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Agostino scrive la Città di Dio
OLIVIERI LEONARDO ANTONIO
1720-1740
Martina Franca, chiesa della Purità o di sant'Agostino
Agostino scrive la Città di Dio
Questa pala d'altare è stata realizzata con la tecnica della pittura a olio su tela. Alta 120 cm e larga 100, l'opera è stata attribuita a Olivieri Leonardo Antonio o alla sua Scuola, tuttavia è più probabile che sia opera di un altro pittore locale settecentesco nativo proprio di Martina Franca, dove ha lasciato numerose attestazioni della sua attività artistica. Si tratterebbe di Olivieri Leonardo Antonio, un pittore che si formò alla scuola di Solimena a Napoli.
Questa chiesa era annessa al convento delle suore agostiniane che un tempo vi risiedevano. Attualmente l'edificio è occupato dalle suore salesiane. Il dipinto ci presenta un Agostino dall'aspetto giovanile, dalla lunga e folta barba nera, il viso che scruta estatico le profondità del cielo quasi a prendere ispirazione per scrivere il De Civitate Dei. Sullo sfondo cinque angioletti osservano la scena dando un tocco di vivacità e di serenità all'ambiente austero. Agostino tiene in mano una penna d'oca con cui verga dei fogli di un libro su cui campeggia il titolo De Civitate Dei.
La cittadina pugliese di Martina Franca nella Valle d'Itria fu sede di un insediamento agostiniano e a tutt'oggi esiste ancora la chiesa dedicata a S. Agostino. Nel 1999 vi è stato fondato il Centro Studi Agostiniani della Valle d'Itria che si propone la finalità di studiare e diffondere il pensiero agostiniano. Diverse sono le immagini conservate a Martina Franca nella chiesa locale di S. Agostino, che risalgono principalmente al Seicento e al Settecento. Pur non di straordinaria fattura, si tratta pur sempre di opere pregevoli nell'ambito iconografico agostiniano che testimoniano l'evolversi della spiritualità nelle comunità agostiniane.
15. 1. Ho impiegato alcuni anni per comporre i libri su La Trinità, che è Dio. Già però nel tempo in cui non ero ancora giunto alla fine del dodicesimo e avevo trattenuto presso di me quelli già composti troppo a lungo rispetto all'aspettativa di coloro che avrebbero voluto averli, quei libri mi vennero sottratti, pur non essendo ancora corretti come avrebbero potuto e dovuto esserlo al momento in cui avessi deciso di pubblicarli. Quando me ne accorsi, visto che me n'erano rimasti altri esemplari, decisi di non pubblicarli di persona, ma di conservarli, ripromettendomi di chiarire l'accaduto in qualche altro mio scritto. In seguito però alle pressioni dei fratelli, alle quali non seppi resistere, provvidi a correggerli nei limiti che ritenni opportuno, completai l'opera e la pubblicai. Premisi al testo una lettera, indirizzata al venerabile Aurelio, vescovo della Chiesa di Cartagine, e in questa sorta di prologo esposi ciò che m'era accaduto, ciò che avevo avuto in mente di fare e ciò che in realtà avevo fatto per l'affettuosa pressione dei fratelli.
15. 2. Nell'undicesimo libro, trattando del corpo visibile ho detto: Perciò amarlo equivale a una pazzia. L'affermazione vale per quel tipo d'amore secondo il quale si pensa che, godendo dell'oggetto del proprio amore, si possa esser felici. Non è invece follia amare una bellezza sensibile in lode del Creatore e giungere così alla felicità vera godendo dello stesso Creatore. Ho ugualmente detto nel medesimo libro: Non mi ricordo di un volatile quadrupede, perché non l'ho visto, ma riesco facilmente a costruirne l'immagine aggiungendo a un tipo di volatile che ho visto oltre due altre zampe che pure ho visto. Dicendo questo non ero riuscito a ricordarmi dei volatili quadrupedi dei quali parla la Legge. Essa non annovera fra i piedi le due zampe posteriori che servono alle cavallette per saltare. Definisce inoltre queste ultime monde, distinguendole così da quei consimili volatili immondi che non riescono a saltare con quelle zampe come gli scarabei. Tutti gli animali di questo tipo son definiti nella Legge volatili quadrupedi.
15. 3. Non mi soddisfa la spiegazione da me data nel dodicesimo libro delle parole dell'Apostolo: Ogni peccato compiuto dall'uomo è fuori del suo corpo. Quanto alle parole: Chi commette fornicazione pecca contro il proprio corpo non penso vadano intese nel senso che si macchia di fornicazione colui che compie un'azione per ottenere i piaceri che si presentano attraverso il corpo e pone in questo il fine del suo bene. Tale comportamento comprende un numero ben maggiore di peccati di quello di fornicazione, che vien perpetrato in una unione illecita e del quale soltanto sembra parlare l'Apostolo nel passo citato. Quest'opera, ove si escluda la lettera, che solo in un secondo tempo ho collocato all'inizio, incomincia così: Il lettore di queste mie discussioni sulla Trinità.
AGOSTINO, Ritrattazioni, 15, 1-33
Leonardo Antonio Olivieri
Leonardo Antonio Olivieri nacque a Martina Franca nel 1689. Da giovane fu avviato alla pittura dallo zio omonimo, agrimensore e ricamatore. Ben presto si trasferì a Napoli, dove entrò nella bottega di Francesco Solimena. In breve tempo ne divenne uno dei allievi più apprezzati. Suo figlio Gennaro continuò l'attività della bottega paterna, senza però riuscire ad ottenere un analogo successo. Buona parte delle opere di Leonardo si trovano a Martina Franca e a Napoli, dove trascorse gran parte della sua vita. Numerosi sono tuttavia i suoi dipinti in chiese e pinacoteche di altre città del Sud Italia, a Nardò, Taranto, Bari, Caiazzo, Corigliano Calabro, Versa, Poggiorsini. Morì a Napoli nel 1752.