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Madonna della Cintura con i santi Agostino e Monica
CALO' GIOVANNI BATTISTA
1789
Andria, chiesa di sant'Agostino
Madonna della Cintura con i santi Agostino e Monica
La pala è collocata nel terzo fornice di destra dell'altare dedicato alla Madonna della Cintura o Madonna della Consolazione. Nell'Ottocento su questo altare, tra stucchi che simulano un'architettura a tempio, c'era una tela che raffigurava la Crocifissione. La tela con i santi Agostino e Monica nell'Ottocento si trovava sull'altare di fronte, quello della Madonna della Cintura, intitolata anche fin dal XV secolo alla Madonna della Consolazione. Borsella nel suo volume "Andria Sacra" dà una speciale descrizione di questa chiesa e delle opere d'arte conservate. Il quadro della Madonna della Cintura viene da lui attribuito alla bottega dei pittori Calò. Possiamo riconoscere l'autore in Gian Battista Calò, come può leggersi nella firma posta in calce: «Jean Baptista Calò Tranensis Pin. A.D. 1789».
La scena riprodotta è abbastanza in linea con l'iconografia tradizionale di questo soggetto: fra le nubi, assisa come su un trono e coronata da un nugolo di angioletti, la vergine che regge in braccio il Bambino Gesù offre una cintola ai santi Agostino e Monica. Monica, sulla destra, è in atteggiamento contrito e devoto, vestita con gli abiti delle monache agostiniane e sembra con gli occhi voler ringraziare la Vergine per tale dono.
Agostino, a sinistra, indossa il piviale episcopale, ma subito sotto si nota con chiarezza l'abito nero dei monaci agostiniani, che lo considerano il loro vero fondatore. Il santo è in atteggiamento di profonda devozione con le mani raccolte sul petto e leggermente allargate come per accettare il dono della Vergine. Due angioletti in primo piano si trastullano con le insegne della dignità episcopale di Agostino: a sinistra il bambinello sembra quasi volersi mettere in testa la mitra. A destra l'altro impugna il bastone pastorale mentre addita un passo di un libro aperto.
Di questa tradizione tutta agostiniana c'è una spiegazione che viene riportata nel libro di preghiere e istruzioni "Manuale di Filotea" del famoso predicatore milanese dell'ottocento Giuseppe Riva:
«La madre di S. Agostino. S. Monica. Fatta vedova del suo consorte Patrizio, e risoluta di imitare Maria SS.ma anche nell'abito, la pregò di farle conoscere come avesse vestito nei giorni della sua vedovanza, specialmente dopo l'Ascensione di Cristo al cielo. La B. Vergine non tardò a compiacerla. Le apparve poco dopo coperta di un'ampia veste che dal collo le andava ai piedi, ma di stoffa così dozzinale, di taglio così semplice, di colore oscuro che non saprebbe immaginare abito più dimesso e penitenziale. Ai lombi era stretta da una rozza cintura di pelle che scendeva fin quasi a terra, al lato sinistro della fibbia che la rinfrancava. Indi slacciandosi di propria mano la cintura, la porse a S. Monica, raccomandandole di portarla costantemente, e di insinuare tale pratica a tutti i fedeli bramosi del suo speciale patrocinio. Il primo ad approfittarne fu il figlio S. Agostino e da lui venne in seguito a diffondersi in ogni ceto di fedeli, specialmente per opera del benemerito Ordine Agostiniano, la cui regola, con poche modificazioni divenne comune a tutti gli ordini religiosi della vita attiva che furono più tardi istituiti. ... »
Della chiesa di sant'Agostino Borsella ha lasciato una personalissima descrizione che riproduciamo in parte:
"... Dal qual tempo la chiesa venne occupata nel 1387 dagli Agostiniani Calzi sotto il pontificato di Urbano VI. Confermasi ciò da una lapide rinvenuta in una cisterna con questi versi:
"Belligerus ordo deo haec struxit tempia sacrata,
Inque aegris curam struxit et ille domum
His deinde pulsis, pietas suprema
Dinastae Fratribus eremi haec ipsa colenda dedit
Ut fidei nitor, et sanctae observantia legis
Cresceret, et staret. Principis altus amor."
Espulsi gli Agostiniani nel 19 Settembre 1809 il Collegio dell'Annunziata occupò questa chiesa ... Ecco, una nave spaziosa, e lunga che si strema in degno presbitero ampio bastantemente, con gradini marmorei; negli angoli dei quali elevansi ben quattro alte colonne ed in mezzo ad esso maestoso altare maggiore, di ottimi marmi costrutto, ai di cui corni sorgono superbi scudi abbelliti di cartocci, sulla mensa si alzano gradini ornati di foglie bianche ricurve tra fregi di marmo nero, giallo, e cipollino, senza parlare delle cornici che ne accrescono il decoro, e del paliotto finemente rabescato, con varii lavori. A fianchi sono affissi due scudi, ne quali fra ritorte cornici sono rilevati due aquile con gli stemmi dell'Ipponese. E in poggiar questo altare sopra quattro gradini di marmo patrio con fascette di giallo e nero rendesi vieppiù spettabile. Tralascio la grandiosa stella di marmo collocata nel mezzo del presbitero ed un'aquila a due teste di fini marmi nel mezzo della nave.
La plastica è profusa in questo tempio, con non poca lode della imitata e dello imitato, della Natura dico, e dell'artista; talchè l'occhio prima di slontanarsene, torna non sazio a rimirarne i pregi. Plastiche sono le quattro statue colossali degli Evangelisti, co' loro simboli del Leone, dell'Aquila, del Toro e dell'Angelo maestosamente seduti sui capitelli rispettivi, che fiancheggiano il presbitero, il di cui pavimento intarsiato di marmi come il resto di tutta la Chiesa termina con gradini marmorei bellamente fasciato nei zoccoli. Sicchè, lo sguardo dello spettatore ne rimane a sufficienza soddisfatto.
Plastiche pur sono altre tre statue erte attaccate ai muri fra i tramezzi degli altari di esse, uno rappresenta Gregorio de Verucolo, vecchione, morto nel XIII secolo in età di 118 anni. Egli genuflesso umilmente ai piedi d'un crocifisso medita sopra un libro aperto tenendo a manca un teschio di morte cui soggiacciono aspri cilizi e flagelli. Gli ornati, ed una porta, a sghembo mostrano quel venerando in barba prolissa uscire dal cupo antro dell'eremo cinto di piante silvane.
L'altro è il beato Agostino Termense Novello, Penitenziere della S. Sede, per cui nella destra stringe una chiave, asceso indi al grado di Generale dell'Ordine che mancò tra i vivi pure nel suddetto secolo. L'ultimo è Tommaso Arbuatti Picentino trapassato in odore di Santità nel secolo XVII. Egli sta in atto di sovvenire alcuni poverelli chiedenti pane. In uno di essi è bello mirare il fiaschetto di zucca che porta al cintolo, stando col cappello in mano e con la destra distesa sommesso il volto.
Tutta viva, e vera natura, la quale mirabilissima è sempre o che fosse nei marmi, o nei bronzi, o nelle pietre nelle tele, nei tufi, o dove che sia. Plastici pur sono i sei altari a stucco, gli Angioli nei corni, le modenature a sghembo, i gradini di marmo, con ornati, né troppo, nè vili. Plastiche le due eroine in cima ai medii altari, Giaele e Giuditta, rilevate dentro due scudi; quella chiodante l'empie tempia di Tisana e questa con la fida ancella tornar vittoriosa dal campo nemico coll'orrido teschio di Oloferne ... Non essendovi altri rimarchevoli plastici travagli, volgiamoci agli affreschi, che molto più splendida rendono questa Casa del Signore. Il primo di essi mostra Agostino in abito del secolo, seduto sotto ad una ficaia, levato il viso mirabondo ad un Angelo porgendogli la sacra Bibbia col motto Tolle lege. In seguito Agostino che riceve il lavacro di salute da Ambrogio con la maggior pompa liturgica. Di poi l'Ipponese in abito claustrale promulgante la sua regola, che ha in mano, agli alunni, che il cerchiano con grande attenzione. Finalmente Agostino in abito dottorale, fulminante anatemi con la brandita di Padre Eccelso della Chiesa, contro quella sacrilega setta, di cui già fu egli acerrimo difensore. La innocente rozzezza della scena campestre, la magnificenza delle vesti, la grandiosa vasca dell'acqua, la solennità del battezzante, e la umiltà del battezzato, i veraci effetti sculti, nel volto dei Monaci udenti la santa regola del Magistero, l'ansia del regolatore, la severa maestà del Padre della Chiesa ed una misteriosa paura affaticante, un gruppo di demoni, così orridi, folgorati nelle avvampate mentre avviticchiati da serpi, ed aspre ceraste, vomitanti fiamme dalle spalancate bocche con gli occhi così torvi in quei volti, tanto spaventevoli, e truci rendono non poco pregevoli i suddetti affreschi. Le cornici che li ricingono di uno stile capriccioso, servono al maggior merito alla mano maestra, che le congegnò. Dopo dei quali verremo a parlare dei quadri in tela più spettabili. Eccone due, splendido ornamento del presbitero ove sono affissi a rincontro. Sottoposti ai medesimi sono due abbachi di marmo, per poggiarvi i candelabri e le suppellettili sacre. Nel primo di detti quadri è meraviglioso vedere le forme veramente celesti del Bambino, la umiltà dei Porporati, genuflessi innanzi al re dei re, la modestia della Vergine, e la santa compiacenza del Patriarca Giuseppe, trapassando l'armonia degli atteggi, la benintesa proprietà dei colori, e la proporzione delle ombre, e della luce nel seguito di quei monarchi, e dei loro cammelli; e quella pompa di vestire sulla foggia orientale, e trapassando il fulgore della stella, guidatrice, che veramente, Par nel cielo mattutina stella.
Passiamo quindi a ravvisare le tele dei sei minori altari. Il primo appalesa la Madonna della Consolazione, avente il Bambino sulla destra cinta di Angioletti, ai di cui santi piedi stanno orando S. Monaca e S. Agostino, già vescovo. In cima dell'altare un ovato che figura la disputa di cui ragioneremo tra poco, che si ammira in sulla porta della Chiesa, quadro del tempo dei Templari Teutonici. Nel secondo altare si adora S. Nicola Tolentino dell'Ordine Eremitico, con tunica stellata, emblema di quelle sante virtù che fregiavano la sua bell'anima; nel cui seno splende acceso il sole della carità, che infiammavalo. È risaputo che i genitori l'imposero tal nome per effetto del voto a S. Nicola di Bari, ove si condussero colla promessa, che dato avrebbero il Santo suo nome alla prole nascitura. Nell'ovato vi è S. Gregorio Magno, ispirato dal Paracleto nell'udito, mentre francamente affermava che le sue opere venivangli infuse dallo Spirito settiforme. Su questo altare è esposto un quadro della Vergine del buon Consiglio. Succede il dipinto della Madonna degl'Angioli, che le fan corona, in atto che ella vezzeggia la prediletta prole. Accanto le stanno S. Anna e S. Rita, sostenuta nei suoi deliquii da due Serafini. Nell'ovato sono effigiati S. Lionardo in abito claustrale, ed il nostro protettore S. Riccardo. E sull'altare è allogato una tela di S. Camillo de Lellis, il quale spiega una singolare tutela a chiunque ricorre a lui negli estremi aneliti di vita. Vien appresso l'altare dell'Incoronata, cui sostanno le martiri S. Lucia e S. Caterina, avendo ciascuna la palma del martirio. Nell'ovato S. Sebastiano. Conseguita l'Annunziata; e nell'ovato S. Giovanni Sahaum della Spagna dell'ordine Eremitico, con calice nella destra, donde sorge una vipera, santo rinomato per li sorprendenti miracoli da lui operati. Nell'ultimo altare si venera Gesù sulla Croce, con la Vergine, S. Giovanni, e la penitente di Maddalo.
Nell'ovato S. Teresa assistita da serafini dedita a meditare il mistero della croce, con un teschio di morte avanti. Tutti i suddescritti quadri di una plausibile bontà sono opere dei ripetuti Calò, che non avendo nulla di pellegrino e di nuovo non entriamo a farle elogio con mentite lodi. Nella Sacrestia vedesi S. Tommaso da Villanova, Agostiniano, Vescovo di Velanza, ardentissima charitade in pauperis conspicuus. Onde dipingesi con un angelo a fianco che ha in mano una borsa, da cui sboccano monete ... Notiamo infine che nella sagrestia della congrega di S. Monaca stabilita in questa Chiesa, è affisso un antico quadro appartenente un tempo ai Teutonici che rappresenta S. Gregorio Magno, a dritta nel mezzo S. Agostino, con in mano la esposizione della scrittura, quindi vi é il Cardinale S. Bonaventura, e in fine S. Ambrogio, che sono i principali dottori della Chiesa. Tutti sono vestiti pontificalmente secondo il proprio ordine. Le statue che decorano la Chiesa medesima, sono S. Camillo, S. Monaca, la Madonna della Cintola e S. Nicola Tolentino, che oggi si possiede dagli Agostiniani, stabiliti nel Monistero della Madonna d'Andria, statue che non mancano del loro pregio.
[da "Andria Sacra" di Giacinto Borsella (1770-1856), Tip. F. Rossignoli, Andria, 1918]