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PITTORI: Birago Giovan Pietro

Il mistero della Trinità: sant'Agostino e il bambino sulla spiaggia

Il mistero della Trinità: sant'Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

BIRAGO GIOVAN PIETRO

1486-1495

Londra, British Library, Libro delle Ore Sforza (Add. MS. 3429)

 

Sant'Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

 

Il dipinto si trova in un foglio del cosiddetto Libro delle Ore di Bona Sforza. Raffigura un celebre episodio leggendario che riguarda Agostino e il suo desiderio di conoscere il mistero della Trinità. In riva al mare un fanciullo con una sferzante battuta gli fa capire quanto sia impossibile all'uomo comprendere la condizione divina trinitaria che resta un mistero.

In un paesaggio di gusto quattrocentesco, fra colline e ampi spazi marini, i due personaggi, Agostino e il bambino, si confrontano l'un l'altro, mentre in alto nel cielo appare la Trinità con il padre che regge la croce cui è appeso il Figlio.

L'opera indica il grado di bellezza e perfezione artistica che era stata raggiunta alla corte milanese degli Sforza nell'ultimo ventennio del 1400, quando venne commissionato il piccolo volume manoscritto che contiene questa immagine, riccamente illustrato con miniature dorate luminose di colori.

Composto di 698 fogli e scritto in scrittura gotica, il libro contiene testi ad uso devozionale privato, ricco di preghiere, salmi, uffici speciali ed altri testi a carattere religioso. Fu Bona di Savoia, moglie di Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano dal 1466 al 1476, e madre di Gian Galeazzo, Duca dal 1476 al 1494, a commissionarlo al pittore di corte Giovan Pietro Birago, di cui abbiamo notizie tra il 1471 e il 1513. Birago vi lavorò nel periodo frs il 1486 e il 1495. Nello stile del Birago, attivo a Venezia prima di trasferirsi alla corte degli Sforza, ritroviamo le intuizioni stilistiche dei maggiori artisti dell'epoca, quali Mantegna e Leonardo, che Birago conobbe dato che erano al servizio dei signori di Milano. Birago seppe comunque mantenere un proprio stile limpido nella eleganza e nel rigore.

Birago era un pittore apprezzato e stimato. Come afferma in una sua lettera, per quest'opera fu pagato ben 500 scudi. Il destino del libro seguì le vicende di Bona di Savoia. Alla morte del figlio Bona tornò in patria ospite di suo nipote Filiberto II che, alla sua morte nel 1503, ereditò il manoscritto ancora incompiuto. L'anno successivo morì Filiberto e il prezioso codice fu portato nel 1506 da sua moglie Margherita d'Austria in Olanda dove avrebbe dovuto svolgere il compito di reggente del giovane nipote Carlo. Promotrice del Rinascimento del nord Europa, Margherita volle completare il manoscritto e affidò l'incarico a Gerard Horenbout (1517 ca.-1520), un famoso miniaturista della corte degli Asburgo. Horenbout decise di seguire lo stile di Birago. Nel 1519, il nipote di Margherita Carlo V salì al soglio imperiale del Sacro Romano Impero. Probabilmente il Libro d'Ore entrò a far parte della biblioteca del neo imperatore. Perse le tracce, del manoscritto se ne ha notizia solo nel 1871 quando il curatore inglese Sir J. C. Robinson lo acquistò da un Grande di Spagna. Tornato in patria lo cedette ad un ricco collezionista, John Malcom di Potalloch, che nel 1893 lo lasciò alla British Library, dove è tutt'ora, inventariato come Add. Ms. (Additional Manuscript) 34294. Alcuni fogli dei fascicoli rubati al Birago sono poi stati ritrovati, ed oggi sono conservati a Londra e a New York.

 

La leggenda descritta nel dipinto di Birago è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

Questa leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.

 

 

Birago Giovanni Pietro

Pittore di corte, Giovan Pietro Birago lavorò tra il 1486 e il 1495 al libro delle Ore di Bona Sforza, da cui il titolo di "Maestro del libro d'orazioni di Bona Sforza di Savoia", o anche di "Pseudo Antonio da Monza". Nello stile del Birago, attivo nella città di Venezia prima di lavorare alla corte degli Sforza, emergono le sensibilità dei maggiori artisti dell'epoca, quali Mantegna e Leonardo, che Birago conobbe quando fu al servizio dei signori di Milano. La sua arte tuttavia seppe mantenere una cifra stilistica propria, di grande eleganza e rigore.

Questo miniatore lombardo, dopo Cristoforo de Predis con cui collaborò, godette dei favori sia di Bona Sforza chea di Ludovico il Moro. Alcuni documenti scoperti dagli storici lo definiscono "cappellanus et pictore": egli era pertanto un ecclesiastico, che al servizio di Bona Sforza realizzò un "officiolo" che va certamente identiticato con il libro d'ore della duchessa che, riccamente dipinto, costituisce il suo capolavoro.