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Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Seicento: Spadaro MiccoPITTORI: Spadaro Micco
Particolare del porto con la torre fortezza
SPADARO MICCO
1642-1646
Napoli, Certosa di San Martino
Sant'Agostino incontra un bambino sulla riva di una spiaggia
La scena narra l'incontro leggendario fra Agostino e un fanciullo sulla riva di una spiaggia. Soggetto reale dell'episodio è la Trinità su cui Agostino sta indagando senza costrutto. Fra Agostino e il bambino si svolge un breve dialogo in cui il bambino con la sua risposta metterà a nudo i limiti della intelligenza del santo. L''ambientazione riprende analoghe situazioni già descritte nella iconografia agostiniana: alla spalle dei due protagonisti si apre un largo orizzonte con un vasto bacino d'acque dove si notano alcune imbarcazioni. In lontananza si sviluppano degli alti monti, davanti ai quali si allunga un promontorio con un castello turrito e un porticciolo con alcune barche.
Il dipinto si trova nel quarto del Priore che costituiva lo spazio tipico in un complesso certosino destinato alla dimora del priore. Alcune delle sale dell'appartamento, come l'ex studiolo o la cappella privata, conservano lungo le pareti o nelle volte ancora le decorazioni ad affresco di Micco Spadaro, per le quali eseguì scene di Paesaggi e Santi.
Questa leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".
Questa leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).
Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.
Ma come poi tutto ciò fu collegato ad Agostino ? Due possono essere le spiegazioni: primo che necessitava un protagonista alla storia stessa e Agostino era l'uomo adatto in quanto era considerato un sommo teologo. La seconda spiegazione sta nella diffusione del testo di un apocrifo in cui san Gerolamo (come è stato anticipato all'inizio) discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino. In ogni caso la prima volta che si incontra questa leggenda applicata ad Agostino corre nell'anno 1263. In margine va ricordata la disputa sul luogo dove si sarebbe svolto l'incontro tra Agostino e Gesù Bambino: sulla spiaggia di Civitavecchia o di Ippona ? Gli Eremitani e i Canonici si batterono a lungo sul tema, soprattutto perché ciascuno sosteneva che Agostino era stato il vero fondatore del loro Ordine religioso.
L'episodio descritto in questa leggenda è abbastanza noto: Agostino, grande indagatore del problema del Bene e del Male, un giorno passeggiava per una spiaggia quando incontrò un bambino-angelo che con un secchiello prendeva dell'acqua di mare e la versava in una piccola cavità nella sabbia. Alla domanda del Santo su che cosa stesse facendo, il bambino avrebbe risposto che voleva porre tutto il mare dentro quel buco. Quando il Santo gli fece notare che ciò era impossibile, il bambino avrebbe replicato che così come non era possibile versare tutto il mare dentro la buca allo stesso modo era impossibile che i misteri di Dio e della SS. Trinità entrassero nella sua piccola testa di uomo.
La Certosa di San Martino è situata sulla collina del Vomero a Napoli, accanto al castello di Sant'Elmo. Costituisce uno dei maggiori complessi monumentali religiosi della città e uno dei più riusciti esempi di architettura e arte barocca, nonché fulcro della pittura napoletana del Seicento. Conta circa cento sale, due chiese, quattro cappelle, tre chiostri e giardini pensili. Cronologicamente è la seconda certosa della Campania, costruita diciannove anni dopo quella di San Lorenzo a Padula e quarantasei prima di quella di San Giacomo a Capri.
Micco Spadaro
Il suo vero nome era Domenico Gargiulo. Nacque a Napoli, dove è ricordato come paesaggista e soprattutto per aver documentato i tumultuosi avvenimenti cittadini del XVII secolo.
Bernardo De Dominici, il suo primo biografo, scrisse che «nacque nella città di Napoli l'anno 1612 da Pietro Antonio, che l'arte di spadaro esercitava nella strada detta di Visitapoveri» e che morì all'età di 67 anni nel 1679. Tuttavia negli archivi parrocchiali dell'epoca non si trovano documenti che confermino queste date. Il soprannome con cui è conosciuto deriva dal mestiere del padre, che era un artigiano forgiatore di spade. Micco iniziò la sua attività artistica quando entrò nella bottega da Aniello Falcone, che frequentò assieme ad Andrea di Leone e Salvator Rosa. In seguito collaborò con Viviano Codazzi e i suoi primi lavori furono influenzati da Paul Bril e Filippo Napoletano. Fra i suoi maggiori committenti vi fu il collezionista fiammingo Gaspare Roomer, a cui dovette la sua fortuna. Lavorò anche per la Certosa di San Martino, dove dipinse nel Coro dei Conversi e nel Quarto del priore. Sue sono le famose rappresentazione dell'insurrezione di Masaniello e della peste del 1656.