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PITTORI: Maestro Francois

Sant'Agostino e Simpliciano miniatura quattrocentesca di Maestro Francois

Sant'Agostino e Simpliciano

 

 

MAESTRO FRANCOIS

1475-1480

Parigi, Biblioteca Nazionale, ms De Civitate Dei

 

Sant'Agostino e Simpliciano discutono della Trinità

 

 

 

Questa miniatura si riferisce ad un codice della Città di Dio che si conserva alla Biblioteca Nazionale di Parigi. Il manoscritto venne miniato da Maître François fra il 1475 e il 1480. In questa occasione l'artista ha raffigurato la discussione che si accende fra Agostino e Simpliciano da Milano, il dotto mentore di sant'Ambrogio e suo successore sulla cattedra episcopale della città meneghina nel IV secolo in piena età tardo imperiale.

Agostino viene qui raffigurato in due circostanze: a sinistra sta discutendo con Simpliciano con un libro aperto fra le mani. Con la mano sinistra alzata verso il cielo sta indicando la Trinità che appare in alto in trono in una specie di mandorla.

Accanto a lui un dimesso Simpliciano, in poveri abiti monacali, volge lo sguardo verso il cielo raccogliendo l'invito di Agostino.

A destra Agostino è inginocchiato in una camera aperta e volge sempre lo sguardo, mentre sta pregando, verso il cielo dove si intravede la Trinità in trono.

Il suo studiolo è arredato con semplicità: un panca, un leggio e un libro. In entrambe le due scene Agostino è vestito da vescovo con la mitra in testa e un dignitoso paramento episcopale.

Sullo sfondo si osservano alti edifici di una città turrita difesa da alte mura in mezzo alla campagna con alberi di alto fusto.

Lo scopo del De Trinitate è rendere ragione, per quanto è possibile, del fatto che la Trinità è un solo Dio e che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola e medesima sostanza. I libri I-IV intendono innanzitutto mostrare che questo è il contenuto della fede nella Trinità, sulla base dell'autorità delle Scritture. I libri V-VII quindi formulano il dogma evitando gli errori opposti del triteismo (secondo cui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sarebbero tre dèi) e del modalismo (secondo cui essi sarebbero soltanto manifestazioni estrinseche di un unico essere divino). Agostino si serve a tal fine della dottrina aristotelica delle categorie. Di Dio possiamo dire che è sostanza (substantia) o essenza (essentia); anzi, Egli "è" nel senso più vero del termine, perché è immutabile. Proprio perché immutabile, il Lui non vi sono accidenti; le sue perfezioni (bontà, giustizia, ecc.) si predicano dunque secondo la sostanza, cioè si identificano con il suo stesso essere. Non tutto ciò che si predica in Dio, tuttavia, si predica secondo la sostanza. Alcune cose si predicano in Dio secondo la relazione. È il caso dei nomi "Padre", "Figlio" e "Spirito Santo", che indicano appunto non la sostanza di Dio, ma le relazioni che sussistono in Lui. Il Padre è tale non in se stesso, ma in relazione al Figlio, e viceversa. Anche nomi come "principio" e "Signore" sono predicati di Dio secondo la relazione: essi fanno riferimento non all'essenza di Dio, ma alle sue relazioni nei confronti delle creature, o meglio alle relazioni che le creature intrattengono con Lui.

Agostino dice di aver iniziato i libri Sulla Trinità da giovane e di averli pubblicati da vecchio (Prologo alla Lettera 174). La stesura dell'opera lo impegnò per più di vent'anni, a partire dal 400 circa. Il tema era in effetti uno dei più ardui anche per una mente come la sua. Nel Medioevo sorse al riguardo la nota leggenda destinata ad avere un'enorme fortuna iconografica: quella dell'incontro in riva al mare tra Agostino e un bambino che cercava di trasportare con una conchiglia o altro piccolo recipiente (a seconda delle versioni) l'acqua marina in una buca scavata nella sabbia, simbolo della vana pretesa di comprendere con l'intelletto umano il mistero infinito di Dio. La storiella, simpatica e istruttiva, non rende però giustizia all'instancabile sforzo agostiniano di avvicinarsi e avvicinarci alla luminosa verità del Dio uno e trino, alla cui visione beatifica l'uomo è chiamato per l'eternità.

 

 

Maestro François

Noto anche come Maître François (1440-1520), il nostro artista fu un abile miniatore francese del XV secolo, forse nativo e attivo a Parigi. E' certo che decorò fra il 1469 e il 1473 con splendide miniature il celebre manoscritto, in due volumi, del De civitate Dei di sant'Agostino che è conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Fu fortemente influenzate da J. Fouquet, tanto che qualche critico e storico hanno addirittura proposto la sua identificazione con un figlio proprio di Fouquet. Le sue miniature si distinguono per una esecuzione molto accurata e una delicata intonazione coloristica. Altri manoscritti miniati che gli vengono attribuiti si trovano al British Museum di Londra (Valerius Maximus; Boccaccio; e altri).