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PITTORI: Mack Alois

Agostino vescovo e Dottore della Chiesa

Agostino vescovo e Dottore della Chiesa

 

 

MACK ALOIS

1738

Gabelbach, chiesa di san Martino

 

Agostino vescovo e Dottore della Chiesa

 

 

 

L'attribuzione degli affreschi di Gabelbach è stata piuttosto controversa. Mentre nel passato l'attribuzioni degli affreschi era attribuita a Johann Georg Wolcker, ora gli storici propendono per un'opera di Alois Mack.

I medaglioni nel coro della chiesa parrocchiale di Gabelbacher con scene del gioioso Rosario corrispondono a quelli della chiesa domenicana di santa Maddalena ad Augusta. Questi affreschi sono l'unica opera superstite di Mack, che aveva eseguito nel 1723-1724 secondo i modelli del suo insegnante Bergmüller.

Questi modelli sono stati successivamente incisi su rame e sono stati utilizzati singolarmente o in serie da vari artisti.

L'affresco che raffigura sant'Agostino si trova nella navata centrale assieme ai ritratti impressionanti degli altri Dottori della chiesa che si inseriscono nei telai a forma di scudo nei soffietti. Nella parte anteriore sinistra vediamo Papa Gregorio Magno con la colomba dello Spirito Santo, di fronte c'è sant'Ambrogio, vescovo di Milano, quindi Agostino, vescovo di Ippona che tiene in mano un cuore fiammeggiante e sul lato destro l'eremita Gerolamo con il leone.

Agostino ha l'aspetto di un vegliardo con nella mano sinistra una penna e nella destra, che alza verso il cielo, un cuore fiammante. Il santo è seduto e indossa ricchi paramenti episcopali. Ai suoi piedi si nota un bambino con in mano un cucchiaio che simbolicamente ricorda l'episodio in cui Agostino cerca di scoprire il mistero della Trinità.

Questa leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

Questa leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.