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PITTORI: Maestro Fiammingo

Agostino con san Giovanni Battista e Gerolamo

Agostino con san Giovanni Battista e Gerolamo

 

 

MAESTRO FIAMMINGO

XVII secolo

Località sconosciuta

 

Agostino con san Giovanni Battista e Gerolamo

 

 

 

 

In questo esempio di Tappezzeria fiamminga abbiamo una rappresentazione di una scena religiosa che vede protagonisti tre santi: due sono Padri della Chiesa e il terzo è san Giovanni Battista. Sant'Agostino è al centro degli altri due santi: sulla sinistra si nota la giovanile figura di san Giovanni Battista, che indossa vesti semplici e quasi trasandate. Una folta barba e capelli ricci rossi gli aggrazia il viso, il cui sguardo si volge verso un agnello che giace su un libro che tiene in mano.

Sulla destra si vede san Gerolamo vestito con un abito rosso cardinalizio: in testa ha un cappello da cardinale. Ai suoi piedi si nota il tipico leone, che tradizionalmente lo accompagna. Il viso è quello di una persona anziana, ha una folta barba e sembra interessato a quanto sta mostrando Giovanni Battista. Agostino sullo sfondo osserva i due santi: è vestito da vescovo e in testa porta la mitra. Nella mano destra ha in mano un cuore, un simbolo che ha avuto una certa fortuna nella iconografia agostiniana.

 

Per mezzo di Alipio, che prima del suo episcopato era stato in Palestina, Agostino s'era messo in contatto con san Gerolamo che fin dall'estate del 386 si era definitivamente ritirato a Betlemme. Gli aveva mandato una lettera per mezzo di un suo compagno, Profuturo, che nel frattempo era stato nominato vescovo di Cirta. Incomincia così la corrispondenza polemica di Agostino e Gerolamo, che una serie d'incidenti, di malintesi e di false notizie, oltre agli argomenti discussi, doveva contribuire a rendere aspra.

Agostino voleva conoscere l'opinione vera di Gerolamo su Origene, non riusciva a rendersi ragione che fosse necessario tradurre nuovamente l'Antico Testamento dall'ebraico, come Gerolamo stava facendo, mentre poteva bastare una semplice revisione del latino, condotta sulla versione greca dei Settanta, così come Gerolamo stesso aveva fatto per Giobbe. Soprattutto gli dispiaceva che nel commentare l'epistola ai Galati, Gerolamo avesse mostrato d'intendere che la disputa tra san paolo e san Pietro in Antiochia, raccontata nell'epistola stessa (II, 11 e seg.) fosse finta: un semplice artificio escogitato di comune accordo dagli apostoli per cavarne una lezione a vantaggio di tutti.

Pareva ad Agostino che in tal modo si desse implicitamente ragione ai manichei, che pretendevano di togliere dal Nuovo Testamento quello che a loro dispiaceva, asserendo trattarsi d'interpolazioni tendenziose. E tanto gli stava a cuore questo punto, da indurlo a scrivere un libro apposta, il De Mendacio, in cui Gerolamo è trattato piuttosto male, come il difensore della menzogna. Agostino coglie l'occasione per affermare il suo concetto che, a differenza dell'Antico, il Nuovo Testamento, a eccezione delle parabole di Gesù, va interpretato alla lettera; mentre nell'Antico l'interpretazione allegorica serve soltanto a dimostrare l'accordo tra le due parti della Scrittura, specie là dove il racconto - pur vero - raccolto alla lettera, offenderebbe il senso morale. La polemica si invelenì: Agostino invitata Gerolamo a contare la sua Palinodia, a Girolamo era giunta notizia, da Roma, d'un libro di Agostino contro di lui. Per non acuire il dissidio, Agostino si astenne dal pubblicare il De Mendacio.