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Clara Giussani: LIBRO XIII: L'UOMO TRA VITA, MORTE E PECCATO

sant'Agostino insegna la dottrina cristiana

Sant'Agostino insegna la dottrina cristiana

 

Clara Giussani

AGOSTINO, LA CITTA' DI DIO

LIBRO XIII: L'UOMO TRA VITA, MORTE E PECCATO

Esercitazione per l'Anno Accademico 2006-2007

 

 

Il libro tredicesimo è dedicato al tema della morte; l'approccio di Agostino non è tanto consolatorio, ma piuttosto impegnato sia sul piano filosofico sia su quello teologico. Le questioni fondamentali toccate si possono riassumere in:

 

° Nozione di morte trattata in tutti i suoi aspetti

° La morte come pena, che però può diventare mezzo di salvezza

° Il mistero della morte attraverso il tempo

° La morte e il suo rapporto con il peccato

 

 

LA MORTE COME NOZIONE MOLTEPLICE

Agostino distingue tra la prima e la seconda morte, citata a più riprese nel testo dell'Apocalisse e poi, nell'ambito della prima, distingue la morte del corpo da quella dell'anima.

 

1. Morte del corpo: è duplice, poiché può avvenire come mortalità ma anche come separazione dell'anima dal corpo;

a) Agostino, riprendendo pensieri propri della filosofia antica, costata che la vita è erosa dal tempo, e si configura quindi come una corsa verso la morte ("il tempo di questa vita non è altro che una corsa verso la morte. In questa corsa a nessuno è permesso di arrestarsi o di rallentare il suo cammino"). Nello stesso tempo, però, egli inserisce questa prospettiva nell'ambito teologico della storia della salvezza: la morte ebbe origine con il primo peccato, il peccato originale, quando i nostri progenitori, dopo aver mangiato il frutto dell'albero proibito della conoscenza del bene e del male, persero la stabilitas aetatis e cominciarono e morire. Infine, nella prospettiva spirituale, Agostino vede la morte come un possibile spunto di riflessione per poter vivere una vita degna e assicurarsi l'eternità.

b) C'è però un altro senso di morte, oltre quello di morte del corpo come mortalità, vale a dire quello fisiologico di separazione dell'anima dal corpo. Esso è entrato così profondamente anche nel linguaggio comune che Agostino ne fa menzione solo per sottolineare come tale separazione sia inevitabile, mentre insiste maggiormente sulle sue cause. Esse, infatti, pongono due problemi di ardua soluzione: da un lato quello del rapporto tra morte e tempo, ossia quale sia il momento preciso in cui tale separazione avviene, per cui quando un uomo debba essere detto morente e quando, invece, morto; dall'altro quello del perché della morte, ossia se essa debba essere considerata una pena oppure una liberazione.

 

2. Morte dell'anima: anch'essa, come quella del corpo, è duplice, perché può verificarsi in senso filosofico come mutazione, oppure in senso teologico come separazione dell'anima da Dio;

a) Per quanto riguarda l'accezione filosofica di morte, Agostino rileva la naturale immortalità dell'anima umana, la quale, però non possiede l'immortalità in senso pieno, come può dirsi, invece, di Dio. Quella di Dio, infatti, è un'immortalità piena e vera, poiché coincide con l'immutabilità. L'anima umana, invece, è mutevole e ogni mutamento, migliorativo o peggiorativo, è una specie di morte: tutto ciò che è soggetto a cambiamento, una volta cambiato, non è più ciò che era in precedenza, ma è diverso da esso; e se non è più ciò che era significa che è venuto meno qualcosa che c'era e che ora non c'è più, ossia che è intervenuta una specie di morte.

b) Agostino, però, contempla anche un'altra specie di morte, la morte teologica, ossia la morte del peccato che allontana e separa l'anima da Dio. Questa considerazione fa capo ad una teoria secondo cui la vita del corpo risiede nell'anima, mentre la vita dell'anima risiede e dipende da Dio; da questo deriva immediatamente la conseguenza (più volte ripetuta e ripresa nel testo) che come il corpo senza l'anima è morto, allo stesso modo l'anima senza Dio è morta, poiché Dio è la vita dell'anima, e se essa, con il peccato, se ne allontana, muore.

 

3. Morte dell'anima e del corpo: in questo caso, il termine "morte" si applica all'anima e al corpo considerati nel loro insieme. Questa è la morte totale e completa dell'uomo, che avviene quando si verifica una separazione tra entità per loro natura connesse: l'anima è separata da Dio e il corpo è separato dall'anima. Questa tipologia di morte fa seguito la seconda morte, come viene definita nelle Scritture.

 

4. Seconda morte, o morte seconda: è più volte citata nel libro dell'Apocalisse ( Ap 2, 11 "Chi ha orecchi intenda ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Colui che vincerà non sarà colpito dalla morte seconda"; Ap 20, 6 "Felice e santo chi è messo a parte della prima resurrezione! Sopra questi la seconda morte non ha potere, ma essi saranno sacerdoti di Dio e di Cristo, e regneranno con lui per mille anni"; Ap 21,8 "Ma per i vili, i rinnegati, gli omicidi, i fornicatori, i venefici, gl'idolatri e tutti i bugiardi, la loro sorte è lo stagno ardente di fuoco e di zolfo, cioè la seconda morte") e in un brano di Matteo (Mt 10, 28 "Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può mondare anima e corpo nell'inferno"). È la morte peggiore, perché non solo coinvolge l'anima e il corpo, ma anche dura per tutta l'eternità e sarà veramente piena quando, dopo la risurrezione, il corpo sarà di nuovo unito all'anima, e alla morte dell'anima si aggiungerà anche quella del corpo.

 

Agostino si chiede, infine, a quale tipo di morte facesse riferimento Dio quando minacciò di morte Adamo ed Eva nel paradiso terrestre se avessero disobbedito al suo comando di non mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male; la risposta a questa domanda è: a tutte, poiché la prima morte include quelle del corpo e dell'anima, mentre la seconda comprende tutte e quattro le tipologie di morte e dura per tutta l'eternità senza possibilità di riscatto.

 

 

LA MORTE COME PENA

Dopo questa panoramica generale, Agostino si dedica alla soluzione delle problematiche connesse con la morte, incominciando da quelle riguardanti la morte fisica, in primo luogo, egli afferma decisamente che la morte debba essere considerata una pena, e risponde argomentativamente a dottrine che sostengono il contrario.

 

1. Agostino risponde ai filosofi neoplatonici, che consideravano la morte come una liberazione dell'anima dalla prigione del corpo, con un'argomentazione secondo cui la morte è contraria all'inclinazione più profonda della natura umana, e tale avversione indica che l'unione nell'uomo tra anima e corpo è assolutamente naturale e niente affatto violenta (come sostenevano i platonici), mentre invece violenta e contro natura è la loro separazione; la liberazione non consiste nella separazione tra anima e corpo, ma piuttosto nella vittoria sulla morte attraverso la risurrezione. Ma Agostino deve risolvere un ulteriore problema, ossia il fatto che il corpo, con la sua consistenza materiale, è di impedimento alle operazioni spirituali dell'anima, punto molto enfatizzato dai neoplatonici ("essi pensano che essa- l'anima- raggiunga la perfezione della beatitudine quando, spogliata completamente del suo corpo, sarà ritornata a Dio, semplice, sola e, per così dire, nuda"). Agostino risolve il problema, basandosi sull'autorità delle Sacre Scritture, sostenendo che non il corpo in generale, ma il corpo corruttibile, reso tale come punizione per il peccato originario commesso, è di impedimento all'anima. Egli trova sostegno alla sua posizione anche nei testi platonici in cui il Dio supremo promette agli dei la vita imperitura, immortale, ossia un destino comune con il proprio corpo; se dunque l'unione con un corpo è un castigo per l'anima, perché allora il Dio parla agli dei come se essi fossero preoccupati di morire, ossia di subire una separazione dell'anima dal corpo e li rassicura della sua volontà a garantire loro l'immortalità della loro natura complessa, composta di anima e di corpo?

 

2. Agostino porta la riflessione sulla morte-pena anche sul piano teologico, opponendosi all'eresia pelagiana secondo cui la morte è da ritenersi un fatto puramente naturale: "Dio ha creato onesto l'uomo perché è principio dell'essere e non della depravazione. L'uomo volontariamente pervertito e giustamente condannato ha generato individui pervertiti e condannati. Tutti fummo in quell'uno quando tutti fummo quell'uno". Dunque " in lui- in Adamo- l'umana natura fu viziata e mutata al punto da subire nelle membra la contrastante ribellione delle inclinazioni e da essere vincolato alla necessità di morire. Così generò ciò che egli era divenuto per la colpa e la pena, cioè individui soggetti al peccato e alla morte". Insomma, la condanna che seguì la disobbedienza deteriorò la natura dell'uomo, così che la condizione precedette per condanna nei progenitori seguì anche per generazione, e dunque per natura, nei discendenti.

 

3. La morte, dell'anima e del corpo, è dunque una pena in senso pieno e, partendo da questo presupposto, Agostino discute se essa sia un male in senso assoluto oppure si possa, in qualche modo, essere anche considerata un bene. La risposta di Agostino è che la morte è un male di tutti e per tutti poiché scinde l'unità di anima e corpo, e dunque non è un bene per nessuno, neppure per gli uomini buoni che, nonostante questo, ne fanno un buon uso: come infatti i disonesti usano male della legge, che è un bene, così gli onesti usano bene della morte, che è un male ("come infatti la legge è trasgredita per disonestà e produce i trasgressori, così la morte è accettata per la verità e produce i martiri. Perciò la legge è un bene perché è divieto del peccato, la morte un male perché tributo del peccato; ma come la disonestà nuoce non solo ai disonesti ma anche agli onesti, così l'onestà giova non solo agli onesti ma anche ai disonesti. Ne consegue che i cattivi usano male della legge, anche se è un bene, e i buoni muoiono bene, anche se la morte è un male"). Dal male della morte derivano dunque, non di per se stessa, poiché è appunto un male, ma per intervento della grazia divina, un grande bene e un grande vantaggio; lo dimostrano i martiri, che accettano il male della morte del corpo come un dono prezioso per non commettere peccato e quindi non incorrere nella morte dell'anima. Agostino enuncia a questo proposito un principio generale che vale sicuramente nel caso dei martiri: "Pur essendo la morte retribuzione del peccato, talora ottiene che non venga retribuito nulla al peccato". Tale principio è valido anche per chi accetta la morte "pienamente e santamente", poiché accresce il merito della pazienza e dunque la gloria legata alla sofferenza ma, in ogni caso, non elimina l'aspetto penale connesso alla morte. Agostino opera anche una distinzione tra morenti e morti: per i primi la morte è sempre un male, anche in quanto accompagnata da dolori e sofferenze; per gli altri, invece, "non è assurdo dirla cattiva per i cattivi e buona per i buoni". Questo lo porta ad un'analisi più dettagliata dei rapporti che inetrcorrono tra la morte e il tempo.

 

 

LA MORTE ATTRAVERSO IL TEMPO

Quando si può dire che un uomo sia morente? Agostino osserva che "prima che giunga la morte l'uomo non è morente ma vivente; quando vi giungerà, sarà morto, non morente. Quella condizione è ancora prima della morte, questa ormai dopo la morte. Quando dunque nella morte?". Egli pone di necessità una distinzione tra tre stati dell'uomo: vivo, morente, morto; ad essa corrisponde perfettamente la distinzione di tre momenti nel tempo: prima della morte, durante la morte, dopo la morte. Mentre il primo e l'ultimo sono facilmente comprensibili, si pone il problema di identificare con precisione il momento intermedio.

La conclusione di stampo materialistico, ispirata a pensatori come Democrito ed Epicuro, secondo la quale la morte non c'è, è nulla, è erronea, poiché la morte non solo si verifica inevitabilmente per ciascuno, ma gli uomini provano nei suoi confronti un terrore naturale. Il linguaggio umano, per la morte così come per il tempo, è inadeguato: noi parliamo di morenti come di dormienti; ma mentre nel secondo caso comprendiamo perfettamente che il dormiente è chi è immerso nel sonno, nel primo caso non possiamo efficacemente parlare del morente come di chi è ancora vivo oppure già morto (" è difficile spiegare il nostro modo di concepire coloro che stanno morendo, perché non sono ancora morti e…perché quando arriva la morte che li sovrasta sono considerati morti e non morenti"). Dopotutto anche la Sacra Scrittura non esita ad affermare che i morti sono non dopo la morte, ma nella morte, fino a che non risorgono, ma non possono essere considerati morenti. La stessa persona è dunque nella morte e nella vita poiché si accosta alla morte e si discosta dalla vita; il morente non si comprende se non in relazione al vivo e al morto come punto d'incontro tra l'uno e l'altro. La morte è la consapevolezza dell'uomo che sa di dover morire, ossia di dover passare dalla vita, dall'essere vivo, alla morte, all'essere morto, dall'essere unito al corpo, all'essere separato da esso, in un unico istante; in senso proprio, dunque, l'uomo non è mai nella morte, poiché l'istante della morte non ha nessuna estensione.

Il concetto di "essere nella morte" è più facilmente comprensibile quando si considera la morte dell'anima, ossia la sua separazione da Dio la quale, se non vi è l'intervento salvifico della grazia divina, anticipa la seconda morte, nella quale gli uomini saranno sempre nella morte, morenti in eterno ("la morte stessa sarà senza morte").

 

 

LA MORTE E IL PECCATO

Ci sono però anche altri problemi che riguardano la morte del corpo e che obbligano Agostino a scontrarsi sia con posizioni filosofiche opposte, sia con punti controversi della dottrina cristiana. Per fare questo, egli inserisce la morte all'interno della storia della salvezza, la quale può esser suddivisa in tre momenti: prima del peccato, dopo il peccato, dopo la risurrezione; ciascuno di essi corrisponde un diverso atteggiamento dei confronti della morte: evitabilità, inevitabilità, impossibilità.

 

1. Prima del peccato-evitabilità della morte: esprimono una condizione del corpo umano che non ci è dato di conoscere direttamente, ma solo attraverso la fede. È la condizione di cui ha fatto esperienza Adamo: il suo corpo, nella situazione precedente alla disobbedienza, non era spirituale, come sarà quello dei beati dopo la risurrezione, ma non era nemmeno mortale, come sarà invece dopo il peccato; era un corpo "animale"; "terreno", " che aveva bisogno di cibo e bevanda per non essere estenuato dalla fame e dalla sete, non era dotato di immortalità incondizionata e definitiva, ma era difeso dalla ineluttabilità della morte ed era mantenuto nel fiore della giovinezza mediante il legno della vita". Il corpo di Adamo era mortale, ma poteva non morire passando dalla condizione di "anima vivente" a quella di "spirito vivificante" (1 Cor 15,45); perciò se l'uomo non avesse disobbedito, il suo corpo non sarebbe stato soggetto alla morte, ed essa fu la giusta pena per il peccato commesso. Agostino intende assicurare in modo veritiero la condizione del corpo del primo uomo, un corpo animale con la possibilità di non morire, non solo attraverso il racconto della Genesi, ma anche commentando una frase di San Paolo, più volte richiamata nel testo: "si semina un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale; se v'è il corpo animale, v'è anche quello spirituale; infatti è stato scritto: il primo uomo Adamo fu nel divenire come anima che vive, l'ultimo Adamo come spirito che dà la vita. Ma non è prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra. Il secondo uomo è dal cielo. Come quello di terra così quelli di terra, e come quello celeste così i celesti. E come abbiamo assunto la somiglianza da quello di terra, assumiamo la somiglianza da quello che è dal cielo." In conformità a questo passo, in cui San Paolo, a proposito della risurrezione, paragona il primo Adamo, terrestre, al secondo Adamo, celeste, Agostino rifiuta, attraverso un'argomentazione molto complessa e articolata, l'opinione di chi legge il passo della Genesi (2,7 " Dio soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente") come l'effusione dello Spirito Santo e non come l'infusione dell'anima. Questa interpretazione letterale del testo biblico, però, non toglie legittimità ad una lettura allegorica del medesimo, secondo cui il paradiso terrestre rappresenterebbe la vita degli eletti, i suoi quattro fiumi i quattro Vangeli, l'albero della vita la sapienza, da cui scaturiscono tutti i beni, l'albero della conoscenza del bene e del male l'esperienza che segue al peccato e così via.

 

2. Dopo il peccato - inevitabilità della morte: questa condizione si palesa come fatto di cui ciascuno, nella propria esistenza, fa esperienza. Essa pone non solo il problema, in precedenza affrontato, del rapporto tra la morte e il tempo, ma anche quello di capire coma la morte debba considerarsi effetto del peccato e come essa continui a permanere anche dopo il perdono e la remissione del peccato stesso. Incominciando dal secondo problema, che tratta più direttamente, Agostino fornisce una duplice risposta, chiamando in causa la natura della fede (a) e la vittoria sulla paura della morte (b).

a) Agostino cita un'altra sua opera, Il battesimo dei piccoli, nel quale fu data una risposta più precisa alla questione: nonostante sia stato tolta al peccato la sua capacità di incutere soggezione, è in ogni caso conservato il fenomeno della separazione dell'anima dal corpo, poiché se, al sacramento del Battesimo, seguisse immediatamente e gratuitamente l'immortalità del corpo, la fede vedrebbe diminuire la propria centrale importanza; essa, infatti, è tale solo nel momento in cui consente di attendere e sperare la realizzazione di ciò che non si attua immediatamente nella realtà.

b) Il timore della morte può essere superato solamente con l'aiuto di una fede matura ed adulta, come accade nel caso paradigmatico dei martiri; essi non avrebbero ottenuto nessun beneficio dal sacrificio della loro vita se l'immortalità del corpo fosse immediatamente seguita al sacramento del Battesimo.

 

Per quanto riguarda il primo problema, attinente al dominio teologico, Agostino ne tratta solo indirettamente e chiama in causa il concetto di natura: " la morte del corpo non fu inflitta a noi per legge di natura, poiché Dio con tale legge non ha istituito la morte dell'uomo". Questo, però, non significa che l'immortalità dell'uomo è assoluta, ma anzi, come già detto, essa è condizionata dalla grazia divina.

 

3. Dopo la risurrezione-impossibilità della morte: le difficoltà connesse con questa prospettiva devono essere ricondotte non solo a controversie interne alla Chiesa, ma anche alle posizioni dei filosofi non cristiani. Le prime riguardano la natura del corpo spirituale, mentre le altre il fatto che i corpi possano essere assunti in cielo.

a) Sulla linea di San Paolo, Agostino sostiene che il corpo risorto non sarà puro spirito, bensì corpo spirituale. Scrive infatti: "la carne sottomessa allo spirito è considerata spirituale. Certamente non sarà mutata in spirito…ma sarà sottomessa allo spirito per straordinaria e stupenda compiacenza nell'obbedire".

b) La natura dei corpi risorti deve però essere difesa anche dagli attacchi dei filosofi pagani, che sostenevano:

° Che i corpi non possono essere sempiterni: Agostino risponde servendosi della dottrina che questi stessi filosofi avevano concepito sul mondo, che "è l'essere animato più grande, più felice ed eterno. La sua anima conserva la perfetta felicità della saggezza senza abbandonare il proprio corpo ed esso vivrebbe perennemente di lei, e quantunque composto di tanti e grandi corpi, non la renderebbe inabile al pensiero e al movimento". In realtà Agostino non aderisce per nulla a questa posizione, ma se ne serve per mostrare ai filosofi pagani l'incoerenza della loro obiezione.

° Che il peso naturale dei corpi li tiene ancorati alla terra oppure, se anche riescono ad innalzarsi, ricadano necessariamente in basso: Agostino fa leva sulla dottrina filosofica pagana seconda cui gli dei inferiori vivono beati nei loro corpi, anche in questo caso non aderendo a tale dottrina, ma servendosene per mostrare l'inconsistenza delle obiezioni contro quella cristiana. Infatti afferma: "dunque i platonici non oseranno considerare le anime umane più nobili degli dei sommamente felici anche se assegnati a un corpo indefettibile. Perché dunque la dottrina cristiana sembra loro un'assurdità? Essa insegna che i progenitori furono creati in tale condizione che, se non peccavano, non sarebbero stati disgiunti dal corpo ma, privilegiati con l'immortalità come premio dell'adempimento dell'obbedienza, sarebbero vissuti nel corpo per sempre. I beati, inoltre, avranno il medesimo corpo nel quale qui in terra furono tribolati, in una forma tale che non possono avvenire corruzione o impedimento nella loro carne e dolore o afflizione nella loro felicità".

 

Agostino, però, non ha ancora terminato la descrizione dell'origine delle due città: si pone a questo punto il problema del disordine delle passioni, sorto dal fatto che, appena Adamo ed Eva ebbero disobbedito a Dio mangiando il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, la grazia divina li abbandonò, tanto che rimasero sconvolti dalla nudità dei loro corpi e coprirono con foglie di fico le parti che da quel momento erano diventate oggetto di pudore, mentre prima non lo erano affatto. L'anima, a questo punto, sperimenta l'insubordinazione nei confronti di Dio e, allo stesso tempo, perde ogni supremazia e controllo sul corpo: la carne comincia a rivoltarsi e ribellarsi contro lo spirito. Questa problematica verrà trattata diffusamente da Agostino nel libro quattordicesimo.