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PITTORI: Scuola fiorentina

Sant'Agostino vescovo benedicente

Agostino vescovo benedicente

 

 

SCUOLA FIORENTINA

1460-1470

Ravenna, Biblioteca Classense

 

Sant'Agostino vescovo benedicente

 

 

 

Rappresentare un personaggio sopra un tondo raffigurante la terra, quale attributo di autorità o protezione fu una metodologia ricorrente nel Rinascimento. A questo proposito possiamo ricordare l'immagine di scuola fiorentina che ci presenta sant'Agostino in una xilografia del 1460-1470 che ora alla Biblioteca Classense di Ravenna.

In questa rappresentazione Agostino viene raffigurato nelle sue tradizionali vesti episcopali con i relativi attributi. Attorno alla testa appare un nimbo simbolo di santità. Il viso è abbastanza giovanile d'aspetto quantunque presenti una foltissima barba. Il santo sembra assiso su un trono e in forma bonaria benedice le città e le terre che si sviluppano ai suoi piedi.

La stampa è piuttosto accurata e ben realizzata, quantunque in un contesto semplice.

 

Agostino viene frequentemente raffigurato nelle sue vesti di vescovo e di Dottore della Chiesa. Spesso Agostino è associato ad altri santi e soprattutto agli altri tre Dottori Gerolamo, Ambrogio e San Gregorio Magno. Con questi ultimi fu praticamente raffigurato in tutte le chiese cristiane d'Occidente sui piloni o sulle volte del presbiterio e della navata centrale. Appare vestito sia da vescovo che da monaco che da canonico; talvolta ha una chiesa in mano, altre volte un libro, una penna o un cuore. Il significato di questo tema iconografico è chiarissimo: Agostino è stato uno dei vescovi che ha maggiormente difeso la Chiesa in tutti i suoi scritti e soprattutto con tutta la sua anima e il suo cuore.

La scena rappresenta anche un riconoscimento alla grandezza di Agostino e della sua vita, che si ispira al passo di Timoteo: "Non coronabitur nisi qui legitime certaverit." Tre corone sono solitamente utilizzate per esprimere la gloria del santo, il cui significato è da riconoscere in tre simboli: la verginità, la scienza e il martirio.

L'episodio riprende passi della Epistola XVIII ad Cyrillum Jerosolymitanum episcopum dello Pseudo Agostino.