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PITTORI: Scultore toscano

Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa e san Gerolamo

Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa e san Gerolamo

 

 

SCULTORE TOSCANO

1450-1480

San Pietroburgo, Museo Hermitage

 

Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa e san Gerolamo

 

 

 

Questa piccola cassa che è conservata al Museo dell'Hermitage a San Pietroburgo reca una serie di intagli di gran pregio, dove fra rami e intrecci floreali, sono ben visibili le figure dei Santi Dottori della Chiesa Girolamo e Agostino. Il luogo di provenienza è il nord Italia dove la cassa venne realizzata da un anonimo intagliatore del XV secolo. Il materiale ligneo utilizzato è il noce, che è stato lavorato con la tecnica dell'intaglio. Le sue dimensioni sono 44x59x36 cm e sono utilmente adatte a descrivere le figure dei due santi. A sinistra si nota la figura di san Gerolamo vestito con il cappello cardinalizio che regge in mano una chiesa. A destra si nota invece una figura più minuta: è sant'Agostino vestito da vescovo con nella mano sinistra il bastone pastorale e in testa una elegante mitra. Il viso del santo è sapientemente tratteggiato ed esprime una vigorosa forza d'animo interiore.

Per mezzo di Alipio, che prima del suo episcopato era stato in Palestina, Agostino s'era messo in contatto con san Gerolamo che fin dall'estate del 386 si era definitivamente ritirato a Betlemme. Gli aveva mandato una lettera per mezzo di un suo compagno, Profuturo, che nel frattempo era stato nominato vescovo di Cirta. Incomincia così la corrispondenza polemica di Agostino e Gerolamo, che una serie d'incidenti, di malintesi e di false notizie, oltre agli argomenti discussi, doveva contribuire a rendere aspra.

Agostino voleva conoscere l'opinione vera di Gerolamo su Origene, non riusciva a rendersi ragione che fosse necessario tradurre nuovamente l'Antico Testamento dall'ebraico, come Gerolamo stava facendo, mentre poteva bastare una semplice revisione del latino, condotta sulla versione greca dei Settanta, così come Gerolamo stesso aveva fatto per Giobbe. Soprattutto gli dispiaceva che nel commentare l'epistola ai Galati, Gerolamo avesse mostrato d'intendere che la disputa tra san paolo e san Pietro in Antiochia, raccontata nell'epistola stessa (II, 11 e seg.) fosse finta: un semplice artificio escogitato di comune accordo dagli apostoli per cavarne una lezione a vantaggio di tutti.

Pareva ad Agostino che in tal modo si desse implicitamente ragione ai manichei, che pretendevano di togliere dal Nuovo Testamento quello che a loro dispiaceva, asserendo trattarsi d'interpolazioni tendenziose. E tanto gli stava a cuore questo punto, da indurlo a scrivere un libro apposta, il De Mendacio, in cui Gerolamo è trattato piuttosto male, come il difensore della menzogna. Agostino coglie l'occasione per affermare il suo concetto che, a differenza dell'Antico, il Nuovo Testamento, a eccezione delle parabole di Gesù, va interpretato alla lettera; mentre nell'Antico l'interpretazione allegorica serve soltanto a dimostrare l'accordo tra le due parti della Scrittura, specie là dove il racconto - pur vero - raccolto alla lettera, offenderebbe il senso morale. La polemica si invelenì: Agostino invitata Gerolamo a contare la sua Palinodia, a Girolamo era giunta notizia, da Roma, d'un libro di Agostino contro di lui. Per non acuire il dissidio, Agostino si astenne dal pubblicare il De Mendacio.