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PITTORI: Bernabei Alessandro

Sant'Agostino a colloquio con sua madre Monica

Sant'Agostino a colloquio con sua madre Monica: l'estasi di Ostia

 

 

ALESSANDRO BERNABEI

1621

Parma, chiesa del Santo Sepolcro

 

Sant'Agostino a colloquio con sua madre Monica: l'estasi di Ostia

 

 

 

Il dipinto di Alessandro Bernabei misura m 2,48x1,68 circa e venne realizzato nei primi decenni del Seicento per la cappella degli Oddi nella chiesa di San Sepolcro a Parma. Realizzato con la tecnica olio su tela, il dipinto raffigura sant'Agostino a colloquio con sua madre Monica. Se non fosse per il panorama semicampestre che si vede dalla finestra, l'intera struttura del quadro fa pensare all'episodio dell'estasi di Ostia. E probabilmente questa era la autentica intenzione del pittore, che ha solo modificato la vista dalla finestra dandole un connotato non più esclusivamente di tipo rigorosamente marino.

La presenza degli angeli su una nuvola sopra le figure dei due santi che stanno conversando fra loro, richiama quel paradiso di cui stanno discutendo Agostino e Monica.

Agostino è seduto di fronte a Monica con le braccia allargate in segno di accoglienza. Ha un viso giovanile dall'espressione vigile e attenta. Indossa i paramenti episcopali con la mitra in testa. Sua madre Monica, dal viso più maturo, è vestita suora e con il gesto delle mani sembra voler comunicare qualcosa di importante e personale al figlio Agostino.

La scena si svolge all'interno di una grande camera con maestose colonne con il muro squarciato da una grande finestra che allunga lo sguardo fino all'estremo orizzonte.

Alcune delle pagine più belle delle Confessioni sono dedicate da Agostino al commosso ricordo della madre Monica. In particolare, è rimasto famoso l'episodio della cosiddetta "estasi di Ostia", un'esperienza mistica che i due ebbero a Ostia Tiberina nel 387, a breve distanza dal battesimo di Agostino e pochi giorni prima dell'ultima malattia di Monica. Risalendo di contemplazione in contemplazione dalle cose create alla divina Sapienza creatrice, madre e figlio pregustano la gioia del paradiso. Nel viaggio di ritorno da Milano dopo il 387 Agostino e Monica soggiornarono a Ostia in attesa di potersi imbarcare per l'Africa. In questa città Monica trovò la morte, ma prima di morire Agostino ricorda un fatto curioso che li vide protagonisti: un'estasi platonica.

 

10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.

- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?

- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"

AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25

 

 

Alessandro Bernabei

Nacque nel 1580 a Parma da Giacomo Antonio e da Antonia Ambanelli. Fra i suoi fratelli troviamo Pier Antonio detto anche Della Casa o Maccabeo di cui fu artisticamente un seguace. Suo è un dipinto per il refettorio dei Certosini di Parma eseguito tra il 1607 e il 1614. Gli sono attribuiti quadri nelle chiese parmensi di San Sepolcro, San Pietro e San Lazzaro. Nel 1621 dipinse per san Sepolcro una Madonna coi Santi Martino e Caterina e anche un Sant’Agostino e santa Monica nella cappella degli Oddi.

In quello stesso anno dipinse un Cristo Risorto e i santi Sebastiano e Rocco, che offre una immagine della città di Parma, presa da est fuori della Porta San Michele. Si riconoscono, oltre i baluardi delle mura, il campanile di San Sepolcro, la chiesa di sant'Antonio Abate, la cupola e il campanile di san Giovanni, la cupola e il campanile del Duomo, il Battistero. Altre sue opere sono conservate nella chiesa di San Pietro con un S. Giuseppe morente. Lavorò anche per la chiesa di San Rocco, per i Conservatorio dei Mendicanti e per la chiesa dei Servi, dove nel 1612-1613 eseguì col fratello Pier Antonio gli affreschi della cupola (Ascensione) e del catino absidale (Storie di Cristo). Morì di peste nel 1630.