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PITTORI: Gottfried Bernhard Göz

Sant'Agostino e il mistero della Trinità

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GOZ GOTTFRIED BERNHARD

1737-1742

Augsburg, Officina Klauber

 

Sant'Agostino e il mistero della Trinità

 

 

 

Il mistero della Trinità ha sempre affascinato Agostino. E spesso gli artisti si sono cimentati ad esprimere attraverso il linguaggio espressivo e simbolico il suo ardente desiderio di conoscere il senso di questo mistero. L'incisione di Gottfried Bernhard Göz (1708-1774) e Klauber riesce a definire con grande efficacia questa intensa passione di Agostino. Incisa a bulino la stampa ha per soggetto un Agostino vegliardo e pensoso in piena meditazione seduto su uno scranno. La mano destra appoggiato alla fronte corrugata esprime immediatamente il senso di estasi che coinvolge il santo.  Un bambino a forma di angelo gli volteggia attorno con in mano una penna e una specie di cucchiaio, un simbolo che ricorda la leggenda medioevale del bambino che incontra Agostino sulla spiaggia mentre medita sulla Trinità. Agostino è vestito da monaco agostiniano, ma sopra la poltrona sono ben visibili i suoi attributi episcopali. La tavola venne stampata dall'Officina Klauber tra il 1737 e il 1742.

La didascalia sotto il disegno "Tria sunt difficilia mihi" esprime tutta l'impotenza di Agostino a comprendere la natura trinitaria di Dio.

 

 

C'è un misterioso processo che avviene in Dio. Il Vangelo ci dice che Gesù di Nazareth era il Figlio di Dio. Ma che cosa significa? Che cosa vuol dire che Cristo e il Padre sono uno solo? L'interezza del messaggio cristiano sta proprio in questa unità, che si realizza sulla croce, grazie alla morte di Gesù, in quanto uomo. A questo proposito l'intelletto umano può trovare solo analogie. E il genio di Agostino ha esposto, in quindici analisi incredibilmente valide, il suo modo di approssimarsi a questo mistero dell'incarnazione di Dio e dello Spirito Santo. Di questi 15 libri possiamo qui prenderne in esame solo uno, e anch'esso solo per brevi cenni. Che cosa c'è di più misterioso dell'incarnazione di Dio?

 

D'altra parte fuori di te non esisteva nulla, da cui potessi trarre le cose, o Dio, Trinità Una e Trinità trina. Perciò creasti dal nulla il cielo e la terra ... Tu sei onnipotente e buono, per fare tutto buono, il cielo grande, come la piccola terra. C'eri tu e null'altro.

AGOSTINO, Confessioni 12, 7, 7

 

Lo scopo del De Trinitate è rendere ragione, per quanto è possibile, del fatto che la Trinità è un solo Dio e che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola e medesima sostanza. I libri I-IV intendono innanzitutto mostrare che questo è il contenuto della fede nella Trinità, sulla base dell'autorità delle Scritture. I libri V-VII quindi formulano il dogma evitando gli errori opposti del triteismo (secondo cui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sarebbero tre dèi) e del modalismo (secondo cui essi sarebbero soltanto manifestazioni estrinseche di un unico essere divino). Agostino si serve a tal fine della dottrina aristotelica delle categorie. Di Dio possiamo dire che è sostanza (substantia) o essenza (essentia); anzi, Egli "è" nel senso più vero del termine, perché è immutabile. Proprio perché immutabile, il Lui non vi sono accidenti; le sue perfezioni (bontà, giustizia, ecc.) si predicano dunque secondo la sostanza, cioè si identificano con il suo stesso essere. Non tutto ciò che si predica in Dio, tuttavia, si predica secondo la sostanza. Alcune cose si predicano in Dio secondo la relazione. È il caso dei nomi "Padre", "Figlio" e "Spirito Santo", che indicano appunto non la sostanza di Dio, ma le relazioni che sussistono in Lui. Il Padre è tale non in se stesso, ma in relazione al Figlio, e viceversa. Anche nomi come "principio" e "Signore" sono predicati di Dio secondo la relazione: essi fanno riferimento non all'essenza di Dio, ma alle sue relazioni nei confronti delle creature, o meglio alle relazioni che le creature intrattengono con Lui.

Agostino dice di aver iniziato i libri Sulla Trinità da giovane e di averli pubblicati da vecchio (Prologo alla Lettera 174). La stesura dell'opera lo impegnò per più di vent'anni, a partire dal 400 circa. Il tema era in effetti uno dei più ardui anche per una mente come la sua. Nel Medioevo sorse al riguardo la nota leggenda destinata ad avere un'enorme fortuna iconografica: quella dell'incontro in riva al mare tra Agostino e un bambino che cercava di trasportare con una conchiglia o altro piccolo recipiente (a seconda delle versioni) l'acqua marina in una buca scavata nella sabbia, simbolo della vana pretesa di comprendere con l'intelletto umano il mistero infinito di Dio. La storiella, simpatica e istruttiva, non rende però giustizia all'instancabile sforzo agostiniano di avvicinarsi e avvicinarci alla luminosa verità del Dio uno e trino, alla cui visione beatifica l'uomo è chiamato per l'eternità.