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rinaldo beretta: Agostiniani e Camaldolesi sul S. Genesio

Stazione religiosa con reminiscenze e simbolismi agostiniani a Montevecchia

Stazione con la scritta Fac ut ardeat cor meum

 

Rinaldo Beretta

Agostiniani e Camaldolesi sul S. Genesio

 

 

Nella catena montuosa che da Beverate si stende fino a Valmadrera emerge una cima, alta 857 metri sul mare, che offre una visione panoramica veramente meravigliosa nella sua vastità e varietà. Quella cima ab immemorabili è intitolata al martire S. Genesio, per una chiesetta che ivi fu eretta ed a lui dedicata, e della quale vi è memoria fino dal secolo X. (1)

Pensò qualcuno che quella vetta fosse durante il paganesimo sacra a Giove Summano, deducendolo dal nome di Giovenzana, paesello presso la sommità del monte, ma è più verosimile che Giovenzana, allo stesso modo di tant'altri nostri nomi locali, derivi dal gentilizio romano Iuventius, come il vicino Cagliano da Callius. Il parroco di S. Vittore di Brianza saliva talora fin lassù a celebrare, massime nella seconda festa di Pasqua e nel giorno 23 di agosto, sacro a S. Genesio. Ma poichè il parroco non poteva che qualche rara volta fra l'anno recarsi a quella chiesetta, né agli abitanti di Cagliano e Campsirago, lontani dalla parrocchiale, veniva fatto di avere alle loro chiesuole un sacerdote che celebrasse la messa nei dì festivi, così essi nel 1591, a ciò spinti da un fra' Martino da Lucca, agostiniano, che si era annidato a Cagliano chiamatovi probabilmente dagli stessi abitanti, proposero ai padri eremitani di S. Agostino della Congregazione di Lombardia di cedere loro in proprietà la chiesa di S. Genesio con terreno annesso, e di concorrere alla costruzione di un piccolo convento.

Conclusa la cosa, gli interessati ricorsero a Roma ed ottennero, in data 18 luglio di quello stesso anno, un Breve di Gregorio XIV col quale la cessione della chiesa di S. Genesio fatta agli Agostiniani veniva pienamente approvata. Se non che il parroco di S. Vittore, D. Martino Ponzoni, uomo energico, a cui quelle trattative e quel ricorso erano stati tenuti nascosti, come ebbe notizia di quel Breve pontificio, protestò solennemente innanzi al Vicario generale della Curia Arcivéscovile di Milano per la violata sua giurisdizione. lnterpostesi alcune autorevoli persone, si venne il 19 novembre 1592 ad un accordo amichevole mediante istrumento di transazione tra le parti: istrumento confermato poi dalla Santa Sede. Le principali condizioni poste ed accettate furono: che il parroco assentiva che agli Agostiniani restasse la chiesa di S. Genesio e le elemosine che ivi sarebbero state offerte; che fosse dagli Agostiniani compiuto nello spazio di quattro anni il convento già incominciato e che in esso abitassero sei religiosi; che costoro ogni anno in perpetuo al 23 di agosto pagassero ai parroci di S. Vittore di Brianza (2) lire 40 imperiali; che i parroci medesimi avessero facoltà di celebrare in quella chiesa, usando i paramenti stessi dei frati, secondo il rito ambrosiano ed esercitarvi all'occorrenza le funzioni parrocchiali.

Composte in tal modo le cose, si diede mano con grande animo ad avanzare l'opera del convento. E quel fra Martino da Lucca, che soggiornava a Cagliano, aggiungeva stimoli a quelle genti, così che in capo a cinque anni, anche con denaro degli Agostiniani, il convento fu compiuto e riuscì abbastanza comodo e capace di sei religiosi, quattro padri e due laici, destinati ad abitarlo e ad officiare la chiesa. Opera non grande, ma di qualche conto per quei tempi, quando si consideri che fu eretto in gran parte con sassi oblunghi e quadrati, tagliati con lo scalpello, e sul vertice di quel monte ove a spalle d'uomo o a dorso di muli era necessario recare presso che tutto il materiale della fabbrica. Quei di Cagliano erano talmente infatuati del loro fra Martino da opporsi nel settembre 1609 a che il loro paesello divenisse centro, come saggiamente voleva il card. Federico Borromeo, di una nuova parrocchia smembrata da quella vastissima di Brianza, e come nel 1571 aveva già pensato di fare S. Carlo. Il card. Federico non tralasciò per questo di erigere la nuova parrocchia, e fece centro Giovenzana, che stava all'estremo lembo occidentale dei nuovo distretto parrocchiale, ed alla quale furono assegnati Cagliano, Campsirago, Pàu, Mirabella ed altri cascinali circonvicini, escluso il S. Genesio. Alle spese per la sistemazione della parrocchia dovevano concorrere tutti gli abitanti. (3)

Il dettaglio di questa faccenda si trova negli Atti di visita, e rivela come quei montanari fossero contro il loro manifesto vantaggio. I padri Agostiniani non furono tardi a porre in venerazione presso le popolazioni della Brianza un illustre santo, che era stato una delle più belle glorie del loro Ordine, voglio dire S. Nicola da Tolentino. E però ogni anno il 10 settembre, sacro a questo santo, la chiesa e il convento di S. Genesio, il dorso del monte, i tortuosi viottoli che vi conducevano formìcolavano di gente venuta dai dintorni e da lontano alla festa ed alla fiera. Il luogo elevato e di amplissimo e vario orizzonte, la dolce stagione, il gran concorso di popolo doveva lasciare nell'animo di quei brianzoli lieta e durevole impressione.

La vita che vi conducevano lassù gli Agostiniani non era delle più facili. Per la scarsità dei mezzi, di solito non vi dimoravano che tre o quattro religiosi, e per vivere dovevano arrabattarsi alla meglio che potevano. Perciò molto attendevano alla caccia specialmente nell'autunno e nell'inverno cogli archetti, coi lacci e con armi da fuoco, ed è rimasta fama che facessero grandi prede: oppure cercavano di collocarsi in qualità di cappellani presso questa o quella chiesa delle vicine pievi. In atti di visita del 1610 si ha che un frate professo di San Genesio risiedeva a Beverate come cappellano dell'abate commendatario. Il card. Federico, venuto in visita pastorale l'anno seguente, gli intimò di ritornare al convento entro 24 ore, e similmente fece con un altro Agostiniano di S. Genesio cappellano a Montebello nella parrocchia di S. Marcellino. Gravoso pertanto riusciva a quei padri il pagamento al parroco di Nava delle 40 lire annue imperiali, a cui erano tenuti per il sopradetto istrumento, dando origine a delle controversie.

Così, ad esempio, il 12 luglio 1712 la Curia arcivescovile di Milano diede facoltà al parroco di Nava, D. Giulio Manzoni, di sequestrare i frutti pendenti sui fondi del convento, perché quei frati non avevano pagato al medesimo l'annuo livello già da tre anni. Fu certamente opera sconsigliata l'aver eretto quel convento in tempi che correvano assai miseri e tristi sotto la dominazione spagnuola, in luogo così isolato e senza risorse, mentre la Brianza contava già allora non pochi monasteri e conventi. E veramente eccessivo era il numero dei monasteri e conventi grandi e piccoli nella Lombardia, e una riforma si rendeva pur necessaria quando dalla metà del Settecento, sotto il governo di Maria Teresa, si vennero introducendo nuovi ordinamenti sociali più rispondenti alla civiltà del tempo. Un regio dispaccio del 20 marzo 1769, richiamandosi all'antica bolla di Innocenzo X del 1650, ordinava la chiusura dei piccoli conventi di scarsa utilità, ed il Firmian, ministro plenipotenziario, notificava il 27 aprile alla Curia arcivescovile di Milano che si passasse all'esecuzione. L'arcivescovo card. Pozzobonelli, avute da Roma le debite facoltà, propose la chiusura di diversi conventini « in vista del poco o niun vantaggio spirituale che da essi ne ricevevano i popoli, convertendo in uso migliore le rispettive rendite».

Il decreto di chiusura del convento di S. Genesio con la sconsacrazione della chiesa venne emanato dal palazzo arcivescovile il 9 ottobre 1770: decreto che ebbe la sua effettiva esecuzione nel maggio dell'anno seguente. L'esecuzione fu affidata al prevosto di Missaglia, D. Baldassare Ferni, a ciò subdelegato da Mons. Paolo Manzoni del Capitolo della metropolitana. Due professi e un laico si ritirarono in altri conventi del loro Ordine: il priore invece non volle abbandonare quei luoghi, ma stabilitosi alla Mirabella, situata a metà via tra Cagliano e Albosco in posizione amenissima, che restaurò e abbellì, ed ivi volle chiudere in pace i suoi giorni.

 

Come si presentava la chiesa ed il convento al momento della soppressione? La chiesa, lunga 32 braccia milanesi e larga 7, guardava col coro a levante secondo i canoni della liturgia, ed aveva dapprima un solo altare; le fu poi aggiunta dagli Agostiniani una piccola cappella dedicata a S. Nicola. Il convento, con all'interno un piccolo cortile con portici, era unito alla chiesa. Il tutto formava un quadrato oblungo da ponente a levante, la cui fronte in prospetto di ponente misurava in larghezza 44 braccia milanesi e 80 in lunghezza. I locali erano costituiti da un salotto, cucina, refettorio, cantina, ripostigli e stanze per i padri. Ascendevasi al convento per un ‘ampia ma rozza gradinata. Sulla china meridionale del monte stendevasi l'orto ed i prati piantati ad alberi fruttiferi. Il convento con la chiesa e quei pochi beni che appartenevano agli Agostiniani furono posti all'incanto dal regio economato nella casa prepositurale di Missaglia il 25 giugno 1771, e acquistati da due fratelli Airoldi di Oggiono, dei quali uno era canonico. Ma alle popolazioni delle terre vicine al S. Genesio doleva assai che fosse messa fuori d'uso quella chiesa, alla quale avevano divozione e solevano recarvisi in grande tripudio in certe festività dell'anno. Supplicarono pertanto il pio e generoso canonico a volerla conservare; ed egli, consenziente il fratello, implorò dall'arcivescovo che la chiesa fosse ritornata al culto ed intitolata ai santi Genesio e Nicola, promettendo che l'avrebbe mantenuta a sue spese coll'obbligare a questo scopo gli stessi beni acquistati. L'arcivescovo annuì (17 agosto), e la chiesa, dal medesimo aggiudicata alla giurisdizione della parrocchia di Nava, fu infatti ribenedetta e riaperta al culto dodici giorni dopo.

In quell'oratorio, tuttavia, non vi si ufficiava che nei giorni di S. Genesio e di S. Nicola, nei quali giorni vi accorreva gran folla come quando vi erano i frati. Col passare degli anni il fabbricato e la chiesa, disabitati e senza alcuna custodia, divennero oggetto ad impertinenze d'ogni sorta da parte dei mandriani che vi conducevano il bestiame a pascolare, e rifugio di notte a vagabondi e malviventi. Per liberarsi da ogni peso e responsabilità gli ultimi patroni decisero quindi negli anni 1801-02 di far demolire chiesa e convento, cedendo alla parrocchia di Nava il simulacro di S. Nicola, il quale fu trasportato con straordinaria pompa e concorso di popolo nell'oratorio di S. Bartolomeo, funzionando il prevosto di Missaglia D. Francesco Farina oblato. Sulla cima del S. Genesio si era ormai fatto il silenzio ed il deserto, quando un Amadio Tavola, nativo di Giovenzana ed ex minore osservante di Sabbioncello, comperò quel luogo e nella primavera del 1850 prese a far ricostruire a proprie spese un oratorio, privo del coro e del campanile, con annessa una piccola casa d'abitazione, coll'intenzione di chiamarvi i padri Certosini di Pavia, ma costoro non accettarono.

Quella rustica casetta fu quindi affittata ad una famiglia di contadini. Sorse la questione tra i parroci di Nava e di Giovenzana a chi spettasse la giurisdizione del S. Genesio: per Nava stava la ragione che fu sempre nella sua giurisdizione, e per Giovenzana quella della maggior vicinanza ed opportunità. La Curia di Milano con decreto del 23 luglio 1852 aveva assegnato quell'oratorio a Giovenzana, ma di fronte alle insistenti proteste del parroco di Nava non aveva trovato di meglio che di interdire quell'oratorio; interdetto che durò circa due anni finché si riconobbe la convenienza di unire definitivamente chiesa e luogo alla parrocchia di Giovenzana. Ma la divina provvidenza destinava a quell'altura altri religiosi. Per le leggi ecclesiastiche eversive del 1861 non pochi eremi dei figli di S. Romualdo furono soppressi, riducendo in pietose condizioni quei buoni monaci dalla vita austera. (4)

Il milanese duca Tomaso Gallarati-Scotti, in unione con la consorte, pensò di prestar loro qualche soccorso, e a questo scopo nel 1863 comperò quel luogo e l'offrì ai Camaldolesi di Montecorona, i quali vennero ad occuparlo nell'estate seguente. Lo stesso duca nell'anno successivo somministrò loro il denaro necessario all'acquisto di un bosco di 72 pertiche da annettere all'eremo. La vita di quei religiosi fu in quei primi anni intralciata da non poche difficoltà, specialmente per una lite durata ben dodici anni col Demanio che minacciava di cacciarli anche da quella dimora; causa terminata in loro favore nel 1879. Coll'aiuto di generosi benefattori laici ed ecclesiastici, tra i quali vescovi, cardinali e lo stesso pontefice Leone XIII, poterono finalmente iniziare e proseguire man mano il necessario assestamento secondo la loro regola. Vi eressero nel 1882 il muro di clausura con la portineria, e vi posero la prima pietra della nuova chiesa dedicata a S. Giuseppe benedetta da Mons.r Marinoni delle Missioni Estere di S. Calogero di Milano.

Alla chiesa ultimata nel 1885, vi aggiunsero uno snello campanile con tre campane e un orologio, e quattro celle separate, ad uso dei religiosi, con tre o quattro piccoli vani e cioè una cameretta da letto, un oratorietto, uno studiolo e un piccolo ripostiglio. (5)

Scomparve l'oratorio eretto dal Tavola trasformato e ampliato in refettorio, dispensa, libreria e cappella dell'infermeria. Sgombrato con duro lavoro parte del terreno dai sassi e dai macigni, e trasportatavi terra vegetale, vi crearono un'ortaglia ed abbellirono il luogo con piante di alto fusto. Un pozzo profondo circa 53 metri forniva acqua freschissima. Una vita austera fatta di preghiera, di mortificazione, di studio e di lavoro coronava la loro esistenza. Un alone di venerazione circondava perciò quei religiosi. Ma pur troppo i Camaldolesi non durarono lassù a lungo. La guerra del 1914-1918 portò all'annientamento della rendita austriaca dalla quale traevano in massima parte i loro proventi di sussistenza. Tennero duro fino al possibile, finché nel 1938 si videro costretti ad abbandonare il luogo ritirandosi in altre case dell'Ordine. (6) Anni dopo, tutto fu venduto ai signori Cattaneo di Oggiono. La presenza di quei religiosi era altresì d'aiuto a tener legati alla montagna gli abitanti dei luoghi circonvicini, mentre oggi le famiglie tendono a scendere e a stabilirsi nella pianura in cerca di un miglior benessere economico col lavorare nelle industrie. La frazione di Campsirago si trova ormai quasi senza abitanti.

Da ogni parte della Brianza si scorge tuttora biancheggiare su la cima del S. Genesio quell'eremo coronato da una fascia di abeti e d'altre piante, mistica e poetica oasi di tranquillità e di pace.

 

 

Appendice I

STATO ATTIVO DI S. GENESIO

dei Padri Agostiniani della Congregazione Osservante di Lombardia In Monte di Brianza -  Territorio di Cagliano - Pieve di Missaglia 1767.

Possiede il convento unitamente al recinto giardino di pertiche 1 tavole 4 anche un prato di pert. 6 tav. 19 che ha prodotto fieno centenaia dieci che si valuta £. 10.

-Altro effetto nel territorio di Nava, pieve di Missaglia. E consiste in casa da massaro, ronco pert. 10, bosco pert. 62, selva pert. 30.

Il restante in pascoli che in tutto sono pert. 131.

Questo effetto si fa lavorare a mano. Dal quale effetto si è ricavato: Formento: moggia 4 a £. 26 ...............£. 104.

- Melgone: moggia 1 a £. 18 ............... 18.

-Orzo: stara 9 ............... 9.

-Castagne: moggia 9 a £. 25 ...............£. 225.

-Noci: stara 4 ............... 4.

-Fieno: centinaia 70 ............... 210.

-Legna da boschi ............... 23.

-Peri: libre 200 ...............10.-

 Altro campo detto il Campione di pert. 1 tav. 19 affittato a Giuseppe Colombo per anni tre, che vanno a terminare a S. Martino 1769, paga ogni anno ....... 14.

-Altro campo nel territorio di Mondonico di pert. 3 tav. 3, pieve di Brivio, affittato a Biagio Riva per anni tre che scaderanno a S. Martino 1769, paga ogni anno........................................................ 21.

-£, 648.

-Capitali pecuniari fruitiferi: Da Gio. Bonis di Galbiate per un capitale di 6.500 al 3 e 10 per cento paga ogni anno ...........£. 227,10.

- Dalli sig.ri fratelli Ciarini di Nava per un capitale di lire settecento al 3 e 10 per cento, paga ogni anno ........£. 24,10.

-Esenzione reale ............................. £. 10.

-Introiti straordinari.:Per foglia di moroni venduta .................£. 10.

-Per tre vitelli venduti ...........................£ 91.

-Per limosina raccolta per la bussola della chiesa in tutto l'anno.................. 64,10.

-Il Distretto, ossia Circondario della Questua che si è fatta si riduce alla circumferenza di cinque in sei miglia, e la qualità de' generi questuati consiste in: Formento Gallette Melgone Lana e Vino

NOTA: (quanto si raccogliesse di questi generi non è detto)

 

STATO PASSIVO del convento di S. Genesio de' PP. Agostiniani della Congregazione Osservante di Lombardia, situato in Monte Brianza, Territorio di Cagliano. Pieve di Missaglia - 1767.

- Legato al Rev.do sig. Curato di Nava ..............£. 40.-

- Riparazioni della chiesa e case ................. 42.-

- Spese manuali di campagna ...............162.-

 Spese di chiesa ...... 33.3.3

- Salario del servidore ......... 60.-

- Charichi annuali Regii spettanti al Conv.to ........ 39.4.6

- Spese cibarie ...... 1300.--

- Legna da fuoco e carbone ........... 45.-

- Vestiario a' Religiosi in ragione di lire 75,10 per ciascuno ............ 375.-

- Onoranza al P. Priore ............. 25.-

- Coletta del Padre Rev:mo Vicario Generale........... 34.10

- Onoranza al sud.to e PP. Visitatori .......... 20.-

- Spese diverse e accidentali .............. 115.-

- Per manutenzione di biancheria de' letti, de' rami, di medico, chirurgo e medicine ............ 220.-

- Capitale de' bestiami ................ 473.

-£. 2983.17.9 sottoscritto: F. Nicola Cinquanta Priore affermo con mio giuramento quanto sopra. Vidisse fieri praemissam subscriptionem a suprascripto et domino R. P:e Nicola Cinquanta Priore praesentaneo Ven.di Conventus S.ti Genesii supra Montem Briantiae eius manu, et caractere propriis attestor. Subscrip. Ego s.c. Joseph Bertolettus de Col. Mediol. Not.us et Caus.us et pro fide, etc...

 

Appendice II.

STATO DEL CONVENTO DI S. GENESIO de' PP. Agostiniani della Congregazione Osservante di Lombardia in Monte di Brianza nel territorio di Cagliano - Pieve di Missaglia. 1767.

Religiosi stanziati.

Padre Nicola Cinquanta. Priore. Milanese

Padre Giuseppe Martinelli. Procuratore sac.te Milan.se

Padre Giuseppe Sormani. Sacerdote milanese

F. Agostino Rossi da Nava. Laico professo.

F. Carlo Manzone da Nava. Laico professo

NOTA: La stessa mano ci fa sapere che i religiosi sacerdoti residenti erano ordinariamente cinque. Oltre i tre sopradetti c'era prima un padre Agostino Barzago, e un padre Ambrogio Martinelli che erano stati trasferiti il primo nel convento della Corona in Milano, e l'altro a Pontremoli nel convento della Santissima Annunziata.

 

 

Note

 

1) DOZIO, Cartolario Briantino, in Notizie di Brivio e sua pieve, Milano, 1858, pag. 24, doc. XXVII. E' un atto del 950, in cui Alcherio di Airuno lascia alcuni fondi alla chiesa plebana di Brivio, a quella dei SS. Cosma e Damiano di Airuno ed alla nostra di S. Genesio: "capella sancti Genezii in monte suma", ossia la chiesa di S. Genesio in cima al monte. Il Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, (secolo XIII) la ricorda con le parole: "In plebe massalia in monte brianze ecclesia sancti Genexii". E' pure noto che su quel monte nel dicembre 1449 ci furono scontri tra le truppe di Francesco Sforza, che ambiva al Ducato di Milano, e quelle dei Veneziani che tentavano di contrastarlo. Ad abundatiam per chi volesse conoscere le condizioni dell'oratorio di S. Genesio al tempo di S. Carlo, aggiungerò quest'altre notizie. Negli .atti di visita del 1567 del padre gesuita Leonetto Clavono, delegato alla visita della pieve di Missaglia, la nostra chiesetta è detta antica, ma bisognosa di riparazioni specialmente in una parete che minacciava rovina, con due altari ambedue dedicati a S. Genesio. Non aveva alcun reddito proprio e non disponeva che di un calice di metallo ordinario e di un vecchio paramento inservibile perché sciupato e sporco. Annessa alla chiesa vi era una piccola casa con orto di circa due pertiche, e l'abitava allora un frate francescano il quale si era allontanato all'arrivo del padre visitatore. Quel frate vi celebrava abusivamente. Il Leonetto comandò che fosse levato l'altare più piccolo, il quale si trovava fuori della chiesa sotto il portico o vestibolo e che S. Carlo pure vorrà tolto. Ingiunse che con le elemosine ivi offerte dai fedeli si eseguissero le necessarie riparazioni, e che le chiavi della chiesa fossero tenute dal prete Francesco Civilini cappellano a Giovenzana e non permettesse ad alcuno di celebrarvi se non munito della debita licenza secondo gli ordini. S. Carlo, nella sua visita personale del 1571, vi aggiunse altri decreti, e cioè, tra l'altro, di accomodare l'altare alla forma prescritta e di sostituirvi una bredella più decente; di riparare la pare, il pavimento, il tetto e di soffittarla entro quattro mesi; di imbiancare i muri lasciandovi le immagini che vi erano; di mettere le stamegne alle finestre: di allargare l'occhio sopra alla porta onde dar maggior luce all'interno; di non fare più fuoco nella chiesa né da maestri né da altri; di levare l'altare rotto che stava all'esterno della chiesa. Ordinò inoltre di atterrare il portico onde non vi si tenessero conventicole, massime nella notte di S. Genesio; di chiudere saldamente con un assito i locali d'abitazione così che né il frate né altri vi potessero abitare, ecc. Proibì che vi si tenessero giuochi e balli in occasione di detta festa e in quella di Pasqua sotto pena di interdetto alla chiesa per quattro feste successive, concedendo invece un'indulgenza di 100 giorni e per tre anni consecutivi a coloro i quali, astenendosi dai divertimenti, visitassero in detto giorno la chiesa e intervenissero alla processione e al vespero. Tuttavia le cose rimasero e continuarono presso a poco come prima finché vi presero piede definitivamente gli Agostiniani

2) Era questo l'antico titolo della parrocchia di Brianza, ma dopo che S. Carlo nel 1571 impose ai parroci di risiedere nella sottostante Nava presso la chiesa di S. Michele, si introdusse di poi a poco a poco l'uso di chiamarla di S. Michele di Nava. Parroco di S. Vittore di Brianza e parroco di Nava si equivalgono.

3) Il 4 settembre 1609 Mons. Cesare Pezzani, canonico di S. Ambrogio e visitatore della seconda regione, a ciò delegato dal Card. Federico, presi con sé il notaio Gio. Antonio Merzagora, il parroco di Brianza D. Celidonio Ponzoni, il nob. Annibale Nava dimorante in Barzanò, ed altri, si portò alla chiesa o meglio oratorio di S. Materno in Cagliano. Quivi premessa una preghiera innanzi all'altare, fece dare il segno della campana per la radunata degli abitanti del luogo, onde manifestare loro la volontà dell'arcivescovo, il quale intendeva erigervi la nuova parrocchia, e quello che si doveva prestare per detta erezione. Ma per quanto più volte si facesse dare il segno della campana, nessuno comparve. Mandò allora un Antonio Civilini di Giovenzana per le case a chiamarli singolarmente. Ma non si presentò che un Domenico e un Giulio f ratelli Civilini abitanti in Cagliano, ai quali venne letto il decreto di erezione. Ma essi risposero di nulla poter deliberare in proposito senza l'intervento di tutti gli interessati. Il Pezzani replicò che se rifiutavano, il cardinale aveva senz'altro dichiarato di far centro parrocchiale Giovenzana, e a questo sottoporre Cagliano, Campsirago e luoghi vicini con l'obbligo di concorrere con una congrua porzione di denaro per la sussistenza del parroco, per l'erezione della casa parrocchiale e per i necessari restauri della chiesa di S. Donnino in Giovenzana. Quei due fratelli dopo aver ripetuto di nulla poter deliberare da soli, soggiunsero che dopo tutto a loro bastava fra' Martino, il quale dal convento di S. Genesio, di fresco eretto con l'aiuto dei vicini abitanti, scendeva in dati giorni nella chiesa di S. Materno a celebrare. Il Pezzani di fronte all'ostinazione di quegli abitanti, emanò l'ordine che fra' Martino più non potesse celebrare in S. Materno senza speciale licenza in iscritto del card. Federico, sotto pena di interdetto della chiesa, dandone incarico al parroco di Brianza di vigilarne l'esecuzione. E di tutto venne rogato l'atto notarile nella chiesa stessa. Nell'istrumento definitivo di erezione del 7 settembre 1609 il card. Federico volle salvi i diritti del parroco di Brianza, ossia di Nava, sull'oratorio di S. Genesio, sia riguardo alla percezione delle elemosine che alla giurisdizione. Il parroco di Giovenzana in esso non doveva aver nulla a che fare. Volle inoltre che da quell'oratorio fosse rimosso frate Martino e gli altri religiosi della Congregazione degli Eremiti di S. Agostino, perché senza legittimo titolo arcivescovile si erano introdotti. Ma nonostante quest'ultima disposizione gli Agostiniani, forti del Breve pontificio e delle precedenti convenzioni, rimasero in quel convento e in quella chiesa. Fra Martino diede non poche brighe al card. Federico per non osservata giurisdizione vescovile.

4) Ricordo dell'eremo di S. Genesio, Monza, 1931

5) Tra i benefattori è da ricordare, oltre il duca Tomaso Gallarati-Scotti, il marchese Carlo Francesco Secco d'Aragona che fece costruire l'altar maggiore con pavimento e balaustrata di marmo, e il suo erede il quale donò l'altare marmoreo della Madonna nel Capitolo e le assi di noce per il coro e la sagrestia. Vi concorsero pure il sig. Amman, il con Gola del Buttero ed altri.

6) Così, da me interrogato, mi rispose il parroco Corti di Giovenzana con lettera dell'8 settembre 1950.