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Funerali di sant'Agostino
MAESTRO PATAVINO
1640-1650
Padova, chiesa degli Eremitani
Funerali di sant'Agostino
L'affresco si trova attualmente appeso sulla parete della colonna destra che introduce al presbiterio con gli affreschi della vita di Agostino che Guariento di Arpo vi dipinse nel 1338. Di autore attribuibile, l'affresco è stato staccato dalla sua posizione originaria, di difficile individuazione. Molto probabilmente non si trovava nella prima cappella a destra dedicata a sant'Agostino, dove restano incompleti lacerti pittorici di una Vita del Santo affrescate da Giusto de' Menabuoi nel 1370, con figure di Virtù e Scienze alle pareti. La struttura dell'affresco è sostanzialmente una copia molto fedele della stampa che Bolswert editò a Parigi nel 1624 e che conobbe una grande fortuna, tanto da essere replicato negli affreschi di numerosi chiostri di conventi agostiniani. Nella stampa una scritta, assente nell'affresco, ricorda: Anima beatissima in coelum transmissa, corpus non sine uberrimus suorum lacrymis totiusque urbis et orbis luctu, incruento pro more sacrificio oblato, in basilica cathedrali D. Stephano sacra, terrae redditur. La tavola fu incisa in realtà dal collaboratore Cornelius Galle, ma il cambio d'autore non ha inciso sullo stile della serie. I movimenti sono più composti, ma di maggior movimento. Sullo sfondo si intravede Ippona con i suoi monumenti. Una fila di frati agostiniani, riconoscibili per l'abito nero, con le candele sta giungendo a S. Stefano Rotondo portando la salma di Agostino che ora è vestito da vescovo. La bara è portata anche da due vescovi. Un frate si rivolge ai presenti, che nella parte conservata dell'affresco non sono più visibili, quasi a invitarli di non disturbare.
Agostino morì il 28 agosto del 430 durante l'assedio di Ippona. I suoi funerali furono fatti in città e le sue spoglie saranno conservate ad Ippona ancora per qualche anno, fino a quando Fulgenzio di Ruspe se le portò con sè in Sardegna per sfuggire alle prepotenze dei Vandali ariani.
31. 3. Perché nessuno disturbasse il suo raccoglimento, circa dieci giorni prima di morire, disse a noi, che lo assistevamo, di non far entrare nessuno, se non soltanto nelle ore in cui i medici entravano a visitarlo o gli si portava da mangiare. La sua disposizione fu osservata, ed egli in tutto quel tempo stette in preghiera.
31. 4. Fino alla sua ultima malattia predicò in chiesa la parola di Dio ininterrottamente, con zelo e con forza, con lucidità e intelligenza.
31. 5. Conservando intatte tutte le membra del corpo, sani la vista e l'udito, mentre noi eravamo presenti osservavamo e pregavamo, egli - come fu scritto - si addormentò coi suoi padri, in prospera vecchiaia (1 Re, 2, 10). Per accompagnare la deposizione del suo corpo, fu offerto a Dio il sacrificio in nostra presenza, e poi fu sepolto.
31. 6. Non fece testamento, perché povero di Dio non aveva motivo di farlo. Raccomandava sempre di conservare diligentemente per i posteri la biblioteca della chiesa con tutti i codici. Quel che la chiesa aveva di suppellettili e ornamenti, affidò al prete che alle sue dipendenze curava l'amministrazione della casa annessa alla chiesa.
31. 7. Né durante la vita né al momento di morire trattò i suoi parenti, sia quelli dediti alla vita monastica sia quelli di fuori, nel modo consueto nel mondo. Quando viveva, dava a costoro, se era necessario, quel che usava dare agli altri, non perché avessero ricchezze ma perché non fossero poveri e non lo fossero troppo.
31. 8. Lasciò alla chiesa clero abbondante e monasteri di uomini e donne praticanti la continenza con i loro superiori; inoltre, biblioteche contenenti libri e prediche sia suoi sia di altri santi, dai quali si può conoscere quanta sia stata, per dono di Dio, la sua grandezza nella chiesa e nei quali i fedeli lo trovano sempre vivo. In tal senso un poeta pagano, disponendo che i suoi gli facessero la tomba in luogo pubblico ed elevato, dettò questa epigrafe: Vuoi sapere, o viandante, che il poeta vive dopo la morte? Ecco, io dico ciò che tu leggi: la tua voce è la mia.
POSSIDIO, Gesta Augustini 31, 3-8