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Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Quattrocento: Maestro avignonesePITTORI: Maestro avignonese
Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa
MAESTRO AVIGNONESE
1470
Parigi, Museo del Louvre
Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa
Il dipinto che raffigura sant'Agostino appartiene a una pala dove sono presenti anche i santi Ambrogio e Gerolamo. La pala in effetti è nota sotto la denominazione di pala dei santi Ambrogio, Gerolamo ed Agostino. Non è conosciuto il nome del suo autore, che comunque appartiene all'orizzonte culturale francese della regione provenzale e più in particolare alla cosiddetta Scuola di Avignone.
La pala venne realizzata sul finire del Quattrocento, probabilmente nell'anno 1470 con la tecnica della pittura a olio su tavola di legno di quercia. Misura 163,5 cm in altezza e 135 in larghezza.
Agostino è stato raffigurato a figura intera e di fronte. Indossa i paramenti episcopali con in testa una semplice e d elegante mitra. Con il braccio destro trattiene il suo bastone pastorale, mentre con la mano mostra di rivolgere la sua attenzione alla lettura di un libro aperto appoggiato sul palmo della mano sinistra. Lo sfondo è piuttosto semplice ed il pavimento si presenta a piastrelle quadrate di colore alternato a scacchiera.
L'opera fu acquisita dal Dipartimento dei dipinti del Museo del Louvre nel 1932. In precedenza appartenne al Conte Demandolx-Dedons.
La scuola pittorica di Avignone si sviluppa nel periodo di contatto con il gotico d'oltralpe, tra il 1330 e il 1370. Vari pittori toscani e senesi in particolare vennero chiamati dai papi, per portare presso la corte pontificia le innovazioni della pittura italiana. Verso il 1336 ad Avignone, dove morirà nel 1344, giunge, insieme al fratello Donato, Simone Martini. L'attività del pittore senese propone un nuovo interesse naturalistico con la predilezione per la ritrattistica e la tendenza alla rappresentazione narrativa e umanizzata del sacro. La schiera di collaboratori e seguaci di Simone continuerà in questa direzione. Le pareti del palazzo papale vengono coperte di tralci di vite e di quercia per simulare un pergolato, mentre nei vani delle finestre sono dipinte finte logge aperte con gabbie di uccelli in prospettiva. Questa ricerca di illusionismo spaziale rivela l'intervento di pittori senesi della seconda metà del Trecento. Negli anni successivi Matteo Giovannetti, coadiuvato da una folto gruppo di pittori francesi e italiani, decora gran parte del palazzo dei papi. Di questa imponente attività rimangono solo gli affreschi delle cappelle di S. Marziale, di S. Giovanni e di parte della Sala dell'Udienza. In questi cicli Matteo Giovannetti elabora uno stile nuovo e complesso, che non si può più ricondurre solo ai toscani, ma che può ormai definirsi pienamente “avignonese”. Il linguaggio senese, al contatto con la cultura gotica d'oltralpe, si è trasformato in uno stile più vivace, rielaborato con una grande libertà compositiva, dove prevale il gusto fastoso dei costumi e un vivace realismo nei ritratti. Mentre a Siena e a Firenze la pittura perde lo slancio e si adagia nel manierismo, ad Avignone le più alte espressioni della pittura toscana si evolvono in continuazione nell'arte del gotico internazionale. La scuola di Avignone non solo avrà nel Trecento un'influenza diretta in Francia, Catalogna e Boemia, ma pure costituirà un punto di riferimento fondamentale per gli sviluppi successivi della pittura europea.
Col termine di Scuola di Avignone si intende talvolta anche la pittura tardo gotica di derivazione francese relativa a Jacques Iverny attivo nel periodo 1411-1438), cui segue il successivo rinascimento provenzale dal 1440 circa fino al 1500.
8. 1. Ma il beato Valerio, ormai vecchio, che più degli altri esultava e rendeva grazie a Dio per avergli concesso quello speciale beneficio, considerando quale sia l'animo umano, cominciò a temere che Agostino fosse richiesto come vescovo da qualche altra chiesa rimasta priva di pastore, e così gli fosse tolto. E ciò sarebbe già accaduto, se il vescovo, che era venuto a sapere la cosa, non lo avesse fatto trasferire in un luogo nascosto, sì che quelli che lo cercavano non riuscirono a trovarlo.
8. 2. Il santo vecchio, vieppiù timoroso e ben consapevole di essere ormai molto indebolito per le condizioni del corpo e per l'età, scrisse in modo riservato al primate di Africa, il vescovo di Cartagine: faceva presente la debolezza del corpo e il peso degli anni e chiedeva che Agostino fosse ordinato vescovo della chiesa d'Ippona, sì da essere non tanto suo successore sulla cattedra bensì vescovo insieme con lui. Di risposta ottenne ciò che desiderava e chiedeva insistentemente.
8. 3. Qualche tempo dopo, essendo venuto Megalio, vescovo di Calama e allora primate della Numidia, per visitare dietro sua richiesta la chiesa d'Ippona, Valerio, senza che alcuno se l'aspettasse, presenta la sua intenzione ai vescovi che allora si trovavano lì per caso, a tutto il clero d'Ippona ed a tutto il popolo. Tutti si rallegrarono per quanto avevano udito e a gran voce e col massimo entusiasmo chiesero che la cosa fosse messa subito in atto: invece il prete Agostino rifiutava di ricevere l'episcopato contro il costume della chiesa, mentre era ancora vivo il suo vescovo.
8. 4. Allora tutti si dettero a persuaderlo, dicendo che quel modo di procedere era d'uso comune e richiamando esempi di chiese africane e d'oltremare a lui che di tutto ciò era all'oscuro: infine, pressato e costretto, Agostino acconsentì e ricevette l'ordinazione alla dignità maggiore.
8. 5. Successivamente egli affermò a voce e scrisse che non avrebbe dovuto essere ordinato mentre era vivo il suo vescovo, perché questo era vietato dalla deliberazione di un concilio ecumenico, che egli aveva appreso soltanto dopo essere stato ordinato: perciò non volle che fosse fatto ad altri ciò che si doleva essere stato fatto a lui.
8. 6. Di conseguenza si adoperò perché da concili episcopali fosse deliberato che coloro che ordinavano dovevano far conoscere a coloro che dovevano essere ordinati o anche erano stati ordinati tutte le deliberazioni episcopali: e così fu fatto.
POSSIDIO, Vita di Agostino, 8, 1-6