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PITTORI: Onofrio Palumbo

Madonna con il Bambino e i santi Agostino e Maria Egiziaca

Madonna col Bambino e i santi Agostino e Maria Egiziaca

 

 

ONOFRIO PALUMBO

1650

Napoli, chiesa di santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone

 

Madonna con il Bambino e i santi Agostino e Maria Egiziaca

 

 

 

Stando a un pagamento dell'ottobre 1650, Palumbo dovette completare entro il dicembre dello stesso anno un impegnativo ciclo di tele per le monache agostiniane di S. Maria Egiziaca a Pizzofalcone; si trattava di due pale, rispettivamente con la Sacra Famiglia con i ss. Anna e Gioacchino e i Sette arcangeli in adorazione della Trinità, destinate alle due cappelle della chiesa e di un «quatretto del Pad(r)e eterno» a coronamento della icona dell'altare maggiore raffigurante la Madonna della Purità tra i ss. Maria Egiziaca e Agostino, ad quella data già consegnata da Palumbo e tuttora in loco.

Agostino è raffigurato a destra mentre è in atto di scrivere su un grande libro. Alle sue spalle un angelo gli regge un esile e lungo bastone pastorale, simbolo della sua dignità episcopale. Il santo indossa la tunica nera dei monaci agostiniani e in testa parta il nimbo dei santi. Il volto rivela una persona matura con una foltissima barba che gli scende dal mento. Lo sguardo è rivolto verso la Vergine che regge in grembo il Bambino. Assisa su una nuvola, ella volge lo sguardo ad Agostino, fra un volteggiare gioiosa di numerosi angioletti.

A sinistra troviamo l'immagine di santa Maria egiziaca, caratterizzata dai lunghi capelli che le coprivano il corpo. Nonostante la vita di questa santa sia suffragata da scarsi elementi storici, il suo culto si diffuse rapidamente e fu venerata come santa patrona delle prostitute pentite. La data tradizionale della sua commemorazione è il primo aprile. Contemporanea di Agostino, nacque in Egitto e le sue vicende furono narrate da Sofronio, vescovo di Gerusalemme.

 

La chiesa di santa Maria Egiziaca sorge a Pizzofalcone una collina della città di Napoli. In origine, il luogo era occupato da una piccola chiesa, risalente al 1616. Nel 1639 un gruppo di cinque Monache Agostiniane lasciò il convento di Santa Maria Egiziaca a Forcella per fondarne uno nuovo nell'edificio attiguo alla chiesa più rispondente alle regole di vita claustrale. Il palazzo aveva un giardino ed era stato edificato nel secolo precedente da Don Luigi de Toledo. Pochi anni dopo, nel 1648, le monache avviarono un rifacimento dell'intera struttura, grazie soprattutto alle donazioni del viceré Don Giovanni d'Austria. Il progetto venne affidato a Cosimo Fanzago, ma la sua realizzazione fu piuttosto lunga ed i lavori cominciarono soltanto nel 1661, per essere però sospesi nel 1665 dopo il completamento dell'atrio, dei parlatori, di un braccio dei dormitori e di una parte della chiesa. Furono ripresi dagli interventi di altri architetti quali Francesco Antonio Picchiatti, direttore dei lavori dal 1665, che realizzò l'esterno, Antonio Galluccio, e Arcangelo Giuglielmelli, quest'ultimo attivo tra il 1691 e il 1716, che condusse a termine l'opera. Le monache abitarono nel complesso fino al 1808, anno della soppressione dell'Ordine, il che le costrinse a ritornare nel convento d'origine a Forcella. Dopo essere stati utilizzati per qualche anno ad uso abitativo, convento e chiesa sono affidati dal 1930 ai Padri Missionari Oblati di Maria Immacolata.

Superato il portale esterno, sormontato da due Angeli che reggono un cuore fiammeggiante, simbolo dell'Ordine agostiniano, si accede ad un cortile un tempo circondato da un loggiato, posto a livello superiore, ora in parte scomparso e in parte murato. Un portale nel braccio sinistro del portico consentiva un tempo l'accesso all'antico monastero ed è ancora sormontato da una Madonna col Bambino, in stucco, risalente ai primi anni del Settecento. Ai lati del portale due lapidi ricordano la posa della prima pietra nel 1661 e la consacrazione nel 1717. La pianta della chiesa è una delle più originali realizzazioni di Fanzago, che inscrisse in un ottagono quattro grandi cappelle absidate, e quattro cappelle minori, rettangolari. Il dipinto sull'altar maggiore, raffigurante La Madonna col Bambino ed i Santi Agostino e Maria Egiziaca, assegnato un tempo ad Andrea Vaccaro è una tela seicentesca di Onofrio Palumbo, pittore attivo a Napoli nella prima metà del Seicento e noto soprattutto per la tela della SS. Trinità dei Pellegrini con San Gennaro che intercede per la città di Napoli.

 

I due quadri delle cappelle principali, datati 1717, sono di Paolo De Matteis e rappresentano la Sacra Famiglia con sant'Agostino, santa Monica ed altri santi, posta a destra, e la Sacra Famiglia con i santi Elisabetta, Zaccaria, Anna, Gioacchino e Giovanni Battista sull'altare di sinistra. Di grande pregio sono le sculture lignee dello scultore settecentesco Nicola Fumo, raffiguranti l'Angelo custode, nella cappella a destra dell'ingresso, San Michele Arcangelo nella cappella a sinistra dell'ingresso, l'Immacolata nella cappella a destra dell'altare ed il Crocifisso nel cappellone di sinistra. L'altar maggiore, datato 1738 è stato realizzato da Giuseppe Bastelli, e costituisce una notevole opera di stile rococò, prezioso nella scelta dei marmi e nell'intaglio. Agli stessi anni risale anche la balaustra che mostra nei pilastrini gli stemmi di varie famiglie nobili, tra le quali i d'Aquino, i Caracciolo Rosso e i Capace Scondito, che finanziarono l'opera.

 

 

Onofrio Palumbo

Probabilmente è identificabile con quell'«Honofrio f(igli)o di Tiberio Palomba, et Portia Greco» battezzato il 13 settembre 1606 in S. Maria della Carità a Napoli, la parrocchia dove si concentrava la gran parte della comunità artistica cittadina. Fu particolarmente attivo a Napoli durante l'epoca barocca. Da giovane ha frequentato la bottega di Battistello Caracciolo e poi quella di Artemisia Gentileschi durante il soggiorno di quest'ultima a Napoli. Il valore professionale di Palumbo dovette giungere a una compiuta affermazione nel corso del quarto decennio, poiché un suo esteso contributo è distintamente riconoscibile in alcune delle opere più rappresentative della prima attività napoletana di Artemisia. Il suo stile nelle opere successive al 1630 è debitore all'arte di Massimo Stanzione e più in generale alla corrente del caravaggismo. Tra le sue opere di maggior pregio spiccano il San Gennaro che intercede per la città di Napoli (1647) per la chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini di Napoli, tela di grande qualità, e l'Annunciazione e l'Adorazione dei pastori per la chiesa di Santa Maria della Salute. In queste opere l'influenza di Paolo Domenico Finoglia e Francesco Guarini è evidente, con un tocco di stile naturalista di impronta riberesca. In una fase più avanzata della sua carriera, Palumbo aderì con entusiasmo ai cambiamenti introdotti da Andrea Vaccaro, senza perdere di vista lo stile di Stanzione. Nei suoi ultimi anni divenne il principale collaboratore di Artemisia Gentileschi. Morì a Napoli verso il 1656.