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PITTORI: Maestro di Volterra

Agostino vescovo e Dottore della Chiesa

Agostino vescovo e Dottore della Chiesa

 

 

MAESTRO DI VOLTERRA

1728

Volterra, chiesa di sant'Agostino

 

Agostino vescovo e Dottore della Chiesa

 

 

 

La facciata, per metà romanica e per l'altra metà settecentesca, è sormontata da quattro busti in pietra raffiguranti i santi, tutti venerati dall'Ordine agostiniano, Agostino, Tommaso da Villanova, Nicola da Tolentino e Monica.

Agostino è raffigurato a mezzo busto nelle sue vesti episcopali con in testa la mitra.

Il volto del santo ha un aspetto maturo con una folta barba che gli copre il mento e gli scende fin sul petto.

 

Secondo la Cronistoria della città di Volterra, scritta da padre Giovannelli ed edita nel 1613, fu nel 1265 che gli Agostiniani stabilirono la loro sede conventuale e religiosa al posto dell'antico ospedale intitolato ai Santi Iacopo e Filippo. Apprezzati dal popolo per la fama spirituale così grande che li accompagnava, il Comune di Volterra deliberò che si trasferissero dal Romitorio di S. Lucia del Bosco in un terreno, a Volterra, donato dallo stesso Comune.

"Il primo ottobre 1279 il Podestà di Volterra Paganello, gli Anziani, il Consiglio generale della città e del Comune e cento buoni uomini riuniti a suon di campana e per voce di banditore nel palazzo di detto Comune elessero Iacopo Pedone e Michele di Bonaccorso, doganieri della Dogana del sale della Città, per procedere alla costruzione del Convento e Chiesa dei Frati dell'Ordine del Beato Agostino”.

Venne avviata la costruzione della chiesa di S. Agostino e del convento degli agostiniani che arrivarono in città processionalmente, portando le sacre reliquie delle SS. Spine, oggi racchiuse nella Cappella a sinistra dell'altare maggiore della chiesa. Tanto la chiesa che il convento con l'annesso orto esistevano probabilmente prima del 1349, quando cioè Filippo Belforti, eseguendo le disposizioni testamentarie di Ottaviano Strenna, eresse l'ospedale dei Santi Giacomo e Giovanni.

Gli agostiniani rimasero a Volterra fino al 1810 quando furono allontanati a seguito delle soppressioni napoleoniche. Il 31 marzo 1811 il Vescovo Incontri costituì la chiesa come sede parrocchiale, trasferendovi il titolo dell'antica parrocchia di San Pietro in Selci (la Parrocchia si chiamava infatti prioria di S. Pietro in S. Agostino). Con decreto vescovile del 2005 è stata costituita la Parrocchia unica della Basilica Cattedrale, dove sono confluiti i titoli delle tre antiche parrocchie del centro città: i Santi Michele, Agostino e Francesco. All'inizio la Chiesa presentava l'interno ad una sola navata con copertura a capriate; nel 1728 la chiesa subì profonde trasformazioni: l'unica navata lasciò il posto a tre navate, coperte con volta. Tracce della primitiva costruzione si possono notare sul basamento della facciata che, eseguita a conci di marmo bianco con intarsi, presenta tracce romaniche. Lungo le navate laterali ci sono cinque altari, mentre due cappelle si aprono nella navata destra e due ai lati del coro. Attualmente misura 59 metri di lunghezza: la Chiesa, come quella di San Francesco, ha accolto nel tempo le sepolture delle famiglie nobili volterrane più insigni. Entrando a destra, accanto alla porta, si nota subito un affresco del XIV secolo, raffigurante un abate e la committente in ginocchio. Segue un sepolcro di marmo di fine fattura. L'urna, posta su un piedistallo ai lati del quale campeggia lo stemma del defunto, è incastrata in una nicchia, il cui arco è decorato da sette teschi, alternati da tibie incrociate.

In alto, sopra l'arco, è scolpita la figura di Cristo risorto (la scritta in latino recita: Solo lo sono la tua salvezza) e vari emblemi della passione. È il sepolcro di Alessandro Riccobaldi del Bava, canonico della cattedrale e vicario generale del Vescovo Francesco della Rovere, morto nel 1523. Il sepolcro ha tutti i caratteri dell'arte fiorentina. Dopo, la statua della Vergine e Martire siracusana Lucia (la giovane donna uccisa all'inizio del IV secolo durante la persecuzione di Diocleziano, per non rinunciare alla fede cristiana), qui venerata in occasione della sua festa il 13 dicembre, troviamo un altare con tela settecentesca del pittore Bettoni, che raffigura S. Barbara, S. Antonio Abate, S. Giovanni da S. Facondo. Merita menzione il Sepolcro della famiglia Falconcini, la cui cappella è la seconda nella navata di destra. La cappella, dal pavimento in marmo con al centro il grande stemma della ca sata, in forme ridotte anche sulle pareti e sul soffitto, presenta sull'altare il crocifisso detto di San Pierino, dipinto su tavola sagomata a forma di croce, che si crede opera del XIII secolo di scuola greco-bizantina. In questa cappella era custodita la tavola raffigurante il crocifisso e i Santi Antonio Abate, Giovanni, Francesco, la Madonna oltre al committente nelle sembianze di S. Agostino; la tavola (1611) fu trasferita nel 1842 in Cattedrale e collocata a destra prima di entrare nella cappella di San Carlo. A seguire troviamo la Cappella della Vergine delle Grazie, sull'altare fatto erigere dal Conte Felicini, recluso nel carcere di Volterra a causa dei molti delitti commessi, poi vissuto piamente fino alla morte il 16 novembre 1715. Sotto la mensa dell' altare notiamo delle figure di terracotta colorata rappresentanti la Pietà di Gesù Cristo e due Angeli, opera attribuita allo scultore volterrano Zaccaria Zacchi. L'affresco sull'altare è realizzato segando l'immagine della Madonna da una parete della cappella: autore di questa operazione, come ricorda la scritta sul retro fu Filippo Sanfinocchi. La cappella è decorata a chiaro scuro dal Caluri ai primi del Novecento, riproducendo dipinti noti (esempio lo Sposalizio della Vergine di Raffaello).

Sopra la porta d'ingresso, in cantoria, l'organo del 1840. Arriviamo così all'altare maggiore che sorge di fronte ad uno spazioso coro con antichi stalli ed inginocchiatoi. Ai lati, due seicenteschi candelabri in alabastro. Nella cappella di destra si conservano sotto l'altare le reliquie dei Santi Innocenti e dei SS. Pietro e Paolo, prezioso dono fatto ai volterrani dal Papa Callisto Il che visitò la città nel 1120.

Sopra il reliquiario è visibile l'immagine del Sacro Cuore, qui particolarmente venerato. Questa cappella, che si chiamava anticamente cappella di S. Caterina, è particolare perché legata all'usanza che vedeva il 25 novembre di ogni anno gli alunni delle scuole superiori recarsi qui cantando, vestiti di cappe bianche e ornati di pizzi. Veniva celebrata una Santa Messa ed uno scolaro recitava un'orazione alla Santa, seguita da una sacra rappresentazione del Martirio. L'usanza si è mantenuta fino al 1710. A sinistra dell'altare maggiore, un quadro di Baldassarre Franceschini: San Tommaso da Villanova e Santa Chiara da Montefalco, opera del 1699. È questo il cosiddetto Altare delle spine. Il quadro presenta, in alto, due puttini che sostengono le cortine di un tabernacolo dove, in un ricco reliquiario d'argento donato dalla granduchessa Cristina di Lorenza, sono collocate tre spine della corona di Gesù. Nel pilastro dell'arco del coro è incassato un ciborio in marno del XV secolo, raffigurante il Cristo adorato dagli Angeli. Nel coro l'organo del Seicento, di scuola cortonese.

L'altare maggiore ed il crocifisso sono del XVIII secolo. Scendendo dall'altare maggiore incontriamo l'altare eretto nel 1614 da Padre Giovannelli, storico volterrano, sul quale è collocata la tela di Ulisse Gnocchi, che raffigura la Madonna del Soccorso che caccia un demonio, S. Carlo, S. Lucia, S. Agata e S. Rocco.

All'altare seguente, procedendo verso l'uscita, un quadro di Baldassarre Franceschini, rappresentante la presentazione di Gesù al tempio (1630). All'ultimo altare, un'opera di Giuseppe Fabbrini (inizio XIX secolo), raffigurante il transito di Nicola da Tolentino: il santo gravemente ammalato è assistito da due confratelli e confortato da Maria e S. Agostino. La lapide accanto ricorda che in questa Chiesa è sepolto Giusto Turazza, benemerito cittadino volterrano morto nel 1553 e fondatore del Pio Istituto dei Bonomini. In fondo alla navata un frammento di affresco quattrocentesco raffigurante Gesù morente sulla croce con ai piedi la Maddalena, la Vergine e San Romualdo. L'affresco fu qui trasportato nel 1885, dalla Badia Camaldolese presso le Balze. I locali adiacenti la chiesa (sulla sinistra per chi guarda la facciata), nei quali è visibile la struttura dell'antico chiostro del convento, sono oggi dedicati all'accoglienza ed alla carità della Parrocchia. Proseguendo verso la Porta a Selci, sullo stesso lato della via si trova la Chiesa di San Pietro in Selci, nel luogo in cui esisteva una delle prime chiese della città. Normalmente chiusa perché bisognosa di restauri (vi si celebra la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo) presenta una bella facciata, in stile barocco, con due statue in tufo di San Lino e di San Giusto. La struttura accanto alla chiesa, il cui impianto originario è ascrivibile ai secoli XIII-XIV, è stata lungamente adibita a monastero dove la principale attività consisteva nell'educazione delle fanciulle. Oggi l'edificio è appartenente alla Fondazione Conservatorio di San Lino in San Pietro.