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Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Quattrocento: Maestro fiorentinoPITTORI: Maestro fiorentino
Agostino condotto a scuola dalla madre Monica
MAESTRO FIORENTINO
1440-1470
Parigi, Collezione Lazzaroni
Agostino condotto a scuola dalla madre Monica
Questa tavola ha per soggetto un episodio della vita di sant'Agostino e precisamente il momento in cui il santo bambino viene condotto a scuola dalla madre santa Monica.
La scena è ambientata in un locale dalle architetture quattrocentesche, dove il maestro accoglie lo studente seduto al proprio banco dove sta leggendo un rotolo dispiegato. Il maestro, seduto sotto un baldacchino invita il giovane allievo a venire avanti con un cenno della mano sinistra. Nel contempo Monica indica ad Agostino con la mano destra la presenza del maestro a cui dovrà riferirsi nei suoi studi. Il giovane Agostino, vestito alla toscana, è ritto in piedi con il viso rivolto al maestro in un atteggiamento di aspettativa, che è acuito dalle mani conserte che tiene attaccate al petto. La dolcezza del viso e della espressione di Monica contrastano con la rudezza dei lineamenti del maestro, che ne fanno intravedere la severità, e il viso disincantato di Agostino che sembra non aspettarsi nulla di buono.
La camera è semplice, spoglia di orpelli e mobili inutili: oltre al banco del maestro di nota solo un'apertura nel muro a nicchia che serve per riporre i libri necessari all'esercizio della professione.
Realizzata con la tecnica della tavola, l'opera viene attribuita ad un anonimo pittore fiorentino quattrocentesco. L'opera attualmente è conservata a Parigi nella Collezione Lazzaroni.
Dio, Dio mio, quante ne ho viste di miserie e di raggiri allora, quando ancora bambino mi proponevano come ideale di vita l'obbedienza a quelli che volevano fare di me un uomo di successo e un vincitore nelle arti della chiacchiera, che servono a procacciare prestigio fra gli uomini e false ricchezze. Fui mandato a scuola, a imparare a leggere e a scrivere, senza avere la minima idea, infelice, di che uso se ne potesse fare. E tuttavia, se ero tardo nell'apprendere, mi battevano. Perché era un metodo approvato dagli adulti, e molti venuti al mondo prima di noi avevano aperto le dolorose vie per cui ci costringevano a passare, tanto per accrescere un po' la dose di fatica e affanno riservata ai figli di Adamo. Là però trovammo anche, mio Signore, persone che pregavano te, e da loro venimmo a sapere, per quanto era nelle nostre possibilità, che tu esistevi: eri grande, un personaggio capace di ascoltarci e soccorrerci anche senza apparire ai nostri sensi. E da bambino infatti cominciai a pregare te, soccorso e rifugio mio, e sfrenavo del tutto la mia lingua quando ti invocavo: e ti pregavo, per piccolo che fossi, con passione non piccola, di fare che non mi battessero. E siccome non mi esaudivi, a tutto svantaggio della mia ignoranza, gli adulti e perfino i miei genitori, che pure non volevano mi accadesse nulla di male, ridevano delle botte che mi toccavano: come non fossero allora, per me, un male grande e angoscioso.
Esiste, mio Signore, un animo così grande, capace di un'adesione così appassionata al tuo essere? Esiste, dico - perché a tanto può condurre anche un certo genere di insensatezza - un animo che in questo suo religioso aderire a te sia preso da una passione tanto sublime da fargli ritenere cosa da poco cavalletti e unghioni e simili forme di tortura, che in tutti i paesi della terra la gente ti supplica terrorizzata di tener lontane? E che per giunta li ami teneramente, questi altri che ne hanno una tremenda paura? Come facevano i nostri genitori: i quali sorridevano delle torture che i nostri maestri infliggevano a noi bambini? Ma non per questo noi ne avevamo meno paura, e non erano meno ferventi le suppliche che ti rivolgevamo perché ce ne scampassi. Certo, avevamo la nostra colpa, che era di scrivere o leggere o studiare di meno di quanto si esigeva da noi. Perché non erano la memoria o l'ingegno a farci difetto: di questi, mio Signore, hai voluto dotarci a sufficienza per quell'età. Ma ci piaceva giocare, e questo era motivo per esser puniti da persone che poi si comportavano proprio come noi. Ma i giochi degli adulti si chiamano occupazioni, mentre quelli dei bambini, che lo sono anch'essi, sono puniti dagli adulti: e nessuno ha pietà degli adulti o dei bambini, o di entrambi. Magari un giudice onesto approverebbe le busse che mi venivano date, perché giocavo a pallone da bambino e il gioco m'impediva di imparare rapidamente le lettere, grazie alle quali da grande avrei giocato giochi più vituperandi. Ma si comportava diversamente proprio la persona da cui venivo percosso? Se in qualche discussioncella era vinto da un suo collega d'insegnamento, si rodeva per la bile e l'invidia più di me quando in una partita di pallone venivo sconfitto da un mio compagno di giochi.
AGOSTINO, Confessioni 1, 9, 14-15
Prima, durante l'infanzia, anche di latino non conoscevo alcuna parola, ma con un poco di attenzione imparai senza bisogno d'intimidazioni e torture, anzi fra carezze di nutrici, festevolezze di sorrisi e allegria di giochi.
AGOSTINO, Confessioni 1, 14, 23
Fui affidato alla scuola per impararvi le lettere, di cui, meschinello, ignoravo i vantaggi; eppure le buscavo, se ero pigro a studiarle.
AGOSTINO, Confessioni 1, 9, 14