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PITTORI: Valdes Leal Juan

Ambrogio converte e battezza sant'Agostino di Valdes

Ambrogio converte e battezza sant'Agostino

 

 

VALDES LEAL JUAN

1673

Saint Louis, Art Museum

 

Ambrogio converte e battezza sant'Agostino

 

 

 

Milano fu la tappa decisiva della conversazione di Agostino. Qui ebbe l'opportunità di ascoltare i sermoni di Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale, ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino, fu la frequentazione con un anziano sacerdote, san Simpliciano, che aveva preparato Ambrogio all'episcopato, a dargli l'ispirazione giusta; il quale con fine intuito lo indirizzò a leggere i neoplatonici, perché i loro scritti suggerivano "in tutti i modi l'idea di Dio e del suo Verbo". Un successivo incontro con sant'Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò un altro passo verso il battesimo; fu convinto da Monica a seguire il consiglio dell'apostolo Paolo, sulla castità perfetta, che lo convinse pure a lasciare la moglie, la quale secondo la legge romana, essendo di classe inferiore, era praticamente una concubina, rimandandola in Africa e tenendo presso di sé il figlio Adeodato (ci riesce difficile ai nostri tempi comprendere questi atteggiamenti, così usuali per allora).

A casa di un amico Ponticiano, questi gli aveva parlato della vita casta dei monaci e di s. Antonio abate, dandogli anche il libro delle Lettere di S. Paolo; ritornato a casa sua, Agostino disorientato si appartò nel giardino, dando sfogo ad un pianto angosciato e mentre piangeva, avvertì una voce che gli diceva "Tolle, lege, tolle, lege" (prendi e leggi), per cui aprì a caso il libro delle Lettere di S. Paolo e lesse un brano: "Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri" (Rom. 13, 13-14).

Dopo qualche settimana ancora d'insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, l'attuale Cassago Brianza, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti. Nella Quaresima del 386 ritornarono a Milano per una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino, il figlio Adeodato e l'amico Alipio. Il giorno di Pasqua Agostino ricevette il battesimo insieme all'amico Alipio che era stato convertito dalle prediche di S. Ambrogio, e ad Adeodato, figlio dello stesso Agostino, natogli mentre era ancora filosofo pagano. Allora S. Ambrogio secondo quello che lui stesso dice, gridò: Te Deum laudamus. S. Agostino seguitò: Te Dominum confitemur.

Juan de Valdés Leal dipinse il quadro nel 1673. E' una tela ad olio di 165 x 109 cm. come dimensioni.

 

Juan de Valdés Leal nato nel 1622 a Siviglia era figlio di un orafo portoghese, mentre sua madre proveniva dalla famiglia andalusa dei Valdés. Ancora fanciullo Juan fu condotto dai genitori a Cordoba e non appena mostrò singolari disposizioni per la pittura fu mandato presso Antonio del Castillo che teneva bottega in quella città. All'età di venticinque anni Valdés si sposò con una cordobana, Isabella Martinez de Morales, pure pittrice. Sette anni più tardi - e dopo aver compiuto un viaggio per motivi di lavoro a Carmona nel 1653 - Juan rientrò a Siviglia dove ricevette numerose commissioni dalle congregazioni religiose e di carità. L' 11 gennaio 1660 i più accreditati artisti sivigliani istituirono una pubblica Accademia di disegno e Valdés, ch'era uno dei promotori dell'iniziativa, ne fu l'amministratore; dieci mesi dopo, tuttavia, egli si dimetteva dall'incarico e quantunque lo rieleggessero nel 1663, egli non conservò tale funzione, a causa della sua indole litigiosa e della sua estrosa irrequietezza.

Per rappacificarlo gli offrirono, il 25 novembre di quell'anno, la presidenza dell'Accademia, carica che egli tenne per tre anni, durante i quali si distinse per l'orgogliosa aggressività del suo temperamento. Ma ulteriori dispute provocarono nuovamente le sue dimissioni dall' Accademia (30 ottobre 1666), definitive, in quanto egli non vi rientrò più neppur quando, dieci anni dopo, se ne formulò il nuovo statuto. Vi era soprattutto una profonda gelosia che divideva Valdés dal Murillo, primo presidente dell'Accademia stessa, in quanto la temperata concezione estetica di quest'ultimo contrastava con quella del Valdés, caratterizzata dalla stravagante indole del pittore e dal suo inesauribile dinamismo. Fin dagli inizi, infatti, egli mostrò una rapidità ancor maggiore di quella del Castillo, suo maestro, e più oltre si diede - pur senza avervi dedicato studi particolarmente profondi - alla descrizione d'un mondo drammatico, violento, macabro.

Semmai, tecnicamente giovò a tali sue esperienze la conoscenza della pittura fiamminga, specie di quella di Rubens e van Dyck, oggetto di molte copie in Spagna, a quel tempo. Il frutto di codesti nuovi apporti, soprattutto cromatici, fu sorprendente e aggiungendosi agli effetti di luce e di movimento cari al pittore, produssero un così ossessionante senso di realismo che quando le due allegorie della Morte e della Vanità furono collocate nella ricostruita chiesa dell'Ospedale della Carità, l'anno 1672, colpito dalla rappresentazione di quei corpi sfatti e distrutti il Murillo esclamò: « Mio caro, vien proprio voglia di turarsi il naso! ». Per queste opere, che sono i suo capolavori, la confraternita dell'ospedale corrispose a Valdés la somma di 5.740 reales e due anni dopo richiese l'artista di comporre la copertina dell'inventario dei mobili, quadri e gioielli di proprietà dell' opera ospitaliera.

Juan eseguì allora un grazioso disegno ad acquarello e a penna e verso la fine dello stesso anno (1674) si recò a Madrid dove si guardò attorno quanto più possibile, frequentando anche quelle riunioni che i maggiori maestri tenevano a casa loro e che divenivano delle specie di piccole accademie. Morto nel 1682 Murillo, Valdés rimase il più importante pittore di Siviglia, ma anch'egli stava declinando e sovente dovette ricorrere all'aiuto di suo figlio Luca. Colpito infine da paralisi,si spense l'anno 1691.