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Sant'Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine
RODRIGUEZ ANTONIO
1660-1690
Città del Messico, Museo Nazionale d'Arte
Sant'Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine
Quest'opera, un olio su tela di m. 1,87 in altezza e 1,365 di larghezza, si trova custodito nel Museo nazionale d'Arte di Città del Messico. L'autore è il pittore Antonio Rodríguez che visse fra il 1636 e il 1691. La tela fu certamente realizzata per qualche insediamento monastico agostiniano, tanto che lo stesso santo, pur mostrando gli attributi episcopali, è rivestito della tunica nera dei monaci agostiniani.
Agostino è seduto ad un tavolo nel suo piccolo studiolo e sta scrivendo. Con la mano destra alzata sta per vergare qualche riga su un foglio che è appoggiato su un ripiano adatto. Intorno, sempre sulla tavola, si possono notare vari oggetti, fra cui si distinguono un calamaio, un campanello, un recipiente, un coltello, un teschio simbolo della morte, la mitra episcopale e un crocifisso di grosse dimensioni. Davanti al tavolo, sulla sinistra, si nota una pila di libri, di cui l'ultimo, il superiore, è aperto. Agostino è seduto su una poltrona rivestita in pelle verde e volge lo sguardo verso l'alto, verso due personaggi che, in una nuvola luminosa, si staccano sopra il crocifisso.
Dei raggi di luce lo colpiscono sul viso, che è irraggiato dal nimbo che gli avvolge il capo.
Il suo sguardo è dolce, con due grandi occhi aperti e scavati su un viso ancora giovanile. Una folta barba color castano gli copre il viso fino al petto.
Agostino indossa una veste nera che è tipica dei monaci agostiniani, che così raffigurandolo intendevano rimarcare la sua appartenenza all'Ordine, anzi si voleva sottolineare che ne era stato addirittura il fondatore.
Sullo sfondo si può notare appesa al muro una mensola che contiene ordinatamente altri libri.
I due personaggi che appaiono ad Agostino sono le Vergine Maria e il Cristo risorto.
La scena che li vede protagonisti non è nuova e deriva da una leggenda che nacque e si diffuse probabilmente in Italia. Diversi pittori si sono ispirati a essa che trae spunto da passi delle sue meditazioni: il santo è presentato innanzi al Cristo crocefisso ed alla Vergine, mentre, pregando, si domanda: "Hinc a vulnere pascor", e, volgendosi verso Maria, soggiunge: "Hinc lactor ab Ubere", concludendo: "Positus in medio quod me vertere nescio, Dicam ergo Jesu Maria miserere". Sembra che l'episodio prenda spunto da un passo della S. Aurelii Augustini Hipponensis episcopi et S. R. E. doctoris vita di Cornelius Lancelotz (1574-1622) O.S.A. edito ad Anversa nel 1616.
Lancillottus scrive, riportando parole apocrife di Agostino: "Positus in medio quo me vertam nescio. Hinc pascor a vulnere, hinc lactor ab ubere." La medesima scritta fu riportata da Francesco Francia e poi da Kartarius, un incisore nativo di Viterbo, che lavorò a Roma fra il 1560 e il 1570, nella sua stampa della Vita di Agostino edita nel 1570.
La prima immagine di Maria "Galactotrephousa" (così era chiamata in Oriente, mentre in Occidente veniva appellata come "Maria Lactans") è di origine copta e si trova in una cella monastica di Banit in Egitto e in una caverna eremitica del Monte Latmos in Asia minore (entrambi del sec. VI - VII) nonché a Roma in un frammento di scultura del secolo VI rinvenuto nel Cimitero di San Sebastiano. L'immagine paleocristiana della Virgo lactans, che nella rappresentazione del gesto materno per eccellenza evidenziava l'incarnazione del Cristo in una creatura terrena, fu recuperata nel secolo XII e incontrò enorme successo a partire dal XIII secolo, in coincidenza con la diffusione, promossa dai crociati, delle icone della Galactotrephousa che stimolò una fiorente produzione d'immagini devozionali sia nella pittura che nella scultura.