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PITTORI: Antonio Rossi

Agostino e santa Monica di Antonio Rossi a Bologna

Agostino e santa Monica

 

 

ROSSI ANTONIO

1700-1753

Bologna, S. Giacomo Maggiore, Cappella Coltelli

 

Agostino e santa Monica

 

 

 

La tela si trova nella seconda cappella della chiesa agostiniana di S. Giacomo a Bologna. Questa cappella appartenne fin dal 1515 alla famiglia di Annibale Coltelli, la cui sepoltura si trova all'esterno della chiesa presso l'entrata dell'antico convento. Il quadro con i santi Agostino e Monica venne realizzato da Antonio Rossi (1700-1753). L'ornato invece è opera di Onofrio Zanotti e risale all'Ottocento.

 

Salvo la facciata del Teatro Comunale, la piazza conserva tutto il suo assetto quattrocentesco. Sul lato ovest si affacciano maestosi i vari elementi del complesso di S. Giacomo che degradano sugli unici avanzi delle mura merlate del Mille. A queste si addossa il campaniletto e la chiesetta di S. Cecilia e, sulla destra, la testata del portico bentivolesco. Dietro S. Cecilia la copertura a ombrello della cappella Bentivoglio, che fa parte della raggiera absidale. Poi, più in alto, le cuspidi e i pinnacoli della tribuna, su cui è addossato, a sinistra, lo snello campanile a campate sovrapposte con finestre abbinate, terminante con quattro lesene corinzie che incorniciano i grandi finestroni della cella e sul cui guscio poggia un semplice coronamento ad architrave. Il concerto in mi minore delle campane di S. Giacomo è considerato tra i più belli di Bologna, di perfetta intonazione anche negli armonici, e percorso da una delicata vena di malinconia. Sopra la tribuna si intravede anche la testata a capanna dell'antica fabbrica, con l'incorniciatura ad archetti trilobati che corona tutto il perimetro della chiesa. Più in alto ancora la cupola rinascimentale nel rifacimento sommario di Antonio Morandi detto il Terribilia.

Educata dunque alla discrezione e alla sobrietà, e da te sottomessa ai genitori piuttosto che dai genitori a te, quando compì l'età da marito fu consegnata a un uomo che servì come un padrone: e fece di tutto per guadagnarlo a te, parlandogli di te con quel suo modo d'essere di cui tu la facevi bella e pur nel suo contegno amabile e ammirevole per il marito. Quanto poi agli oltraggi da lui inflitti al letto coniugale, fu così tollerante che non ebbe mai alcun diverbio con lui a questo proposito. Aspettava che su di lui scendesse la tua misericordia, e con la fede gli desse un po' di castità. Lui era del resto capace di forti attaccamenti come facile all'ira. Ma lei riusciva a non opporre resistenza, neppure verbale - per non parlare delle azioni - al marito mentre era in collera.

Quando però l'ira era sbollita e lo vedeva tranquillo, coglieva il momento adatto per rendergli conto delle proprie azioni, nel caso che la sua furia fosse stata senza motivo. C'erano molte sue amiche che avevano mariti meno violenti, eppure portavano in faccia i segni delle percosse, a volta erano addirittura sfigurate: durante le loro conversazioni si lamentavano del modo di vivere dei mariti. Ma lei, quasi prendendole benevolmente in giro disapprovava il loro linguaggio - e in questo c'era qualcosa di serio: dal momento in cui, diceva, si erano sentite leggere solennemente il contratto matrimoniale, dovevano considerarsi schiave in forza di quel documento. Ricordassero dunque la loro condizione: non era proprio il caso di alzare troppo la testa di fronte ai loro padroni. Quelle restavano ammirate, sapendo che marito irascibile doveva sopportare: non s'era mai sentito dire, anzi non c'era il minimo indizio, che Patrizio battesse la moglie o che ci fosse stata anche una sola lite coniugale fra loro. E quando le chiedevano, in confidenza, come fosse possibile lei recitava la regola che ho ricordato. Quelle che riuscivano a osservarla poi la ringraziavano dei risultati ottenuti, e quelle che non ci riuscivano continuavano a subire vessazioni.

AGOSTINO, Confessioni 9, 9, 19