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Il quadro con Sant'Agostino attribuito a Caravaggio
ANNUNCIATA LA SCOPERTA IN SPAGNA DEL QUADRO DI SANT'AGOSTINO DEL CARAVAGGIO
Ha suscitato grande curiosità e non poche polemiche l'annuncio apparso su IlSole24Ore della scoperta del quadro che raffigura sant'Agostino che viene attribuito a Caravaggio. Di seguito gli articoli apparsi sui giornali che trattano della questione.
Agostino, il Caravaggio ritrovato
di Silvia Danesi Squarzina
da IlSole24Ore di domenica 12 giugno 2011
Passeggiando nei giardini del Quirinale, in occasione della celebrazione della ricorrenza del 2 giugno, rievocavo con il consigliere di Stato Damiano Nocilla, già segretario generale del Senato, il successo della mostra «Caravaggio e i Giustiniani» che si inaugurò nel gennaio 2001 a Palazzo Giustiniani con una coda di folla che arrivava fino al Pantheon. Io stessa, che avevo dedicato alle ricerche necessarie alcuni anni della mia vita, ero incredula e, certo, felice. Il padrone di casa era il presidente del Senato di allora, Nicola Mancino. L'esposizione riportava nella sede originaria capolavori dell'antica collezione Giustiniani dispersi in vari musei del mondo. La qualità delle opere riunite – e non mancarono le scoperte, come una statua di Michelangelo inedita nota solo attraverso le fonti - rivelava il gusto raffinato e colto di Benedetto e Vincenzo Giustiniani.
Cercai di lasciar parlare i due collezionisti, e di ricostruire quella magica commistione, evidente nella prima e nella seconda stanza dei quadri antichi (descritte dagli inventari), fra artisti del '400 e del '500, e pittori viventi, scelti con estremo rigore qualitativo. Michelangelo Merisi detto Caravaggio era ammesso interamente nell'Olimpo voluto e pensato dal marchese Vincenzo. I suoi dipinti sono elencati in questo prestigioso contesto: per i Giustiniani il maestro aveva dipinto capolavori come L'amore vincitore (Berlino, Gemälde Galerie) o L'incredulità di S. Tommaso (Potsdam, Bildergalerie von Sanssouci). I Caravaggio dei Giustiniani erano ben quindici, ma ce ne sono pervenuti solo cinque. Altri tre (S. Matteo con l'angelo, Cristo nell'orto, Fillide) sono stati distrutti (oppure sono spariti) a Berlino alla fine della Seconda guerra mondiale, e li conosciamo solo in fotografia. I rimanenti quadri sono un autentico chiodo fisso per noi studiosi: non muore mai la speranza che improvvisamente riaffiorino da qualche parte. Oltre un anno fa, nel maggio 2010, mi venne sottoposto un dipinto inedito, raffigurante S. Agostino, emerso da una collezione privata spagnola. Mi resi conto che si trattava dell'opera di Caravaggio descritta negli inventari redatti personalmente da Vincenzo Giustiniani e trascritti dal notaio nel 1638: «Un quadro d'una mezza figura di Sant'Agostino depinto in tela alta palmi 5. e 1/2 e larga 4. 1/2 incirca di mano di Michelangelo da Caravaggio con sua cornice negra» conservato nella prima stanza dei quadri antichi. Questo quadro rimase nella collezione Giustiniani per secoli, menzionato in tutti gli inventari successivi fino alla vendita, avvenuta fra il 1857 e il 1862. Sovente vengono compiute attribuzioni e identificazioni attraverso il confronto con inventari di antiche collezioni. Ma il nesso è spesso molto aleatorio. Non in questo caso.
Un'etichetta in pergamena posta sul retro del telaio costituisce una connessione inequivocabile. La scritta su di essa non era di immediata comprensione, ma per fortuna il secondo dei tre volumi da me pubblicati nel 2003 presso Einaudi, contenenti tutti gli inventari della collezione e redatti in varie epoche, mi ha offerto la spiegazione. Le parole scritte sull'etichetta forse dalla mano del collezionista spagnolo che acquistò il S. Agostino sono precisamente queste: «Procedencia del Marqués Recanelli en la calle del gobierno». Si tratta del marchese Pantaleo Vincenzo Giustiniani Recanelli, il quale nel 1857 era divenuto, dopo una lunga causa, l'erede legale dei resti della collezione Giustiniani (la parte maggiore era già stata venduta nel 1815 al re di Prussia) e si era insediato nell'antico palazzo. Il termine spagnolo «calle del gobierno» è la traduzione di Via del Governo, ossia l'indirizzo di allora (al n. 38) di Palazzo Giustiniani (la strada ha cambiato nome, e oggi si chiama via della Dogana vecchia).
L'indirizzo «Via del Governo» compare nell'avviso a stampa della pubblica asta «di quadri antichi appartenenti alla Galleria dell'ecc.mo Patrimonio Giustiniani», datato 13 aprile 1859. Dunque è fuor di dubbio che questo quadro provenga direttamente dall'antica collezione dei Giustiniani. Ma dopo aver descritto il percorso documentario, vorrei parlare del dipinto, quale esso ci appare, dopo una pulitura resa necessaria da ossidazioni e da una patina scura che velava la superficie. Questa velatura mi fece sospettare che ci fosse lo zampino di Margherita Bernini, una restauratrice che – presentata dal pittore Pietro Angeletti, autore dell'inventario della collezione Giustiniani del 1793 – attorno al 1788 aveva trattato molti quadri della collezione Giustiniani con quella che lei chiamava la «magica manteca», ossia un beverone a base di chiara d'uovo da spennellare sulla tela, che lasciava una traccia non priva di colature e che sarebbe assai ingiallita negli anni. Il 1788 era il momento della polemica condotta da Filippo Hackert sul «Giornale delle Belle Arti» contro l'uso della vernice sulle pitture, e in quell'occasione la Bernini fece i suoi esperimenti. Il suo "trattamento" l'avevo già rilevato, ad esempio, nella serie degli Apostoli di Francesco Albani, proveniente dalla collezione Giustiniani (che ritrovai nella Moritzkirche di Naumburg, lì esiliati da Wilhelm von Bode, direttore dei Musei di Berlino), e quindi mi saltò immediatamente agli occhi nell'atto di esaminare il S. Agostino prima della sua pulitura.
Le radiografie e riflettografie, eseguite nel 2010 dallo Hamilton Kerr Institute di Cambridge, hanno altresì rivelato numerosi, piccoli pentimenti, fra cui uno assai tipico di Caravaggio, lo spostamento dell'orecchio di un centimetro più a sinistra. Si nota la tecnica di Caravaggio nel lasciar affiorare la preparazione bruna fra campiture di colore diverse, come scrive il Bellori: «Lasciò in mezze tinte l'imprimitura della tela». Il restauro ci ha restituito dei colori delicatissimi, caratteristici delle opere del Merisi anteriori al 1600, un'estrema precisione nelle masse e nei contorni e una sapiente orchestrazione dei piani spaziali e dei valori ottici. Le dimensioni della tela – centimetri 120x99 - corrispondono a quelle indicate in palmi dagli inventari: tela alta palmi 5. e 1/2 e larga 4. 1/2 incirca. La figura del Santo, come usava fare Caravaggio, è a grandezza naturale. La mano sinistra si appoggia sul libro come una conchiglia, e noi contempliamo la parte superiore delle dita, le ombre proiettate sulla pagina e i colpi di luce che giungono dall'alto e da sinistra. Ma vediamo anche, con perfetta raffigurazione prospettica, la parte interna, ossia la cavità del palmo della mano, dolcemente sollevata, con un movimento che ricorda, pur con differenze, la mano soave dell'angelo che poggia su quella di S. Matteo nella prima versione della pala Contarelli per la chiesa di S. Luigi dei Francesi, poi acquistata da Vincenzo Giustiniani e perita nel disastro di Berlino nel 1945. La massa scura dell'abito di Agostino, cinto dalla rituale striscia di cuoio, fa da centro della composizione, la testa barbata emerge dalla cocolla e ce lo mostra ancora giovane, con la tonsura circondata da un'aureola di capelli, con la fronte illuminata da una luce che accarezza il viso, le palpebre semi abbassate (motivo che ricorre di frequente nel Merisi) e lo sguardo intento alla lettura di un volume posto alla sua sinistra, mentre la mano destra è intenta a scrivere, anzi a trascrivere, su un foglio sull'altro lato. Le rughe appena accennate della fronte, viste da vicino, sono tratteggiate con delle linee scure alternate a linee rossastre che danno da lontano un effetto di leggero rilievo, nello stesso modo con cui sono disegnate le rughe sul viso del S. Gerolamo della Galleria Borghese. La cura dei dettagli è estrema, una penna d'oca è stretta fra l'indice e il pollice, mentre un'altra penna giace appoggiata sopra al calamaio, vicino al coltellino che serve per tagliarne la punta. Il calamaio di forma ovale, è lo stesso, identico, che vediamo poggiato sul tavolo nella Chiamata di S. Matteo, tela laterale della Cappella Contarelli, opera di Caravaggio che segue al contratto datato 23 luglio 1599.
Qui apro un inciso. La Congregazione della Fabbrica di S. Pietro, di cui faceva parte il cardinale Benedetto Giustiniani, aveva tolto ai Crescenzi – vedi l'avviso del 12 luglio 1597 – la gestione del cospicuo lascito Contarelli per la decorazione della Cappella e aveva ingaggiato Caravaggio. Baglione scrive «per opera del suo cardinale hebbe in San Luigi de' Francesi la cappella Contarelli» e si è sempre detto che si trattava del cardinal del Monte, ma è più probabile, a mio parere, che dietro le quinte ci fossero anche i due fratelli Giustiniani, il cui palazzo è di fronte alla chiesa di S. Luigi, e i cui rapporti con l'area filo francese (e di riflesso filo mediceo) del clero erano strettissimi: infatti Vincenzo acquistò, come ho già detto, la prima versione della pala d'altare della chiesa dei Francesi. Le vicende documentarie sono complesse e contraddittorie, ma certo è che nel contratto del 23 luglio 1599, che specifica 400 scudi con acconto di 50, più la fornitura del costoso azzurro "oltramarino" a Caravaggio, per i laterali della Cappella Contarelli "consegnati", appare padre Berlingherius, iudex et deputatus per conto della Fabbrica di S. Pietro.
Tornando al S. Agostino, un panno verde copre il tavolo, il cui piano prospetticamente inclinato ospita anche un volume posto in primo piano leggermente sporgente rispetto al bordo del tavolo, con un effetto ottico che ritroviamo nel secondo S. Matteo con l'angelo, conservato nella Cappella Contarelli (anche i lacci del volume sono identici), e nella cesta di frutta della Cena in Emmaus (Londra, National Gallery), posta in bilico sulla mensa. L'ombra del libro scivola lungo il bordo del tavolo e sfuma nell'accompagnarlo verso il basso con una perfetta padronanza delle leggi ottiche. La luce e le ombre sono i soli elementi di movimento in questo quadro rigoroso, essenziale e rarefatto, in cui il silenzio del raccoglimento del Santo si fa palpabile, e la intensa concentrazione del volto dominano e motivano la composizione. I libri, in primo piano e sullo sfondo, il teschio, la penna, il cappello da vescovo faranno da modello per molti artisti successivi, vedi il S. Agostino di Ribera (Palermo, Palazzo Abatellis), vedi il S. Agostino di Vignon (Toledo, chiesa di S. Pietro Martire), entrambi artisti che dipingevano per i Giustiniani. Resta da spiegare la scelta di far raffigurare un Padre della Chiesa.
Entrambi i fratelli Giustiniani erano molto religiosi, ma la figura di Agostino era fondamentale per il marchese Vincenzo, che nel suo importante Discorso sopra la musica lo cita e lo pone fra gli autori antichi che hanno insegnato «la teorica della musica». In conclusione questo interessante inedito, ora presentato a Ottawa in un contesto internazionale, ci mostra Caravaggio in una fase a noi poco nota, di transizione verso la pittura sacra, sotto l'occhio severo di un conoscitore come Vincenzo Giustiniani, forse una difficile prova prima degli incarichi per la Cappella Contarelli, e prima del ritratto di Benedetto Giustiniani.
Non studiarlo a fondo sarebbe un grave errore. Anche il Cristo nell'orto che sveglia gli Apostoli, opera distrutta, dipinta per i Giustiniani, che conosciamo solo in fotografia, ci mostra una vena interiorizzante e molto controllata, da datare, come il S. Agostino qui presentato, prima del 1600.
La risposta del critico d'Arte Vittorio Sgarbi
A bocciare la rivelazione dell'inserto domenicale del quotidiano di Confindustria è Vittorio Sgarbi, con un intervento sul Giornale.
Sgarbi spiega che si è "compiaciuto" della "bella notizia" ma dopo aver "visto l'immagine pubblicata a tutta pagina" ha capito che "si trattava di una 'bufala'".
Sgarbi poi aggiunge: "Dispiace per l'interesse e la suggestione dei riferimenti esterni, che sembrano confortare una tanto importante e audace attribuzione ma, come sa bene Silvia Danesi Squarzina, il primo documento sono le opere, e la storia dei dipinti è piena di sorprese che non corrispondono ai riscontri pur seducenti" continua: "è difficile pensare che un'opera così moscia e priva di energia possa essere riferita a Caravaggio soltanto perché si stabilisce un riscontro fra la descrizione degli inventari di Vincenzo Giustiniani del 1638: 'Un quadro di una mezza figura di S. Agostino dipinto in tela alta palmi 5 e mezzo e largo 4 e mezzo incirca, di mano di Michelangelo da Caravaggio con sua cornice negra', con una scritta dietro il quadro in cui il nuovo proprietario ricorda la «procedencia (provenienza) del Marqués Recanelli en la calle del Gobierno», l'attuale via della Dogana vecchia dove è Palazzo Giustiniani".
Caravaggio inedito, Squarzina replica a Sgarbi: ricerche fondate su documenti
13 giugno, ore 20:29 Roma
La studiosa dopo la 'bocciatura' del critico d'arte: "E' indispensabile vederlo in originale. Organizzeremo una tavola rotonda davanti al dipinto, e così lo specialista potrà offrire il suo prezioso parere alla luce di un esame diretto."
- Un'opera "contesa'"tra due studiosi che suscita pareri opposti. E' un dipinto inedito di Caravaggio, raffigurante Sant'Agostino, il cui ritrovamento in Spagna è stato annunciato ieri da Silvia Danesi Squarzina, docente di Storia dell'arte moderna all'Università 'Sapienza' di Roma. 'Bocciato' da Vittorio Sgarbi che lo ha considerato addirittura "una bufala". Un ritrovamento difeso, invece, dall'esperta della Sapienza che, parlando con l'Adnkronos, replica alle accuse. ''Mi dispiace - spiega Danesi Squarzina - che Vittorio, che stimo come conoscitore, abbia espresso parere contrario al mio. Il mio parere è fondato sui documenti di archivio". "Vittorio - continua Squarzina - cita Longhi, che sottolineava l'importanza dell'opera d'arte come primario documento essa stessa. Ma Vittorio dimentica che Longhi metteva in guardia i giovani dall'uso delle riproduzioni".
Per valutare un dipinto, ammonisce Danesi Squarzina, specialista della collezione Giustiniani, "è indispensabile vederlo in originale, in carne e ossa. Pertanto invito Vittorio Sgarbi a venire a Roma in novembre, quando il dipinto sarà tornato da Ottawa". "Se il proprietario lo presterà, organizzeremo una tavola rotonda davanti al dipinto, e così lo specialista potrà offrire il suo prezioso parere alla luce di un esame diretto". In questa occasione, conclude l'esperta, "avremo davanti i risultati comparativi di una indagine promossa dalla Soprintendente Rossella Vodret su ben 23 dipinti di Caravaggio, e potremo fare il punto sui primi anni romani di Caravaggio". Nel frattempo, il dipinto sarà esposto alla National Gallery di Ottawa in una importante mostra su Caravaggio, curata da David Franklin e da Sebastian Schutze, autore di una recente monografia su Caravaggio.