Sant'Agostino nel rus Cassiciacum (Cassago)
Giuseppe Morstabilini
LA FIGURA DEL CATECHISTA NEL DE CATECHIZANDIS RUDIBUS DI SANT'AGOSTINO
«Signore, Dio uno, Dio trinità, tutto ciò che ho detto e che viene da Te, che i tuoi lo riconoscano; se qualcosa viene da me, tu e i tuoi perdonatemelo. Amen»
(Sant'Agostino, De Trinitate)
Introduzione
Ho sempre avuto un particolare interesse nei confronti di sant'Agostino, anche se le possibilità datemi nel corso degli anni di studio non sempre mi hanno permesso di approfondire il suo pensiero. Ho voluto quindi approfittare dell'opportunità di poter svolgere una esercitazione con argomento a piacere, per analizzare a fondo una delle sue opere. La scelta si è subito orientata sul De Catechizzandis Rudibus, perché è uno di quegli scritti che, a detta di molti studiosi, hanno conservato un'attualità indiscutibile. Inoltre mi sento particolarmente interessato a problematiche di tipo catechistico, in quanto negli ultimi dieci anni ho avuto l'occasione di essere catechista di ragazzi e giovani di ogni età.
L'analisi del testo che ho compiuto ha voluto individuare tutti quegli atteggiamenti che un catechista deve avere per poter mettere a proprio agio ed entusiasmare coloro che si accostano al cristianesimo, qualunque sia la loro condizione sociale e culturale. Ho impostato il mio lavoro in questo modo: parto col presentare la catechesi nel IV secolo; successivamente illustro brevemente il testo, per passare poi ad una analisi corsiva mirata ad individuare gli atteggiamenti del catechista; ne segue una sintesi dei dati raccolti delineante la figura di catechista che emerge dallo scritto, per poi concludere con delle considerazioni personali circa il lavoro svolto.
La catechesi nel IV secolo
I primi secoli del cristianesimo non furono certo propizi per una riflessione ed un avvio preciso della pastorale catechistica. I primi cristiani erano impegnati a far fronte a situazioni sfavorevoli che non sempre consentivano di professare liberamente la propria fede. Per lunghi anni vissero l'incubo di persecuzioni violente, che non consentivano di organizzarsi liberamente in una struttura ecclesiale attenta a proporre cammini particolari. Dobbiamo arrivare alla fine del secondo e all'inizio del terzo secolo per trovare nuove condizioni più propizie, anche se non definitivamente di pace e libertà religiosa. Situazioni finalmente favorevoli le troviamo nel IV secolo con "l'editto" di Costantino del 313, che stabilisce la libertà di culto per i cristiani.
La calma esterna favorisce il lavoro di edificazione all'interno della chiesa; la letteratura cristiana entra in una nuova fase, si sente il bisogno di dare un fondamento dottrinale e filosofico fermo ai principi evangelici. Mutarono i rapporti con le autorità politiche, permettendo quindi la libertà di associarsi anche per l'istruzione dottrinale e catechistica. Le controversie e le dispute consumatesi nei secoli precedenti all'interno del cristianesimo diedero avvio ad una apologetica che andava ora continuata e approfondita per evitare il sorgere di nuove e dannose eresie (Ricordo che proprio nel IV sec. ci furono i primi concilii ecumenici: quello di Nicea nel 325 contro l'arianesimo, stabilì la consustanzialità del Figlio con il Padre; quello di Costantinopoli nel 381, definì il simbolo niceno - costantinopolitano e la divinità dello spirito). L'istruzione dei catecumeni circa le "condizioni dell'essere cristiano" doveva essere curata ai fini di un'assunzione responsabile delle conseguenze che la scelta di fede comportava.
Ecco nascere quindi cammini di preparazione che consentivano di accedere al battesimo; essi erano proposti dal vescovo con l'aiuto, a volte, di qualche ministro ordinato, ma sempre sotto sua diretta responsabilità; questa era la catechesi. Il termine deriva dal greco Katechéo, che significa: "istruisco a viva voce". Infatti la catechesi consisteva nella predicazione che il vescovo proclamava, ai fini di comunicare i contenuti e gli atteggiamenti più importanti della fede. Su di essi gli uditori venivano poi valutati per essere ammessi a ricevere il sacramento del battesimo. Spesso tali omelie venivano raccolte in trattati arrivati fino ai giorni nostri.
Questo periodo fu sempre considerato nella storia della cristianità come tra i più rappresentativi di come a molti pastori stava a cuore l'istruzione religiosa. Nella "Catechesi tradendae" leggiamo: «vescovi e pastori tra i più prestigiosi, soprattutto nei secoli III e IV, considerano come una parte importante del loro ministero episcopale, dare istruzioni orali o di comporre trattati catechetici. E' l'epoca di Cirillo di Gerusalemme e di Giovanni Crisostomo, di Ambrogio e di Agostino, durante la quale si vedono fiorire per la penna di tanti Padri della Chiesa opere che restano per noi come modelli.» (Catechesi trandendae 12)
L'opera di Agostino ha quindi la propria origine in questo contesto di crescente interesse "da parte di vescovi e pastori" nei confronti di un ammaestramento che consentiva di preparare nuovi uomini ad abbracciare la fede. Come è risaputo il battesimo veniva impartito di solito ad adulti che seguivano un cammino ben preciso (Raramente il battesimo veniva amministrato ai bambini; solo in casi particolari di malattia grave). Nel periodo che va dal 360 al 430 circa, in cui visse Agostino, il percorso per diventare cristiano era già ben stabilito.
Innanzitutto alla nascita un bambino poteva essere inserito tra il numero dei cristiani; formalmente faceva parte dei catecumeni, anche se l'iscrizione in senso stretto per il battesimo veniva confermata raggiunta la maggiore età e oltre.
Tale condizione aveva tutti i vantaggi dell'essere cristiano senza averne gli obblighi: se un cristiano commetteva un grave reato, doveva scontare una lunga penitenza per essere riammesso; questo non avveniva per chi non era ancora battezzato Obblighi di questo genere inducevano a farsi battezzare tardi. L'iscrizione tra i catecumeni che si preparavano al battesimo avveniva nella festa dell'Epifania per ricevere il battesimo nella notte di Pasqua. Il catecumenato vero e proprio coincideva con la quaresima, quando iniziava l'istruzione dottrinale dei contenuti della fede. Di questa catechesi si hanno esempi illustri in Cirillo di Gerusalemme, Ambrogio, Rufino. In esse vengono spiegati il Simbolo della fede e il Padre Nostro.
Queste spiegazioni non erano solo di ordine dogmatico, ma anche morale; venivano focalizzati gli atteggiamenti di vita che traducono le asserzioni della fede. Nel sabato in Traditione Symboli si concludeva la quaresima e veniva consegnato il Credo da imparare a memoria. Durante la veglia Pasquale, nella cattedrale, il vescovo amministrava il battesimo, la cresima e l'eucarestia. Dal giorno di Pasqua alla Domenica in Albis veniva praticato un altro tipo di catechesi, quelle Mistagogiche, che introducevano ai misteri; venivano cioè spiegati i riti della notte di Pasqua.
Per la chiesa antica i riti non potevano essere capiti senza essere prima stati vissuti. Successivamente il neofita veniva considerato un cristiano a tutti gli effetti. Come ho già accennato, Agostino non fu l'unico a trattare l'argomento della catechesi nelle sue opere. Anche altri Padri prima di lui e nel suo stesso periodo approfondirono questo tema nel contesto dell'istruzione cristiana, lasciando una documentazione scritta. Tra i più famosi ricordiamo Clemente Alessandrino, Origene, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo, Cirillo, Agostino d'Ippona, Ambrogio di Milano.
Il De catechizandis rudibus
Il De catechizandis rudibus viene scritto da Agostino presumibilmente nel 400, periodo del suo episcopato presso la chiesa d'Ippona caratterizzato dalla produzione di diverse opere ad intento pastorale e dottrinale. Su richiesta Agostino scrive al fratello Diograzia, diacono di Cartagine, un libretto illustrante tutti i passi da compiere nel catechizzare gli uomini che, mossi da un forte desiderio interiore, si accostano al cristianesimo con l'intento di essere istruiti sulla santa dottrina e di diventare cristiani attraverso il battesimo. Il testo prende in considerazione diverse possibili condizioni culturali, sociali e di età che possono avere gli aspiranti al battesimo, e per ognuna mostra le priorità e gli atteggiamenti da mettere in atto per poter non solo istruire ma anche infervorare a riguardo delle verità della fede. Non è quindi un'opera ad intento apologetico o normativo, ma una semplice e chiara delucidazione circa gli atteggiamenti pedagogici da avere e i contenuti della fede da comunicare a "persone da iniziare alla fede cristiana" (De cat. rud. 1, 1).
In genere i maestri addetti al catechismo erano i diaconi, e gli aspiranti a far parte della famiglia cristiana sono chiamati da Agostino i rudes, di cui parla il titolo dell'opera (da altri autori sono chiamati accedentes, oppure venientes). Costoro potevano non essere rozzi o ignoranti, nel senso che diamo noi a queste parole, anche perché erano spesso provenienti dalle scuole di eloquenza e di filosofia, ma ancora ignari delle fondamentali verità della fede e non iniziati alla pratica cristiana. L'appellativo che Agostino utilizza per denominare tutti costoro potrebbe sembrare strano per noi oggi, ma dobbiamo tenere presente l'evoluzione semantica che questo vocabolo ha subito. E' quindi inopportuno tradurlo con termini quali "rozzo, rustico, grezzo, rude", che pure mostrano assonanze con il vocabolo latino, in quanto falseremmo l'accezione che Agostino gli attribuiva.
Il termine rudes ha in Agostino un significato abbastanza ampio: indica tutti coloro che non conoscono la fede e la dottrina cristiana, qualunque intelligenza possiedano, a qualunque classe sociale appartengano, qualunque livello culturale abbiano raggiunto. Il diacono Diograzia, pur essendo stimato per le proprie capacità (All'inizio dell'opera leggiamo «..ti vengono spesso condotte a Cartagine, ove sei diacono, persone da iniziare alla fede cristiana, perché si crede che tu abbia gran capacità di catechista, per la tua dotta fede e per la suadente parola»), è preoccupato per la fatica riscontrata nell'appassionare i suoi uditori ai contenuti della fede; si rivolge ad Agostino per chiedere consiglio a riguardo: «..ti lamenti che molte volte, durante un lungo e tiepido discorso, ti sia accaduto di rimanere insoddisfatto e colto da fastidio tu stesso, oltre che la persona che istruivi e coloro che stavano ad ascoltare. E da tale necessità sei stato condotto a sollecitare me, e a chiedermi in nome della carità che ti debbo, che mi sia grave, tra le mie occupazioni, scriverti qualcosa sull'argomento» (De cat. rud. 1, 1).
Il tono generale dell'uditorio non è sempre alto, e il catechista è spesso costretto a cercare espedienti per stimolare l'attenzione (ad esempio il capitolo XIII si intitola proprio "Come tenere desta l'attenzione"). Anche a questo l'opera vuole dare una risposta, cercando di mettere in luce strategie che permettano di appassionare chi ascolta a quello che sente. E' utile ricordare che cronologicamente il De catechizandis rudibus viene dopo il De magistro (scritto nel 389), dove Agostino sottolinea che è il maestro interiore ad istruire, ad avere un primato su quello esteriore. C'è già stata quindi una riflessione sul processo di apprendimento delle "cose divine" dalla quale non si può prescindere, pur ammettendo tuttavia che l'arte del comunicare, mista di atteggiamenti verbali e non, è importante per farsi capire («Desidero che chi mi ascolta capisca tutto quello che io intendo...» De cat. rud. 2, 3).
Dal punto di vista dottrinale Agostino compie numerosi richiami all'oggetto di cui si deve occupare la catechesi: la storia della salvezza vista nella sua unità e continuità con al centro l'evento della risurrezione. Agostino enumera le tappe che di tale storia vanno presentate ed approfondite; per quanto riguarda l'antico testamento sono: creazione, diluvio, alleanza con Abramo, Davide, ritorno dall'esilio (stupisce di non aver trovato menzionato l'esodo, anche se i richiami a questo evento sono numerosi). In tutto il suo discorso il mistero di Cristo e della chiesa occupano sempre un posto centrale.
Dal punto di vista pedagogico è possibile cogliere una analisi psicologica e didattica di modernità sconcertante: il rapporto tra intuizione ed espressione; la teoria del linguaggio; il linguaggio visivo come primordialità espressiva; il sentimento come condizione, ma anche come limitazione dell'armonia e dell'eloquio; l'ambiente come elemento che favorisce o disturba il processo di apprendimento; l'errore dell'insegnante in rapporto alla sua competenza didattica; le condizioni psicologiche del catechizzando in rapporto all'attenzione; il tedio immancabile nella routine didattica; la gioia perenne del donarsi spiritualmente; la carità come fonte di vita. Sembra un compendio della moderna problematica comunicativa ed educativa. L'opera è composta da ventisette capitoli, misti di indicazioni dottrinali e pedagogiche; mi sembra possibile distinguere due capitoli introduttivi (1°, 2°), dieci riguardanti esclusivamente contenuti dottrinali (16°-25°), i rimanenti quindici che illustrano le disposizioni interiori che deve avere il catechista e le modalità di porsi nei confronti dell'uditorio (3°-15°, 26°, 27°).
Analisi corsiva del testo
A questo punto intendo compiere una analisi corsiva del testo che mi permetta di mettere in evidenza gli atteggiamenti che Agostino indica come fondamentali per un catechista, cercando di coglierne la frequenza di citazione e la eventuale diversa accezione che ne viene data di volta in volta. Mi premuro di precisare che qualora qualche capitolo fosse esclusivamente di contenuto dottrinale senza evidenziare alcuna disposizione pedagogica, non lo citerò in questa analisi. Nel capitolo 1 Agostino mette in evidenza l'atteggiamento di carità (Per evitare interpretazioni riduttive e semplicistiche dei termini carità e amore è opportuno contestualizzarli, rinvenendo il significato che essi assumono per l'autore. Iniziamo col dire che per i Padri l'amore è la stessa realtà divina; Dio è Amore - Agape . Diversamente, per i greci, Dio non ama né il mondo né l'uomo. L'eros platonico è il desiderio dell'uomo di raggiungere la propria perfezione; bisogna dar impulso alle ali dell'anima per renderle possibile il ritorno alla pienezza della Verità, della Giustizia, della Sapienza, della Bellezza, Bene supremo da amare sommamente «che muove come oggetto d'amore» (Aristotele, Metafisica, libro 12).
Al contrario l'agape divina è sovrabbondanza di benevolenza di Dio Padre nei confronti dell'uomo e di tutto il creato. Dio è agape; è la sua definizione. Ma alla radice del nostro stato di figli ci sono due tendenze. L'eros esprime il desiderio insaziabile del cuore umano, l'agape è il dono dello Spirito che risiede nel cuore per mezzo della Grazia. In quanto "seme di ragione" l'amore di Dio si manifesta dapprima come un ardente desiderio di raggiungere la propria perfezione. Al tempo stesso, poiché questo amore è "spirituale", presuppone o conferisce la somiglianza con il Dio - carità.
Agostino, e in generale i Padri latini, cercano di stabilire un ordine e una gerarchia nella carità. In base al primo comandamento viene data una primaria importanza all'amore per Dio, che deve però poi essere visibile ed esprimersi anche in un amore ai fratelli (secondo comandamento). Quindi l'amore per Dio e per il prossimo sono manifestazioni della carità che è in noi, che ci è stata donata da Dio stesso: «Da dove negli uomini la carità di Dio e del prossimo se non da Dio stesso?» (De gratia et libero arbitrio, 18, 37). Non dunque uno sforzo umano, ma prima di tutto un dono divino. Agostino distingue tra charitas e cupiditas; quando l'amore dell'uomo è diretto verso Dio e verso gli uomini non secondo i giudizi degli uomini, ma secondo il giudizio di Dio, esso è carità; viceversa quando è diretto verso se stesso e le cose del mondo è cupidigia) e sottomissione al fratello e alla chiesa che lo spinge nello scrivere. Nel capitolo 2 svolge un'argomentazione volta a sottolineare la legittimità del desiderio di "chiarezza nell'esposizione", manifestata dal diacono Diograzia, che però non deve essere perseguito con una ansiosa ricerca di successo nel parlare, la quale potrebbe generare tedio e scoraggiamento.
Il "non affanno" che qui viene messo in luce si collega con la concezione che Agostino ha già sviluppato nella sua opera precedente (il De Magistro), secondo la quale il compito primario dell'istruzione spetta al maestro interiore e un'eccessiva "ansia di riuscita" potrebbe manifestare una scarsa fede nell'opera divina. Altro aspetto che viene messo in evidenza è l'importanza della gioia interiore che deve caratterizzare il catechista, grazie alla quale anche l'esposizione apparirà più piacevole e di facile ascolto: «Quanto più infatti sarà gioioso lui, tanto più riuscirà gradito agli ascoltatori.» (De cat. rud. 2, 4)
Dal capitolo 3 possiamo raccogliere una preziosa indicazione di metodo didattico: la necessità di completezza contenutistica dell'esposizione deve essere perseguita all'interno di uno sguardo generale a tutto lo scibile biblico e dottrinale, senza tuttavia pretendere un'eccessiva precisione che può essere controproducente. In altri termini è importante mirare all'essenziale completezza dei contenuti. Oltre a questa ritroviamo un'ulteriore sottolineatura all'importanza della carità che deve caratterizzare tutte le nostre esposizioni. Vediamo che Agostino nel capitolo 1 attribuiva a sé l'obbedienza a questa carità fraterna ed ecclesiale; ora mette in evidenza che il catechista deve essere dotato di tale carità.
Il capitolo 4 esordisce con un caloroso invito all'amore fraterno (cfr. nota 5), da suscitare nel catechizzando attraverso un esempio che sia a sua volta caratterizzato dall'amore che «Il Signore ha voluto manifestare per noi, raccomandandocelo caldamente.» (De cat. rud. 4, 7)
Questo atteggiamento viene presentato anche come qualifica indispensabile del rapporto tra inferiore e superiore che si presuppone nella relazione formativa. La carità e non la cupidigia sta alla base dell'amore che bisogna avere per i fratelli; essa sola può dare compiutezza al vivere cristiano. Questa è la terza volta che troviamo il riferimento alla carità: nel primo capitolo Agostino ne parla in riferimento a se stesso, nel secondo la esigeva dal catechista, ed ora la individua come virtù da educare nell'uditore. Qui la carità è presentata come un atteggiamento che può dare senso all'osservanza religiosa, affinché non sia uno sterile legalismo. Il capitolo è articolato in un intreccio continuo tra carità e amore, che va ad accennare anche il tema della misericordia dalla quale possono nascere autenticamente questi atteggiamenti. Il capitolo 5 aggiunge, a quanto detto prima sul tema della carità, che essa deve essere accompagnata da una equilibrata severità («Ama et fac quod vis»; Ama e fa quello che vuoi (Tractatus in Johannis Evangelium 7, 8). Questa espressione divenuta famosa, è utile per spiegare il rapporto tra amore e severità.
Con essa Agostino intendeva dire che l'amore ispira il nostro agire quotidiano e anche la severità e il nostro rigore. Il Padre corregge perché ama. Ci sono comportamenti, apparentemente duri e anche crudeli che sono dettati dall'amore, in vista di una retta educazione. E' con Agostino che la catechesi si va differenziando, da un punto di vista pedagogico e contenutistico, a secondo dell'uditorio a cui essa è diretta e a seconda delle necessità di approfondirne gli elementi quando, quando per il sorgere di eresie o di controversie dottrinali, questi potevano non essere più sufficientemente chiari) adeguandosi al temperamento del soggetto che si ha di fronte.
Nella trattazione si considera anche l'eventualità di una persona si accosti alla catechesi senza ancora essere del tutto convinta di diventare cristiano. Con simili persone Agostino sottolinea come sia importante che il catechista, non sapendo con esattezza se uno aderisce spiritualmente a lui, lo tratti in modo tale da suscitare il desiderio di "venire spiritualmente"; qualora tale desiderio esistesse già, allora va confermato.
A questo proposito consiglia che il catechista si informi prima dall'uditore stesso e da persone che lo conoscono, su quali siano le sue intenzioni reali (A questo proposito è utile ricordare che le chiese d'Africa, dopo le persecuzioni subite nei secoli precedenti, andavano rafforzandosi al proprio interno legandosi sempre più alla chiesa di Roma, ormai riconosciuta e sostenuta dal potere imperiale; il professare la fede comportava un certo privilegio. Questo poteva suscitare numerose conversioni , che erano chiaramente lontane da una conversione interiore).
In fine si afferma che mitezza e dolcezza devono connotare eventuali correzioni ad affermazioni erronee, che eventualmente fossero sostenute. Nel capitolo 6 troviamo un invito alla semplicità nell'esposizione, per evitare di iniziare discorsi troppo complessi che potrebbero confondere più che chiarire. Viene ribadito quanto già detto nel capitolo 3, dove si sottolineava l'importanza di essere essenziali nell'esposizione evitando parimenti il rischio di essere superficiali. Il capitolo 7 esordisce invitando ad infondere la speranza per la resurrezione e a parlarne in riferimento alle scritture sempre in modo semplice. Altra indicazione che dà è di saper rendere agguerrito l'uditore contro le tentazioni e gli scandali che avvengono anche nella chiesa.
A questo proposito invitare alla tolleranza come atteggiamento da avere nei confronti di coloro che, pur essendo schiavi delle passioni e dei vizi, fanno parte della comunità cristiana. Infine Agostino invita il catechista a misurare il tempo del suo parlare in relazione alla disponibilità personale del catechista e di chi ascolta, sapendo essere brevi o prolissi a seconda del caso. Nel capitolo 8 troviamo un invito a non dilungarsi su argomenti che l'uditore conosce già (ad esempio per studi letterari fatti in precedenza). Rispetto al capitolo precedente qui l'invito alla brevità viene fatto non per questioni di tempo, ma di conoscenze. Ancora una volta viene posta l'attenzione ad informarsi accuratamente sulla formazione culturale dell'uditore (cfr. capitolo 5) al fine di consolidare asserzioni corrette ed eventualmente correggere impostazioni eretiche date dalla lettura di testi non ortodossi.
Infine troviamo indicata una modalità per correggere gli eventuali errori di presunzione nei quali può incorrere l'ascoltatore: «Per metterlo in guardia dagli errori di presunzione dobbiamo assumere il tono autoritario del maestro solo nella misura in cui sentiamo che lo sopporta l'umiltà che a noi lo ha condotto.» (A questo proposito è utile ricordare che le chiese d'Africa, dopo le persecuzioni subite nei secoli precedenti, andavano rafforzandosi al proprio interno legandosi sempre più alla chiesa di Roma, ormai riconosciuta e sostenuta dal potere imperiale; il professare la fede comportava un certo privilegio. Questo poteva suscitare numerose conversioni , che erano chiaramente lontane da una conversione interiore.)
Nel capitolo 9 troviamo nuovamente un invito ad educare all'umiltà coloro che, per formazione personale, si sentono superiori ad altri; per poter essere trasmesso, questo atteggiamento deve prima essere assunto dall'educatore. A questo proposito nel capitolo 11 troveremo l'indicazione preziosa di essere umili anche di fronte all'eventuale correzione di un errore fatta dall'alunno (cfr. capitolo 11). Altro elemento è l'amore per la verità, da ricercare con tutta la vita sapendo allontanare la "gravezza della noia" . (De cat. rud. 9, 13)
Tale propensione non legittima ad accusare eventuali errori dei superiori (Non era impossibile avere dei vescovi meno preparati di alcuni laici. Ricordiamo che nei primi secoli il criterio di elezione dei vescovi non era sempre dettato dalle qualità pastorali e dalla competenza dottrinale. Il prestigio di cui un vescovo godeva in città poteva attirare persone più ambiziose che dotate di qualità apostoliche. Alcuni vescovi risultavano essere mediocri e insignificanti: «Essi hanno il titolo, occupano la cattedra, ma sono come gli spaventapasseri delle vigne» (Agostino, Serm. Guelf. 32, 6), poteva quindi capitare di dover correggere affermazioni scorrette pronunciate da costoro), che è giusto correggere con un atteggiamento "caritatevolmente tollerante." (De cat. rud. 9, 13)
Il capitolo 10 si intitola "Come suscitare la gioia", e perseguendo tale scopo, mostra l'importanza della testimonianza gioiosa priva di ogni tristezza interiore. Nel capitolo 2 l'accento è sulla gioia come atteggiamento interiore, che poi si esterna nell'esposizione del catechista, con lo scopo che il discorso risulti più piacevole; qui viene risottolineato questo aspetto con il fine chiaro di suscitare la gioia nell'ascoltatore. Da parte del maestro questa gioia deve esprimersi amando i propri ascoltatori (cfr. capitolo 4). Il capitolo prende in rassegna diversi casi o situazioni che possono generare tristezza interiore, con un'influenza negativa sul discorso che si sta conducendo. Agostino sottolinea che bisogna risolvere in se stessi il problema che genera tristezza, prima ancora di iniziare l'opera di catechesi, così da evitare che «il discorso, condotto mentre il cuore ribolle, [venga] fuori sgradevole e fiacco.» (De cat. rud. 10, 14)
Un ultimo accenno viene fatto all'atteggiamento di carità (questa è la quarta volta che se ne fa riferimento, sempre in contesti diversi; cfr. capitoli 1,3, 5) che deve guidare il catechista nel prepararsi ad un discorso sereno, a vantaggio degli uditori e della «loro salute eterna.» (De cat. rud. 10, 15)
Nel capitolo 11 viene delineato l'atteggiamento da assumere nel caso si venga corretti per un errore d'esposizione; bisogna sopportare serenamente la correzione ed evitare di giustificare il proprio sbaglio, evitando così di commetterne uno più grande (questo anche come gesto di sottomissione al fratello a cui si alludeva nel capitolo 1). Se anche gli uditori dovessero, invidiosamente, gioire dell'errore, bisogna saper sopportare con pazienza e misericordia. Tutti atteggiamenti che devono mettere in mostra una grande bontà d'animo del catechista come uomo di carità: «giacché un'azione è veramente buona, quando la volontà di chi agisce è stimolata dalla carità, e tornando ad essa come a luogo proprio, trova nuovamente pace nella carità.» (De cat. rud. 11,16)
Nel capitolo 12 viene consigliato al catechista di assumere un atteggiamento paterno, materno o fraterno, pur di suscitare una simpatia reciproca atta ad instaurare un ascolto e un'esposizione piacevoli, e a rendere meno pesanti contenuti che, dall'inizio del proprio ministero, si sono ripetuti infinite volte. Altra condizione importante è il «provar diletto quando gli uomini si accostano a conoscere Dio stesso» (De cat. rud. 12,17), e il rinnovarsi con coloro che vengono rinnovati, in modo da gioire reciprocamente della fede che viene comunicata. La gioia che nei capitoli 2 e 10 veniva indicata come atteggiamento da comunicare all'uditore, viene qui accennata come caratteristica anche del catechizzando. Nel capitolo 13 troviamo indicazioni utili circa il saper mettere a proprio agio l'ascoltatore, in modo che si senta libero di esprimere i propri giudizi, fossero anche correzioni (cfr. capitolo 11).
Bisogna considerare importanti i commenti da parte dell'uditore, in quanto sono un segnale oggettivo della capacità di farsi capire, di saper appassionare. In base ai giudizi che si raccolgono, il catechista deve riadattare il suo modo di esporre (va ricordato il richiamo che Agostino fa nel capitolo 6 ad essere semplici nell'esposizione). Nel caso l'ascoltatore fosse tardo, il catechista deve saper sopportare con compassione (Nel capitolo 11 la pazienza era indicata come atteggiamento da avere nei confronti di chi malignamente ride degli sbagli del catechista; qui è consigliata nei confronti di uditori tardi a comprendere), e porsi come obiettivo quello di inculcare in lui solo le nozioni indispensabili, sapendo che giova maggiormente parlare «più a Dio per lui che a lui di Dio.» (De cat. rud. 12,17)
Quando il catechista si accorge che l'uditore inizia ad essere stanco ed annoiato, è opportuno saper fare del sano umorismo, oppure raccontare qualcosa che possa toccare i sentimenti più profondi della persona (confronta quanto detto nel capitolo 5 circa il suscitare il desiderio). A questo riguardo raccomanda pure che le eventuali digressioni siano brevi e che è opportuno riprendere il filo del discorso lasciando intendere che si è quasi giunti alla fine. Agostino consiglia anche di far sedere l'uditore, anche se sarebbe più decoroso lasciarlo in piedi! (Era normale in questo periodo che il vescovo parlasse ai fedeli stando lui seduto e loro in piedi. E' facilmente ipotizzabile che anche Agostino fosse conforme a questa prassi. Tuttavia è interessante notare come lui stesso è disposto a metterla in discussione purché serva non per comodità fine a se stessa, ma per restare più svegli ed attenti.)
Il capitolo 14 considera il caso in cui il catechista è turbato. Se il turbamento deriva dal fatto che non si è riusciti a restare fedeli al programma prefissato, è opportuno non abbattersi, sapendo che Dio ha voluto così ed è preferibile che si realizzi la sua volontà più che la nostra. Questo non esime comunque dalla responsabilità di prefissarsi un ordine da seguire, dando il primo posto alle cose più importanti. Nel caso il proprio animo fosse turbato a motivo di qualche scandalo, bisogna cercare serenità dalla consapevolezza che qualcuno vuole farsi istruire per diventare cristiano: questo deve essere motivo di grande gioia. Lo scandalo dato da chi abbandonano la santa dottrina, più che rattristare deve essere motivo di una maggiore attenzione nell'istruire i propri uditori a non imitare coloro che sono cristiani di nome ma non di fatto, onde evitare il ripetersi di ulteriori scandali. Nel caso il turbamento derivi dal proprio peccato, allora bisogna ricordarsi che con quell'opera di misericordia (insegnare la santa dottrina) si può riparare l'errore. Con queste considerazioni Agostino ribadisce quanto detto nel capitolo 10 circa la necessità di risolvere i problemi che rattristano interiormente l'insegnante, per rendere più serena e gioiosa la testimonianza. Il capitolo 15 mette in evidenza la necessità di valutare bene la tipologia delle persone che si hanno di fronte, in modo da adattare il discorso che si deve fare; infatti: «se è vero che a tutti dobbiamo uguale carità, non con tutti dobbiamo adoperare la stessa medicina.» (De cat. rud. 15, 23)
Qui viene nuovamente esplicitato quanto già detto nei capitoli 5 e 8 circa la necessità di conoscere chi si ha di fronte per saper cosa dire e come dirlo. I capitoli che vanno dal 16 al 25 considerano i contenuti dottrinali da comunicare nel corso di catechesi e non mettono in evidenza particolari atteggiamenti che il catechista deve assumere. Tuttavia mi sembra interessante considerare alcune precisazioni fatte, a conferma e completamento di quanto detto in precedenza. Nel capitolo 20 leggiamo un'interessante precisazione circa il tema della legge; quest'ultima è strettamente connessa alla carità, senza la quale sarebbe ridotta ad una rigida osservanza: «solo la carità completa la legge.» (De cat. rud. 20, 35)
La legge non deve essere rispettata per legalismo, ma come adesione a quell'amore che è in noi, la carità (cfr. nota 5). Un'altra considerazione interessante la troviamo nel capitolo 25 circa il tema dell'umiltà; nel capitolo 9 c'è l'invito ad educare l'uditore all'umiltà; qui troviamo un'esortazione esplicita: «sii umile davanti a Dio, affinché Egli non permetta che tu venga tentato oltre le tue forze.» (De cat. rud. 25, 49)
Il capitolo 26, parlando di come deve essere celebrato il battesimo, afferma che è necessario spiegare all'uditore il senso delle parole che vengono dette durante il rito e cosa simboleggiano i gesti che vengono compiuti. Il catechista deve poi dire all'uditore che se nelle Scritture dovesse trovare qualcosa che suoni strano da un punto di vista letterale, deve tenere presente che il brano va ricondotto ad un significato spirituale più profondo «egli imparerà così in breve a credere come detto e fatto simbolicamente tutto ciò che sente dai libri canonici.» (De cat. rud. 26, 50)
Agostino puntualizza che il discorso riportato è solo un esempio; sta poi al catechista adattare in base all'uditore che ha di fronte (il dovere di adattare il discorso in base all'uditorio veniva già enunciato nel capitolo 13). Aggiunge che comunque non è opportuno dilungarsi più di quanto abbia fatto lui (l'importanza della brevità del discorso veniva già ribadita nel capitolo 8).
A conclusione dell'intera opera, Agostino si premura di scrivere anche un esempio di discorso breve, come ulteriore sottolineatura del fatto che i contenuti principali possono anche essere esposti da poche parole. Nonostante la brevità della seconda esposizione, non vengono tralasciate sottolineature alle che devono caratterizzare ogni cristiano, e che in altri termini abbiamo ritrovato in tutto il testo: la misericordia, il perdono, la speranza nelle promesse divine, il guardarsi dalle tentazioni, l'amore per Dio, l'amore per tutti gli uomini, l'imitazione di coloro che coltivano le virtù, l'umiltà.
La figura di catechista che emerge dal testo
Dalla lettura complessiva del testo mi pare possibile evidenziare tre atteggiamenti ricorrenti che riassumono tutti gli altri individuati; essi hanno la propria origine e possono essere riassunti nell'unico grande dono che è la carità.
Sono:
- Amore
- Gioia
- Umiltà
Agostino mette in luce come il catechista, prima di essere un ministro che svolge un compito pastorale, è un uomo, e come tale deve relazionarsi, o meglio deve saper gestire le relazioni con gli altri. Volutamente mi sono soffermato nella mia analisi sugli atteggiamenti che il catechista deve avere, a prescindere dai contenuti che esso debba comunicare. Gli atteggiamenti messi in rilievo non sono altro che i presupposti necessari per costruire una relazione serena, di rispetto reciproco e di attenzione all'altro, chiunque esso sia, fosse anche un illetterato o un ritardato (...).
Questi comportamenti potrebbero benissimo essere applicati a qualsiasi relazione esistente in un contesto educativo non caratterizzato da giochi di potere, dove il principio d'autorità non la fa da padrone sul modo di gestire le dinamiche intrasoggettive. La capacità di ascolto e la disponibilità unite ad un atteggiamento empatico possono creare un rapporto sincero di ricerca comune di ciò che è vero. Le indicazioni che vengono date hanno alle spalle, la riflessione precedente sul maestro interiore. Quindi al catechista non sta il compito di convincere l'uditore, ma piuttosto quello di creare le condizioni favorevoli perché lo Spirito possa agire in lui. La carità come dono divino guida l'uomo a relazionarsi con l'altro senza assumere un atteggiamento possessivo, di dominio o d'autorità (cfr. capitoli 1 e 4).
Essa permette di avere nei confronti del prossimo l'attenzione e il rispetto di chi va oltre la difesa di interessi personali. L'uomo di carità è capace di essere misericordioso perché sa di aver ottenuto misericordia; di essere paziente perché sperimenta quotidianamente la pazienza di Dio; mite e dolce perché vive nell'intimità un rapporto con il Signore (cfr. capitoli 4 e 11). Agostino, da buon conoscitore del testo sacro, aveva a lungo riflettuto sull'inno alla carità di S. Paolo: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.» (1 Cor. 13, 4 - 8a; cfr. capitolo 20).
La carità porta ad amare Dio, se stessi e il prossimo. Se il catechista riesce a costruire una relazione con i propri uditori, basata sull'amore, anche i contenuti della fede verranno assunti con maggior disponibilità del cuore, perché trasmessi in una comunicazioni d'affetti. Il Signore si è donato all'uomo per amore, e solo in un contesto di amore questo dono può essere comunicato e accolto. Il catechista attraverso il proprio atteggiamento deve creare l'humus perché la Parola di Dio possa comunicarsi all'uomo come parola di Amore. L'amore che il catechista deve avere per il proprio uditore deve portarlo anche a pregare per lui, ad affidarlo a Colui compie la vera opera di conversione e dal quale dipende anche il misero operato dell'uomo (cfr. capitolo 13). Tutto questo se realizzato non può che generare gioia. Ecco quindi che il catechista deve saper essere gioioso innanzitutto perché ha già accolto il vangelo, e in secondo luogo perché attraverso la sua opera altre persone possono giungere alla fede chiedendo il dono del battesimo (cfr. capitolo 12). Questo non vuol dire che bisogna fingere di essere felici anche se non lo si è, perché la gioia, non la si comunica con un semplice sorriso stampato sulle labbra, ma attraverso un atteggiamento che si coglie nei piccoli gesti, negli sguardi, nella disponibilità gratuita e in tutte quelle piccole attenzioni che il semplice sorriso forzato non può plasmare (cfr. capitolo 10). Agostino stesso consiglia che il modo migliore è quello di risolvere prima in se stessi i problemi, così che poi la serenità esteriore sarà frutto di una pace interiore (cfr. capitolo 10).
Il sentimento di gioia deve perciò nascere da una profonda pace e serenità interiore. Il catechista che sa amare gioiosamente deve essere anche umile. L'umiltà viene più volte ricordata da Agostino come l'atteggiamento di chi si sa peccatore e quindi continuamente oggetto della misericordia divina. Umile non è colui che si lascia sottomettere o che si nasconde per non assumersi responsabilità. Umile è colui che agendo mette a frutto tutte le sue doti sapendo che esse non sono un suo merito, ma un dono. E' l'uomo che sa di essere il servo della vigna e non il padrone, quindi non ha interessi personali da difendere, perché l'importante è servire la verità. Il catechista umile è capace di farsi capire con un linguaggio semplice e, a volte, anche succinto, perché non pratica l'eloquenza fine a se stessa o per orgoglio personale, ma vuole che i contenuti della fede siano capiti da chi lo ascolta. Ciò che gli sta a cuore è la diffusione del vangelo a tutti, indistintamente, e pur di raggiungere questo scopo sarà capace di essere mite o autorevole a seconda dell'uditorio che ha di fronte, ma questo mai per secondi fini (di possesso, di orgoglio personale...).
Saprà dunque accettare la correzione senza giustificare il proprio sbaglio (cfr. cap. 11), i giudizi e i commenti sapendo rivedere il proprio modo di fare, se è necessario (cfr. cap. 13).Tutto questo non dovrà essere vissuto come un peso contro la natura umana che cerca continuamente di affermare se stessa, ma come conseguenza di un cammino di crescita personale dettato dalla carità: «la carità, quanto più si umilia servizievole, tanto più vigorosa ritorna all'anima, per buona coscienza del fatto che null'altro chiede a coloro verso i quali si umilia, se non la loro salute eterna.» (De cat. rud. 10, 15)
Chi è umile trova la sua gioia non nel piacere del mondo, ma nella fede e nella sua diffusione. Se qualche catechista dovesse accorgersi che cercando di vivere questi atteggiamenti si sente frustrato, inibito o non soddisfatto, deve chiedersi sinceramente cosa gli sta a cuore, se la diffusione serena della fede o la difesa di un orgoglio personale. Certo il cambiamento non è automatico, ma bisogna tenere presente la meta a cui si vuole arrivare e dedicarsi anima e corpo al suo raggiungimento. La riflessione di Agostino ha un'attualità sconcertante. A 16 secoli di distanza possiamo considerare ancora questi atteggiamenti come indispensabili ad un rapporto educativo che crei le condizioni per una reale assimilazione di contenuti e di verità, in modo particolare oggi, quando la societas cristiana non si identifica più con quella civile e gli uomini hanno bisogno di trovare una chiesa accogliente.
L'accoglienza non si esprime solo ai vertici della chiesa, ma deve caratterizzare tutta la compagine ecclesiale, fino ai diaconi (ieri) o ai singoli cristiani (oggi) che sono chiamati ad avere un primo approccio con i non credenti. Difficilmente il papa o un vescovo incontra quotidianamente in relazioni interpersonali spontanee tanti non credenti o non praticanti quanto li incontra un "normale cristiano" a scuola, sul luogo di lavoro o nel proprio ambiente famigliare. Solo attraverso una gioiosa testimonianza di fede caratterizzata dalla carità si possono creare le condizioni perché la Parola possa raggiungere ogni uomo. Oggi non è facile reperire cristiani che sappiano "essere catechisti" con tutte le attenzioni appena descritte. Ormai la catechesi non è più rivolta esclusivamente ad un pubblico di fanciulli privi di un senso critico (come del resto non lo era al tempo di Agostino). Rispetto a qualche decennio fa, oggi l'attenzione catechetica è frequentemente rivolta ad adulti e giovani che stanno compiendo un cammino di ricerca della Verità. Spesso le esigenze delle chiese particolari costringono a reperire catechisti non sulla base di una preparazione o di un'indole personale, ma sfruttando la fugace disponibilità che viene offerta. Analizzare questo aspetto comporterebbe una serie di riflessioni che esulano dalla mia esercitazione, tuttavia vorrei citare quanto ha detto Giovanni Paolo II nell'esortazione apostolica "Catechesi tradendae" circa l'importanza della catechesi e della formazione di laici preparati ad essa: «la chiesa è invitata a consacrare alla catechesi le sue migliori risorse di uomini e di energie, senza risparmiare sforzi, fatiche e mezzi materiali, per meglio organizzarla e per formare un personale qualificato. Non si tratta di un semplice calcolo umano, ma di un atteggiamento di fede. E un atteggiamento di fede si riferisce sempre alla fedeltà di Dio, che non manca mai di rispondere.» (Catechesi tradendae 15)
Conclusione
Il lavoro che ho svolto non aveva l'intenzione di essere esaustivo nel delineare con precisione i tratti di un catechista. Come già detto la scelta operata ha privilegiato gli atteggiamenti pedagogici, pur sapendo che essi non sono sufficienti per svolgere una buona azione catechetica. Volutamente non ho considerato, ad esempio, i contenuti, la formazione, la collaborazione con altri ministri; tutti argomenti che meriterebbero un ulteriore approfondimento. Durante tutto il lavoro ho maturato una convinzione: spesso vengono scritte numerose pagine che fan proprie intuizioni maturate nel corso dei secoli grazie al contributo di uomini illustri come Agostino; forse varrebbe semplicemente la pena di mantenerne viva la memoria valorizzandone l'attualità che esse conservano. In conclusione confesso di aver rinforzato un personale "orgoglio patriottico": sono nativo di Cassago Brianza (Da molti studiosi Cassago Brianza è identificato con Cassiciaco, luogo dove Agostino trascorse un semestre di riflessione che gli permise di maturare la decisione di farsi battezzare a Milano nella veglia Pasquale del 24 aprile del 387, prima di far ritorno in Africa.
Cassiciaco è anche il luogo in cui Agostino scrisse I Dialoghi) e ne sono fiero!
Bibliografia
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Giovanni Giusti, Lettera ai catechisti di Sant'Agostino, Dehoniane 1994
Agostino d'Ippona, De Magistro, a cura di P. Domenico Bassi, Fiorentina 1930
Agostino d'Ippona, Il maestro interiore, a cura di Agostino Trapè, Paoline 1987
Henri Marrou, Sant'Agostino, Mondadori 1960
Goulven Madec, La patria e la via, Borla 1993
Agostino Trapè, La règle de saint Augustin commentée, Abbaye de Bellefontaine 1986
G. Bosio - E. dal Covolo - M. Maritano, Introduzione ai padri della chiesa sec. IV e V, SEI 1995
Adalbert G. Hamman, La vita quotidiana nell'Africa di Agostino, Jaca Book 1989
Il potere e la grazia - attualità di sant'Agostino, Omicron 1998
Giovanni Paolo II, Catechesi tradendae - esortazione apostolica, Paoline 1980
Dizionario di patristica, volume 1, Marietti 1983
G. Reale - D. Antiseri - M. Laeng, Filosofia e pedagogia dalle origini ad oggi, volume 1 La scuola 1993
Enciclopedia del Cristianesimo, De Agostini 1997