 

Agostino, Monica e santi agostiniani

 

 

 

La pala con predella dipinta a tempera del primo altare a destra è un'opera di Antoniazzo Romano e raffigura i santi Agostino e Monica, Andrea e san Nicola da Tolentino.

L'artista vi ha raffigurato Agostino in piedi con alle spalle l'immagine del suo straordinario discepolo Nicola da Tolentino. Agostino ha un viso dallo sguardo penetrante con una espressione pacata che gli deriva dalla maturità degli anni. Indossa la cocolla nera degli agostiniani, esattamente come Nicola a rimarcare la sua appartenenza all'ordine dei monaci agostiniani medioevali. Sopra la cocolla indossa il piviale con gli attributi vescovili, la mitra e il bastone pastorale. Le mani sono ingentilite dalla presenza di guanti bianchi. Con la mano sinistra il santo regge in libro chiuso dalla copertina rossa.

 

La leggenda della sua vita rappresentata da un ignoto pittore giottesco detto Maestro della Cappella di San Nicola, narra come i suoi genitori, ormai anziani, si fossero recati a Bari su consiglio di un angelo in pellegrinaggio alla tomba di san Nicola di Mira, per avere la grazia di un figlio. Ritornati a Sant'Angelo ebbero il figlio desiderato e, ritenendo di aver ricevuto la grazia richiesta, lo chiamarono Nicola. Il giovane Nicola entrò nell'Ordine degli Eremitani di Sant'Agostino.

Fece la sua professione religiosa (voti solenni) a meno di diciannove anni. Nel 1269 fu ordinato sacerdote. Dopo la sua ordinazione, predicò soprattutto a Tolentino, dove fu trasferito intorno al 1275. Nel convento di Sant'Agostino di Tolentino rimase fino alla sua morte nel 1305.

Celebri sin dal Medioevo sono i cosiddetti "panini miracolosi" di san Nicola, che servirono anche per la raccolta di farina da parte dei fedeli che si recavano al santuario e che dettero nome anche alla compagnia cerretana degli "affarinati", citata anche dal vescovo urbinate Teseo Pini nel suo Speculum Cerretanorum. Viene ricordato il 10 settembre.

La sua tomba, a Tolentino, è conservata con venerazione dai fedeli.

Il celebre santo marchigiano ha una propria amplissima iconografia, che ne trattano la vita e i miracoli. A Tolentino sorge la più bella e grande Basilica in suo onore. In diverse rappresentazioni Nicola viene raffigurato assieme ad Agostino, di cui fervente seguace sin dalla gioventù, quando indossò la tonaca nera degli agostiniani nel Trecento. Fu un asceta rigidissimo con se stesso e dolce e comprensivo con i poveri, i bisognosi e gli ammalati. Grande confessore, fu pieno di umana compassione per ogni tipo di miseria. L'incondizionata obbedienza, il distacco completo dai beni terreni, l'umiltà e la modestia furono costanti della sua vita.

Intorno a lui c'è sempre un'aura di prodigio, che comincia dalla nascita, avvenuta quando i genitori parevano destinati a non avere figli. Nel processo per la canonizzazione, aperto vent'anni dopo la sua morte, 371 testimoni verranno a parlare dei suoi moltissimi miracoli. Sappiamo inoltre che Nicola è anche un maestro di rigore ascetico, cioè di severità con sé stesso. Un insieme di elementi certo eccezionali, ma piuttosto staccati dal vivere comune della gente, incapace di miracoli e non ghiottissima di penitenza. Invece Nicola - a dispetto delle controindicazioni - è un santo sempre popolarissimo proprio tra la gente comune, di secolo in secolo: è l'amico dei giorni feriali, che viene in casa portando la festa.

 

La predella del dipinto raffigura il martirio di S. Andrea, la flagellazione di Gesù, il viaggio al Calvario e il Battesimo di S. Agostino; questa armonia nella composizione ne fanno un gioiello d'arte. L'opera è conservata nella chiesa di sant'Agostino a Narni.

 

Antoniazzo Romano

Nato in realtà come Antonio di Benedetto Aquilio degli Aquili, Antoniazzo è stato un pittore attivo a Roma e nel Lazio nel periodo che va dal 1460 al 1510 e fu uno dei pittori principali della scuola romana del Rinascimento. Antoniazzo fu influenzato all'inizio della sua carriera dal Beato Angelico, da Benozzo Gozzoli e soprattutto da Piero della Francesca e da Melozzo da Forlì. Probabilmente tra il 1464 e il 1465 collaborò a Roma con Melozzo da Forlì alla decorazione a fresco della cappella Bessarione nella Basilica dei Santi Apostoli. Fra il 1480 e il 1482 lavorò con il Perugino nella Cappella Sistina. Il periodo più proficuo e noto della sua attività pittorica si svolge tra il 1475 e il 1490 soprattutto a Roma: molto apprezzata in questo arco di tempo è la Madonna di papa Leone IX datata 1475 e oggi conservata alla National Gallery di Dublino. In quello stesso anno Antoniazzo operò anche in Vaticano con Domenico Ghirlandaio e poi con Melozzo da Forlì. Importanti furono i contatti che ebbe con pittori di Viterbo (certamente con Lorenzo da Viterbo e Antonio del Massaro da Viterbo, detto il Pastura) e dell'alto Lazio. L'ultima opera datata è la pala di Santa Maria del Prato a Campagnano (1497), di cui si conserva solo un frammento al Museo Civico di Viterbo.

 

Consapevole della centralità della croce nel disegno salvifico di Dio sull'umanità e della straordinaria molteplicità di rimandi ad essa nell'Antico e nel Nuovo Testamento, Agostino si impegna nella sua interpretazione e meditazione lungo tutto l'arco della vita come confermano i numerosi riferimenti alla croce di Cristo, disseminati in tutta l'ampia produzione dell'Ipponate. Ciò che Agostino intende evidenziare è che la scelta di Gesù di portare la croce sulla quale verrà messo a morte è una lucida indicazione su cosa debba significare la vita cristiana. I credenti sono esortati in tal modo a seguire l'esempio del Maestro.

«La croce tiene insieme lo scandalo e la salvezza, la fine e l'inizio, perché in essa si compie qualcosa di assolutamente e radicalmente nuovo: sul legno, Cristo ci istruisce sul significato della nostra vita presente e futura, perché è con la sua morte che Egli ha vinto per noi la morte».

 

Tu stesso ci avevi folgorati con le frecce del tuo amore, e portavamo conficcati nel ventre gli arpioni delle tue parole e gli esempi dei tuoi servi, che da oscuri avevi reso splendidi e da morti, viventi. Bruciavano ammassati nel fondo della mente divorando la sua pesantezza e il torpore, per impedirci di scendere in basso, ed era un tale incendio che tutto il fiato soffiatoci contro dalle subdole lingue l'avrebbe ravvivato, non estinto.

AGOSTINO, Confessioni, 9, 2, 3