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Sant'Agostino nel suo studio
DOMENICO MANETTI
1630-1650
Montalcino, chiesa di sant'Agostino
Sant'Agostino nel suo studio
Il principale interprete del cambiamento di gusto, già riflesso nell'ultima produzione di Reni e del Guercino, si verificò nella pittura bolognese con Domenico Manetti. A partire dalla metà del Seicento, quando venne abbandonata l'energica e monumentale maniera dei Carracci a favore di uno stile più suadente ed aggraziato, l'attività di Domenico Manetti (1609-1663) si afferma per il suo afflato più delicato e intimista. Il suo sant'Agostino viene infatti rappresentato alla maniera naturalista post caravaggesca. Il ritratto di questo vescovo religioso e santo, presenta un segno nitido, uno studio analitico, la semplificazione e la purezza della forma. Il nuovo approccio conferisce al personaggio raffigurato una distaccata aristocrazia nella più totale e condivisa interpretazione dello spirito della Contoriforma, nella visione di un nuovo sentimento religioso che assume accenti di intima ed umana devozione.
Agostino è qui raffigurato nel suo studio, seduto davanti a un tavolo con tra le mani un libro che sta sfogliando. Il suo sguardo tuttavia è rivolto verso l'alto alla ricerca del senso del mistero che sta leggendo.
La camera si apre con un ampio squarcio sulla campagna circostante che sembra irrompere con la sua luce fin dentro lo studio.
Manetti Domenico
Nacque a Siena nel 1609 figlio secondogenito di Lisabetta Panducci e di Rutilio, uno fra i più eccellenti e quotati pittori attivi a Siena nel primo Seicento. La sua formazione si sviluppò nella bottega paterna, senza mai però riuscirne a toccare i vertici artistici.
Nel 1631 entrò nella Compagnia laicale di S. Giovannino in Pantaneto, a Siena, istituzione di cui sarebbe divenuto vicario nel 1639.
Nel 1643 eseguì la Moltiplicazione dei pani e dei pesci per la chiesa senese di S. Giovanni dei Tredicini. Nella seconda metà del decennio dipinse due affreschi per la sede della Biccherna, nel palazzo pubblico. Nel 1649 si colloca anche la tela raffigurante la Madonna che mostra a due sante l'immagine di san Domenico in Soriano, realizzata per la chiesa di S. Caterina al Paradiso; mentre l'anno seguente, ancora per il palazzo pubblico, eseguì la tela raffigurante la Partenza delle milizie senesi per la Terra Santa.
Nel 1651 contribuì con due lunette al ciclo di affreschi dedicati a Storie di Giobbe nella chiesa senese di S. Rocco alla Lupa e nel 1655 fu nuovamente impegnato in palazzo pubblico, dove realizzò l'ovale con Emilia Pannocchieschi d'Elci che presenta il progetto per un monastero al vescovo di Siena. La sua produzione estrema segnò sempre più il passo, manifestando una decisa perdita di energia pittorica, di sicurezza e di controllo sulla materia di cui si direbbero testimonianza la fiacca Orazione nell'orto e l'eclettica S. Cristina rifiuta di adorare l'idolo (a Siena, nella collezione Chigi Saracini). Morì a Siena nel 1663.