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Percorso : HOME > Scriptorium> De RomanisDe Romanis: la duplice Traslazione delle reliquie di Agostino
La traslazione delle Reliquie
LA DUPLICE TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE DI SANT'AGOSTINO
dall'Africa in Sardegna e dalla Sardegna a Pavia
di Alfonso Camillo de Romanis
estratto da
"Sant'Agostino. Il Santo Dottore nella vita e nelle opere". Appendice II
1. Gli studi sulle traslazioni delle reliquie di S. Agostino se paiono abbondanti in numero, in realtà non offrono larga messe di notizie criticamente vagliate. Si direbbe che gli scrittori della vita del Santo, dopo aver diligentemente trattato dei singoli avvenimenti di essa, giunti alla fine - come quei che al termine di lungo viaggio, raggiunta la destinazione, svelti salutano, affrettandosi a rientrare in casa - hanno avuto fretta di concludere. Quindi accettarono narrazioni a prima vista passabili; chi fece qualche osservazione critica non spinse l'esame sino a fondo. Per darci un'opera critica e completa il chiarissimo Mons. Francesco Lanzoni - che ha lasciato tante pregiate opere, testimoni irrefragabili della sua attività e sagacità storica, e la cui immatura perdita per la scienza storico-ecclesiastica non sarà sufficientemente rimpianta - raccolse ampia messe di notizie e documenti sulle vicende dei resti mortali di S. Agostino.
Però fu prevenuto dalla morte: del suo faticoso lavoro non rimasero che note sciolte. Sarebbe stato triste lasciarle in abbandono senza ordinarle - completandole al bisogno - e quindi rivestire di muscoli e di pelle lo scheletro così composto. La cura di non lasciar disperdere la raccolta e il desiderio d'avviarci senza intoppi a raggiungere la narrazione delle traslazioni delle reliquie del santo Dottore ipponense, mi farà perdonare l'audacia d'aver preso cura del carco che non potè essere condotto in porto da nocchiero tanto esperto. Che cosa farò? Ognuno che voglia leggermi vedrà e giudicherà. Che cosa avrebbe fatto Monsignor Lanzoni non ci è dato sapere perfettamente; però abbiamo ogni diritto di dire che ci avrebbe fatto il dono gradito di uno di quei suoi studi dei quali si potrà magari discutere qualche particolare, ma che tutti ammirano e dichiarano fecondi. E finendo questi preliminari - necessari per ragioni di giustizia e di riconoscenza - mi preme avvertire che il piano del lavoro di Mons. Lanzoni sarebbe stato quasi certamente diverso dal mio. Farei a meno del quasi, se potesse aversi certezza da note non ancora coordinate e qua e là da completarsi con notizie storiche. A ogni modo questa mancanza di assoluta certezza mi ha lasciato maggior libertà nei miei movimenti, sul piano da me preferito. Le più antiche e attendibili narrazioni del trasporto del corpo di S. Agostino dall'Africa in Sardegna e indi a Pavia, sono estremamente povere di particolari, sui quali passano con poche, secche frasi, costringendo ad aiutarsi da allusioni e richiami remoti.
Col tempo gli scarsi dati degli antichi cronisti si allargano, si rivestono; ma quasi sempre sono creazioni della leggenda che s'impadronisce degli oggetti, della devozione e dell'entusiasmo popolare, e maneggiando vigorosamente le primitive narrazioni, vi infiltra elementi alteranti. Così le narrazioni più ampie e diffuse e meglio conosciute dalla maggioranza sono più vicine per valore - per spiegarmi con un esempio - alla Gerusalemme Liberata che allo Scisma d'Inghilterra (parlo s'intende di valore storico). Tra queste narrazioni una richiede particolare esame; perché gode di credito tanto vasto quanto immeritato. È una lettera attribuita a Pietro Oldradi, arcivescovo di Milano. Destinatario è Carlo Magno, che avrebbe ordinato di raccogliere notizie sulle traslazioni. La narrazione è completa, ben fornita di particolari, di date e di nomi; dote in sé pregevole, ma che nella fattispecie, come vedremo, si risolve in un pasticcio. Eccone un ampio sunto.
2. Morto S. Agostino nel 430, la salma fu onorevolmente seppellita nella chiesa di S. Stefano d'Ippona. Ivi rimase quasi 56 anni, sino a quando per cura dei vescovi e d'innumerevoli fedeli, esiliati dall'iniquo re vandalo Transamundo (Trasimundo), principalmente di S. Fulgenzio, vescovo di Ruspa, fu trasferita in Sardegna, con alcune reliquie di altri santi, per sottrarla a contaminazioni: ne gemma et thesaurus tantus ab immundis spiritibus pollueretur. Per 223 anni (in margine dell'edizione romana, 221), fu venerata, distinta da miracoli nell'Isola mediterranea. Però occupata poi questa da barbari nemici e profanatori dei santi e dei luoghi sacri, Liutprando, re dei Longobardi (ch'è molto lodato per opere di pietà e di culto), mosso da Pietro, vescovo di Pavia, inviò grandi del suo regno, per redimerla. I legati regi assolsero rapidamente il mandato. Con ampie ricchezze comprarono le reliquie, fecero tosto vela per il ritorno, e con mare favorevole, in un giorno e una notte furono a Genova.
Liutprando, alla notizia, convocati i vescovi, il clero, i magnati del regno, sospeso ogni altro negozio, andò incontro alla salma sacra. L'incontrò al confine dell'agro di Tortona. Deposte le insegne regali, a capo e piedi nudi (reminiscenze bibliche e di storia ecclesiastica non troppo faticose!) si pone a capo del corteo che accompagna le reliquie. Giunti all'agro di Savignano fecero sosta, passando la notte in preghiera. Però al mattino, quando sono per rimettersi in via, il sacro deposito si sente tanto grave, che gli sforzi più grandi non riescono a smuoverlo. Liutprando è costernato; piange e prega, affinché gli sia concesso trasferire nella sua Città capitale il sacro corpo. Graziano, vescovo di Novara, gli suggerisce il voto di donare alla chiesa ove verranno deposte le reliquie il fondo, dove ora si trovano. Il re annuisce, senza difficoltà. Appena fatto il voto, s'accostano al deposito, e lo trovano tanto leggero che due soli uomini lo portano agevolmente. Così, senza ulteriori ritardi si giunse a Pavia, e qui la salma beata, tra inni e cantici, col concorso di tutto il popolo fu deposta nella chiesa di S. Pietro in Ciel d'oro.
La lettera prosegue narrando numerosi miracoli, onde fu illustrato il venerando sepolcro: fra gli altri quello di 40 pellegrini ultramontani, che andavano a Roma. Mentre riposavano nel vico Cavae, distante circa tre miglia da Pavia, ebbero la visione di un vescovo che chiese loro ragione del viaggio; e avendo risposto che andavano a Roma, nelle basiliche dei Ss. Pietro e Paolo, per esser guariti dalle proprie infermità, si manifestò per S. Agostino, che li invitava a S. Pietro in Ciel d'oro, ove sarebbero sanati. Ubbidirono, e ottennero la grazia; e divulgarono il prodigio nel proprio paese. L' Epistola fu pubblicata la prima volta, il 1587, dall'agostiniano P. Agostino Fivizzani, romano, sacrista del Palazzo Apostolico, in aggiunta alla Vita da lui composta con estratti delle Confessiones e di S. Possidio [1]. L'intestazione è la seguente: Domino regum piissimo Carolo Magno Petrus Oldradus indignus mediolanensium archiepiscopus perennem in Christo coronam. Il Fivizzani dedicando l'opera sua al cardinale Giacomo Savelli, vescovo di Porto, afferma che copia della lettera gli fu favorita da Giacomo Oldradi, beneficiato della basilica di S. Pietro; e che fu esortato a pubblicarla dal P. Maestro Taddeo (Perusino), vicario generale dell'Ordine e da altre pie persone. Il cardinale Baronio la riprodusse negli Annales, aggiungendovi notizie raccolte da Beda, Paolo Diacono, Mariano Scoto, Sigiberto e altri più recenti [2]. Ora all'esame della lettera dell'Oldradi.
3. A prima impressione essa pare uno dei più belli esempi conosciuti di generazione spontanea di documenti. I numerosi scrittori di cose agostiniane da Carlo Magno al secolo XVI, italiani e stranieri, la ignorano del tutto. Nè questa prima impressione è fallace. Disgrazia volle che il Baronio - certo in buona fede - l'accettasse: il prestigio del grande storico la fece accogliere da molti. Così aperta la via i frequentatori non mancarono più. Però, si converrà senza difficoltà da tutti che all'autenticità della lettera questo fatto non apporta un forte sostegno, anzi non apporta sostegno affatto. Gli scrittori (numerosi e sparsi per ogni dove) della traslazione delle reliquie di S. Agostino, da Carlo Magno al secolo XVI, mettono su faticosamente le proprie narrazioni, ondeggiando spesso tra incertezze e lacune, talvolta confessando chiaramente che ignorano particolari interessanti. Se invece li avesse soccorsi la lettera attribuita all'Oldradi avrebbero potuto stendere una narrazione coordinata e completa pur in particolari, senza sottostare a interrogativi lasciati in sospeso e a dubbi che non dileguano. Pare quindi più che legittimo concludere che non la conoscevano, e se non la conoscevano, tanti e per tanto tempo, non esisteva. Sono quindi giustificati pienamente gli scrittori che la rigettarono. Chè sarebbe stato troppo comodo per uno scritto di tal fatta imporsi senza resistenze e senza negazioni. Ecco alcuni valorosi critici e storici che non hanno esitato rigettarla o almeno di dubitarne fortemente. Il Muratori [3] la esclude in modo assoluto; il Pagi [4] la dice adulterina et supposititia. Il Coleti [5] l'ha per merum figmentum; C. G. Giulini [6] dice "aversi francamente tra gli eruditi come sospetta d'impostura". Per il Papebrochio [7] essa contiene tanti anacronismi che non merita fede. E della falsità della lettera non vi sono dubbi pel Federici [8]; come suppositia è ancora per Maiocchi-Casacca [9]. Il bollandista Guglielmo Cuper [10], benchè non osi rigettarla nettamente, la stima però sospetta e non attendibile. Non negherò che attraverso il Tillemont, il quale dubita del documento, benchè cerchi adattarlo [11], vi sono storici non spregevoli che ne ammettono la sostanza. Tali P. F. Savio [12] e Carlo Troya [13]. Ma sono costretti a proporre correzioni, modificare nomi e date. Però mancando ogni base, in variazioni e dubbi di qualsiasi edizione della lettera, questo sa troppo di arbitrio.
4. Per gli errori di essa cominciamo dalla cronologia. L'Oldradi dà circa 56 anni dalla morte di S. Agostino al regno e alla persecuzione di Trasamondo. In realtà Trasamondo regnò dal 496. Abbiamo quindi una differenza di circa dieci anni. Nel 486 siamo ancora sotto il regno di Gundamondo (484-496) il quale meglio che persecutore potrebbe dirsi amico dei cattolici: certo durante la sua dominazione i fedeli goderono di una relativa tranquillità [14]. E meno ancora può accordarsi colle date della vita di S. Fulgenzio vescovo di Ruspa, che nato nel 468 in consacrato vescovo nel 508. Inoltre, ciò che la lettera attribuisce a S. Fulgenzio non si vede come possa rientrare nello svolgimento degli avvenimenti che lo condussero due volte esule in Sardegna. Lasciamo pure da parte che la vita del Santo, scritta da un suo discepolo, nulla, assolutamente nulla, dica di questa sua asserita pia cura, e cura preminente, per sottrarre dalla profanazione le reliquie di S. Agostino. Ci direbbero che il silenzio è il silenzio. Ma non pare strano che, dato il fatto come vien narrato, ne taccia un autore il quale ha pure ricordato che Fulgenzio fu convertito a vita più perfetta dalla lettura di un'opera di Agostino? [15]
Il modo onde si svolsero i fatti, nell'ordine ed esecuzione della condanna di Fulgenzio all'esilio, sembra ragionevolmente escludere fin la possibilità dell'opera sua nella ricerca e traslazione delle reliquie in parola. Per il primo esilio, Fulgenzio è nella sua provincia, la Bizacena, allorchè i ministri del re lo presero repente, e aggregarono ai confessori deporta in Sardegna. [16]
La seconda volta fu strappato dalla sua sede intempesta nocte, populo ignorante. [17] Come in tali contingenze, lontanissimo da Ippona, abbia potuto dar opera o, a dire meglio, abbia potuto dirigere il trasporto delle reliquie di Agostino è un problema senza termini di soluzione o piuttosto con termini per una soluzione inversa. E potrei aggiungere un altro argomento per escludere da tale asserita traslazione delle reliquie di S. Agostino l'opera di S. Fulgenzio, che si presenta alla semplice lettura dei capitoli 25 e 27 della Vita citata. Per altri lati poi la lettera attribuita all'Oldradi non ti affida. Essa (rilievo severo, ma documentabile) si coglie in fallo in quasi tutti i particolari suscettibili di confronto. Sorvoliamo sulla sua notizia che S. Agostino fu sepolto onorevolmente dai fedeli, in Ippona, nella chiesa di S. Stefano: in civitate Hipponensi, in Episcopatu suo, in Ecclesia Sancti Stephani. Ci scommetterei che è il primo che parla di chiesa di S. Stefano. Forse si lasciò trarre in inganno dal De Civitate Dei [18] e da alcuni Sermoni del Santo [19] dove parlasi della memoria di S. Stefano in lppona. Però, leggendo più attentamente avrebbe veduto che la detta memoria stava nella chiesa, anzi accanto alla chiesa; nella basilica detta Maior, [20] e più propriamente "Basilica Pacis" [21].
Con tutta probabilità il santo Vescovo fu sepolto nella basilica della Pace, nella cappella di S. Stefano. Il pseudo-Oldradi (umanista che ha letto S. Agostino e ha composto a memorie delle sue letture) ha fatto una chiesa di una cappella ne ha foggiato un tratto distintivo del suo racconto. Ma andiamo innanzi. Vedemmo l'errore cronologico circa la persecuzione Trasamondo e l'esilio di S. Fulgenzio. Ma v'è ben altro. Nella lettera s'afferma che Graziano, vescovo di Novara, consigliò Liutprando di donare il campo savignanese alla chiesa di Pavia che per custodire le sante Reliquie. Ma per trovare un Graziano vescovo di Novara bisogna discendere al 680. [22] Carlo si chiama Magno: ora già il Pagi (l. c.) e lo stesso Tillemont (l. c.) hanno fatto rilevare che questo titolo fu dato al re Carlo dopo la sua morte; nessuno glielo dava nel 796. Pietro si dà il cognome Oldradi: lapus ben grave, ché l'uso del cognome in lettere episcopali del secolo IX è tale novità da far fermare per meraviglia l'acqua della fontana di Trevi.
Scrive bene in proposito il Giulini (l.c.) che " il trovare in documenti antichi cognomi usati come ai nostri giorni a guisa di cognomi e non come semplici soprannomi è pei buoni critici indizio gravissimo di qualche impostura"; e più efficace nella brevità il Muratori: "Oltre alle altre ragioni basta osservare che questo arcivescovo intitola se stesso della Casa Oldrada. Neppure oggidì sogliono i vescovi sottoscriversi col cognome; e allora poi né vi erano i cognomi, distintivi delle case." (l. e.)
Per liberarsi da tali difficoltà il Savio propone il cambiamento del nome di Graziano in quello di Grazioso (l. c.) e il Troya mette l'Oldradi a conto dei copisti (l. c.); il titolo di Magno poi sarebbe un'aggiunta posteriore. Ma non si manca di rispetto agli storici insigni, osservando che l'amore della tesi li ha sottomessi all'arbitrio Il documento non ha tradizione varia o incerta, né patisce dubbi e cambiamenti: tutte le edizioni conosciute hanno le date e i nomi in detti. Se fossero permessi ritocchi solo perché si crede "che il contenuto debba esser vero" [23] la critica dei testi diverrebbe una cosa allegra (scusatemi, ma sulla penna m'era proprio venuto: prestidigitazione). La presenza di tali errori ci tratterrebbe dal prestar fede a documento molto più antico e sorretto da buone testimonianze. Che cosa penseremo, quindi, di una lettera che si asserisce della fine del 700 e fa la sua prima apparizione nel secolo XVI; senza precedenti: in un latino che per il giro, il suono, la misura differisce profondamente da quello dei secoli VIII e IX?
5. Però i difensori dell'autenticità della lettera si credono in diritto d'impugnare il senza precedenti. Dicono che se ne hanno tracce in autori antecedenti, fin dal secolo XII. Ma è millantato credito. Una rapida corsa attraverso autori antecedenti sarà sufficiente a persuadercene. Filippo di Harvengt (Hainant), premostratense, abate di Buona Speranza, circa il 1130, scrisse "Vita b. Augustini Hipponensis episcopì" [24] ove dice di raccogliere tutto ciò che poté, leggendo. Al capo 33° parla della traslazione delle reliquie. Morto S. Agostino, il 3° mese dell'assedio di Ippona, il 28 Agosto, fu sepolto dai vescovi presenti e dai fratelli, "Postea divino disponente consilio Sardiniam translatum est (pare abbia preso la Sardegna per una città). Quando vero, vel quomodo, vel a quibus illuc translatum sit, scripto commendare nolui nec debui quia scriptum invenire non potui." Ivi rimase sino al 280° anno circa dalla morte, cioè ai tempi di Liutprando che udita la devastazione della Sardegna, manda legati, chierici e fedeli con molto oro e argento, perché procurino portar via il corpo del Santo "vel pretio vel quolibet ingenio". L'ottennero (non dice da chi) " dato multo pretio ", e colle reliquie tornarono. Liutprando, circondato da molti soldati andò loro incontro, e venerò la sacra salma. Narra poi il miracolo dell'appesantimento del corpo, il voto fatto dal re "divino instinctu commonitus", il susseguente alleggerirsi, e la deposizione a Pavia "ad regiam basilicam (S. Pietro Cella Aurea) quinto idus octobris."
E conclude ricordando che se a Pavia si vendono stoffe seriche, molto più prezioso tesoro sono le reliquie di S. Agostino. Sostanzialmente convengono con Filippo gli autori susseguenti, e anch'essi ignorano gli autori e le circostanze della prima traslazione. Si vegga Vincenzo di Beauvais (Bellovancense), [25] la "Historia translationis corporìs santii Augustini, [26] Giacomo da Voragine (Varazze), [27] (e a Fr. Giacomo si possono aggregare Pietro Calò [28] e Pietro Natali) [29], la Legenda di S. Agostino scritta da ignoto autore senese del secolo XIV [30] "Questa ha di speciale che avendo i barbari "occupata la detta terra (l'Africa) et guasto i sancti luoghi e fedeli presero il corpo d'Agostino e portorlo in Sardegna dopo la sua morte CCLXXX anni" [31].
Fr. Giacomo, poi, ha di proprio un appesantimento del corpo presso Genova, e l'erezione ivi di una chiesa. Egli e gli autori che ne dipendono specificano miracoli, mentre Filippo di H., si era limitato a parlarne in genere. A ogni modo nessuno di questi autori afferma che il primo trasporto del corpo sia stato effettuato a cagione e a tempo dei Vandali. Primieramente notizia ne viene da due agostiniani. Il primo è Fr. Giordano di Sassonia (provinciale dì Germania, morto a Vienna nel 1380) nella vita di S. Agostino. [32] Ricordate "la spurcitia" e le devastazioni dei Vandali, dice che nel 498 Trasemondo chiuse le chiese cattoliche ed esiliò 220 vescovi in Sardegna, allora il corpo di S. Agostino fu tolto da Ippona e portato in Sardegna "pridie kal. martii" (però non specifica da chi). Vi rimase sino al 285° anno dalla morte, allorché per giudizio di Dio eadem quoque civitas (richiama Filippo di H.) fu assoggettata alle depredazioni dei Saraceni.
La seconda traslazione è calcata sugli altri cronisti; il voto del re è fatto per ispirazione divina; ricorda infine la festa della traslazione celebrata dai Canonici Regolari e Eremitani Agostiniani che insieme officiano la chiesa di Pavia. Il secondo è Ambrogio Massari da Cori (detto perciò Coriolano), generale degli agostiniani, morto nel 1485 [33]. Con Fr. Giordano assegna la prima traslazione al tempo dei Vandali. Intorno alla seconda ha di proprio il permesso ottenuto da Papa Gregorio III (da correggersi in II) e la concessione di indulgenza di 7 anni e 7 quarantene in Pavia per la festa del Santo e della traslazione - due anacronismi in crescendo -.
Del resto non abbonda in notizie: per la prima traslazione concisamente dice che il corpo "in Sardiniam traslatum fuerat cum Vandali praedabundi Africam devastarent." Non è da passarsi sotto silenzio Agostino da Novis da Pavia, canonico regolare, e anch'egli scrittore di una "Vita S. Augustini". [34]
Eccetto qualche particolare secondario, cammina dietro le orme di Giacomo da Varazze, del quale ripete spesso anche le parole. Ma ha di proprio I'esclusione recisa dell'esistenza di testimonianze circa la traslazione da Ippona in Sardegna. Non c'è da sbagliarsi; nelle sue parole si sente l'eco delle polemiche tra Canonici Regolari e Eremitani Agostiniani. Se non m'inganno il Da Novis contrasta specificamente Fr. Giordano e il Coriolano nell'asserzione del primo trasporto al tempo dei Vandali. Ora se fosse esistita una narrazione di un insigne arcivescovo, scritta a Carlo Magno in seguito a un ordine di ricercar notizie circa il fatto della traslazione e che si presenta con questi titoli: Ex litteris et libris regum lonbardorum et etiam ex traditione multorum quae legi et audivi ... breviter scribam " [35] nè altri sarebbero andati incespicando in raccogliere qua e là notizie, nè il Da Novis, avrebbe seguito esclusivamente Giacomo da Varazze, e detto con decisa franchezza che "non habetur testimonium nisi in quibusdam somniis" del primo trasferimento durante la persecuzione vandalica. Il pseudo-Oldradi l'asserisce senza esitazioni e riserve. Mi pare quindi evidente la conclusione. Tutti gli autori dal XII (e vedremo che i precedenti sono anche più parchi) al XVI secolo, parlando della prima traslazione del corpo di S. Agostino non nominano mai i Vandali - eccettuati Giordano di Sassonia e Ambrogio da Cori; ma questi pure senza specificazioni. Pel resto del racconto sono spesso frammentari e rimangono sulle generali. Il ps. Oldradi, invece, determina tempi, persone, luoghi. Perciò è legittimo affermare che esso dipende dagli scrittori anteriori al secolo XVI, non il contrario. Lavorando su di essi il manipolatore della famigerata lettera, non digiuno d'erudizione, ha raccolto notizie, le ha rimaneggiate, completate, rivestite, adattate al suo disegno, e ha steso una narrazione senza lacune e priva di interrogativi (il che non vuol dire esatta).
Non ci vuol fatica a scoprire qualche sua tendenza. Per esempio egli ha cura visibile e costante di porre in azione i vescovi. Dove gli altri autori parlano di fedeli o ancora in maniera più indeterminata e meno personale (ricordiamo che secondo Filippo di H. e dipendenti Liutprando fa il voto "divino instinctu commonitus": perfino il Coriolano narra la prima traslazione con frase generale "cum Vandali praedabundi Africam devastarent") esso pone vescovi: vescovi curano il trasporto dall'Africa in Sardegna, un vescovo informa Liutprando delle profanazioni cui le reliquie sono esposte nell'Isola Mediterranea, un vescovo suggerisce il voto, ecc. Dobbiamo esser paghi di vedere in questa cura soltanto studio di specificazione o non potrebbe essere uno degli indizi per scoprire il manipolatore della Epistola? Questa scoperta è un problema possibile di soluzione? Almeno con probabilità, credo. Numerosi indizi collegati e convergenti ci guidano a ritrovare la fucina, ove fu manipolata la ormai troppo famosa lettera, in un cantiere donde uscirono in abbondanza notizie e falsi documenti per glorificazione della nobile famiglia Oldradi di Milano. Di questa famiglia era membro quel Giacomo Oldradi [36] dal quale il P. Agostino da Favizzano ebbe copia della lettera per la prima pubblicazione. Le traslazioni delle reliquie di S. Agostino potevano interessare sino a certo punto gli Oldradi; ma era per essi di gran valore un documento che serviva a mostrar tra i membri della loro famiglia l'arcivescovo Pietro di Milano, consigliere e amico di Carlo Magno. Né fu questo il solo falso compiuto per sostenere l'attribuzione dell'arcivescovo Pietro agli Oldradi. Attribuzione del resto non isolata, perché con larve di prove e con invenzioni furono aggregati alla stessa famiglia e l'arcivescovo Attone (o meglio Aicone) del X secolo, S. Giovanni di Meda, fondatore degli Umiliati, morto nel 1159, e altri dei quali possono leggersi i nomi in Argelati [37]. Si camminava, con passo marcato, per la via aperta già dal secolo XIV, onde i vescovi milanesi si facevano discendere da famiglie nobili della città. Però non Giacomo Oldradi bensì Pietro Galesino, di Ancona, erudito di fiducia di S. Carlo Borromeo, è il probabile autore della lettera. [38] Il Galesino era un vanitoso di tre cotte e piaggiatore di tal calibro da inserire in un calendario ecclesiastico milanese del 1582, tra i santi, Carlo Borromeo, ancora vivente [39].
Abituato cd esperto manipolatore di documenti, prodigo in affermazioni e attribuzioni nuove, per appoggiare le esaltazioni degli Oldradi; "uomo di non comune ingegno e di vasta erudizione, ma farraginoso e dotato di poca critica" [40] era proprio tagliato per metter su un lavoro come la lettera del pseudo-Oldradi. Che egli ne sia l'autore si può ritenere, senza timore dì giudizio temerario, molto meno di calunnia. Ma ne sia o no, è sempre certo che essa è priva dì valore: moneta falsa, che non può aver corso libero nel regno della storia. Temo che qualcuno mi rimproveri d'essermi troppo indugiato in una demolizione e forse m'accusi perciò di tendenze distruttrici Ma avrebbe torto. Questa lettera che raccoglie e quasi codifìca tutte le leggende e gli errori intorno alle traslazioni del corpo di S. Agostino è stata finora la fonte cui hanno attinto, con piena confidenza, moltissimi scrittori della vita del Santo. Essa deve mettersi assolutamente da parte. Ma, escluso il pseudo-Oldradi, saremmo privi di notizie? No: abbiamo altre fonti meno abbondanti, ma per compenso pure e più vicine alla sorgente. Con esse potremo stendere una narrazione che dà nette e robuste le colonne e le linee principali degli avvenimenti.
II.
1. Fondamentale è S. Beda, il Venerabile. Leggiamo nel suo Chronicon de sex aetatibus mundi: "Leo ann. VIIII ... Liupbrandus audiens quod Sarraceni depopulata Sardinia etiam loca foedarent illa, ubi ossa sancti Augustinì episcopi propter vastationem barbarorum olim traslata et honorifice fuerant condita, misit et dato magno pretio accepit et transtulit ea in Ticinis ibique cum debito tanto patri honore recondidit. " [41]
A queste parole fa riscontro quanto è scritto nel Martirologio dello stesso Beda: "V Kal. Sept. In Africa S. Augustini episcopi, qui primo de suo civitate propter barbaros Sardiniam translatus nuper a Liutprando rege Langobardorum Ticinis relatus et honorifice conditus est." [42] Per la via aperta dal santo Dottore inglese camminano, senza indugiarsi o deviare, gli altri cronisti e martirologisti sino al secolo XII. Trascrivo qui i più importanti. Paolo Diacono: "Liutprand quoque audiens quod Sarraceni depopulata Sardinia, etiam loca ilIa, ubi ossa sancti Augustini episcopi propter vastationem barbarorum olim translata et honorifice fuerant condita, foedarent, misit et dato magno pretio accepit et transtulit ea in urbem Ticinensem ibique cum debito tanto patri honore recondidit." [43]
In uguali termini la narrazione è riportata dall'autore di "Gesta episcoporum neapolitanorum", [44] che per impinguare la vita del vescovo Sergio, troppo scarna, v'inserisce il racconto della traslazione delle reliquie di S. Agostino. E sul Martirologio di Beda sono calcati i Martirologi di Rabano [45], di Adone [46], di Usnuardo [47], di Wandalberto Pruniense [48], tutti del secolo IX. E ponendo sempre come termine di arrivo il secolo XII, sfogliamo i diversi cronisti: essi rimangono nell'ambito della narrazione di Beda, spesso usando le stesse parole; soltanto, sul dato iniziale "Leo VIIII", del dottore inglese (che poi narra di seguito parecchi avvenimenti di anni diversi), si sforzano determinare l'anno della traslazione a Pavia, in ciò divergendo tra loro. Mariano Scoto [49] la pone al 734; Sigiberto [50] al 721. Adone [51] aggiunge il nome della chiesa di Pavia ove furono deposte le reliquie. Nei lezionari (specialmente italiani) dell'XI e XII sec., abbiamo la vita di S. Agostino - generalmente quella di Possidio o un compendio di essa - con appendice della deposizione delle reliquie in S. Pietro in Ciel d'oro. Le traslazioni sono ricalcate su Beda [52]
2. M'astengo dall'accumulare altre testimonianze che riuscirebbero ad appesantire la narrazione, senza fortificarla. Abbiamo veduto che i diversi scrittori non si allontanano, anzi quasi sempre si ripetono pur nelle parole; se letterariamente ciò è monotono, storicamente irrobustisce. Per alcuni secoli la narrazione dì Beda si conserva invariata.
Si può ritenere, senza presunzione di volerle indovinare, che la tentazione di fare un bel racconto lavorando sulle concise, secche notizie disponibili, completandole comunque, ricoprendole con fioriture fantastiche e drappeggiandole con reminiscenze, debba essere stata forte per parecchi. Però lo scarno, scheletrico paragrafo oppone, nella sua nudità rocciosa resistenza incrollabile. La leggenda abitualmente, dopo un certo tempo, riesce colle sue aggiunte deformatrici a penetrare e circondare il primitivo nucleo storico. Qui per parecchi secoli la sua azione è stata letteralmente nulla. La curiosità, certo insoddisfatta delle poche righe di Beda, non ardì tuttavia inquinarle con elementi estranei. In seguito, allorché alcuni tentano di determinare l'anno della traslazione a Pavia, eseguono un calcolo sui dati forniti dal Monaco inglese. Designando la chiesa di S. Pietro in Ciel d'oro come il luogo dove Liutprando depose la salma "cum debito tanto patri honore" non fanno che riferirsi a un fatto in possesso pacifico e comunemente noto. Non deve certo negarsi (e il contrario sarebbe un portento fuori delle leggi umane) che finalmente (dal secolo XII) la leggenda comincia con fili d'oro, d'argento, di lana, di canovaccio, a tessere il manto da gettarsi sulla storia. Però la resistenza durata tanto a lungo ha ben servito a fortificare e fissare il nucleo primitivo, che oramai non si dissolve più. E merita ancora rilievo il fatto che dal secolo XII al XV se amplificazioni, drappeggiamenti e - perchè no? deformazioni vengono moltiplicandosi, si riferiscono quasi esclusivamente alla seconda traslazione dalla Sardegna a Pavia - e l'esistenza di chiese, di memorie, di possessi ecc. allora in vigore spiega, se non giustifica il fatto. Per la prima traslazione non sono ampliate o alterate le scarse notizie delle antiche cronache. Si confrontino i già citati Filippo di Harvengt, Vincenzo di Beauivais, la Historia translationis carports Sancti Augustini in Hermatena, Giacomo da Varazze, l'Anonimo senese del secolo VIV, Pietro Calò, Pietro Natali, Agostino da Novis, e non potrà sussisterne dubbio.
3. Non disponiamo dunque di molte notizie sulla prima traslazione; però - direbbe il Manzoni - "sono come i versi del Torti: poche, ma buone." Anticipando un'osservazione che andrebbe meglio a conferma delle conclusioni non deve dimenticarsi che S. Beda morto, secondo lo Chevalier [53] il 26 o 27 Maggio 735, e secondo il Mommsen il 9 Maggio 742, [54] è qui un contemporaneo degli avvenimenti narrati. La traslazione non avvenne a tempo dei Vandali, per causa delle loro crudeltà. Capisco che l'affermazione può sembrare audace, tanto abbiamo fatto l'abitudine al racconto che durante la persecuzione vandalìca il corpo di S. Agostino fu portato dall'Africa in Sardegna. Ma esaminando i testi di Beda e degli scrittori a lui prossimi - i soli autorevoli in subiecta materia - vedremo che dire non avere i Vandali in questo fatto nè colpa nè peccato è imposto dal più elementare senso di giustizia storica. Le parole di Beda le conosciamo ... "quod Sarraceni depopulata Sardinia etiam loca foedarent illa, ubi ossa sancti Augustini episcopi propter vastationem barbarorum olim traslata et honorifìce fuerant condita" e cosi gli altri. Premetto una quisquilia in sè, ma non da trascurarsi visto e considerato che abbiamo contradditori attaccati ai rasoi. L'alim dì Beda, secondo l'uso di molti scrittori latini che se ne servono per indicare il tempo trascorso, anche da poco, nella propria vita (alim feci, scripsi, dixi, passus sum etc.), non vuol indicare affatto un avvenimento passato da tempo lunghissimo, o semplicemente lungo, ma unicamente completo. Bene e meglio è spiegato dal primo del Martirologium. E non sarebbe di buon gusto sollevare difficoltà perchè Beda specifica per la devastazione della Sardegna i Saraceni e per quella dell'Africa parla in genere di barbari. Certamente se egli avesse aggiunto a barbarorum un ipsorum - o un eorumdem ecc. - sarebbe stata tagliata la testa al toro; e io mi sarei risparmiata la fatica di scrivere queste pagine, voi la noia di leggerle. Però se volessi raccogliere dagli scrittori esempi simili a questo che abbiano tra mano, onde nella medesima narrazione le stesse persone sono nominate a breve distanza ora specificamente, ora in genere, potrei stendere una lista più lunga di quella degli dèi d'Atene e dì Roma. Ma passiamo da questioni grammaticali al fondo storico.
Beda non chiama mai i Vandali, e gli altri popoli invasori dell'Impero, col nome di barbari. Non c'è pericolo di dover sudare, per raccogliere dalle opere del santo Dottore Inglese abbondante messe di testi in proposito. Leggesi nella Chronica di cui usiamo: gens Hunnorum, Gothorum, gentes Scithicae, (p. 298) gentes Scothorum et Pictorum (p. 299) e proprio parlando dell' invasione dell'Africa e della morte di S. Agostino: effera gens Vandalorum,Hulanorum et Gothorum (p. 302); e sempre lo stesso termine anche pei Sassoni, Langobardi, Angli ecc. (cfr. pp. 303 . 304-305 - 307 - 308 . 309). Solo una volta designa gli Scoti e i Vitti come barbarorun multitudinem (p. 301); ma, riportando parole di Gilda. E a conferma sta il fatto che alcuni cronisti cambiarono il barbari in gentili; che meno ancora può applicarsi ai Vandali. specialmente nel tempo in cui essi, abbandonato l'arianesimo, erano entrati nella famiglia cattolica. Altre ragioni poi ci persuadono anche meglio che la traslazione delle reliquie di Agostino non avvenne a causa dell'invasione vandalica. Certo l'Africa cattolica soffrì da essa orribili devastazioni di chiese, di luoghi sacri, oltraggi crudeli. La persecuzione cui i Vandali, in nome di Ario, sottoposero i cattolici fece moltissimi martiri e inviò un esercito di confessori, specialmente vescovi e chierici, in esilio. So bene che tra gli esiliati non mancò chi trasportasse reliquie di santi. Ma distingue: il monito scolastico deve qui essere scritto stylo ferreo e scolpito in silice. Primieramente va ricordato che al tempo della persecuzione vandalica Agostino non era ancora venerato con vero e proprio culto: quindi non esisteva per la sua salma il timore di quella profanazione che si temeva per le reliquie dei santi pubblicamente venerati. Troviamo nel Kalendarium Carthaginense [55] la depositio Restituit et Augustini episcopi; ma Agostino è uno dei pochi non insigniti del titolo di Santo, E non gli è dato nei codici più antichi (E e B) del Martirologium Hieronimianum; ma soltanto nel V, più recente. La venerazione definitiva degli occidentali per S. Agostino si ha sotto Bonifacio Il (530-532). Ma v'è altro. Nessuno degli scrittori che narrano le tribolazioni della Chiesa Africana sotto i Vandali, anche ricordando Agostino, ha una sola parola di questa supposta traslazione delle sue reliquie. Beda stesso, che pur nella sua Chronica parla con vivi colori delle persecuzioni vandaliche, anzi riunisce in un solo racconto l'invasione dei Vandali e la morte del santo Dottore, [56] non ne offre neppure un tenue indizio. Dai contemporanei non si riesce a udire una parola che possa avervi un riferimento anche lontano. Eppure sarebbe venuto spontaneo il parlarne, chè la memoria di Agostino vi ritorna, o almeno vi affiora, spesso. Niente ne dice S. Fulgenzio, niente il contemporaneo autore della "Vita b. Fulgentii" già citata; niente Vittore Vitense nella sua cornmovente e suggestiva storia della persecuzione vandalica. [57] E tacciono pure Vittorio di Tonnenna, nella sua Chronica (sec. VI) [58] Procopio, de bello vandalico; Isidoro nella sua breve storia dei Vandali. Insomma di quelle tribolazioni ci giunsero testimonianze non scarse, talvolta anche particolareggiate. Che proprio sia stata trasandata ogni memoria di questa supposta traslazione delle reliquie di Agostino, francamente, pare strano. Si invochi pure il"chi tace non dice niente"; ma quando vi sarebbero state tante occasioni di parlare e la gloria e la venerazione verso Agostino era grande e, diciamolo pure, l'avvenimento si presenta come importante, sembra sia molto più vicino al vero chi afferma che chi tace nega. Non si parla del fatto, perché non avvenuto. E che non sia avvenuto ci persuade anche un'altra considerazione. Gli esiliati trasportarono reliquie; però dove? Dove non dominavano nemici del nome cattolico. Ma il caso nostro è diverso. In un anno, non esattamente determinato, ma che per nessuno è antecedente al 480, le reliquie di S. Agostino sarebbero state portate dall'Africa in Sardegna, per sottrarle alla profanazione dei Vandali, Ma dalla seconda metà del secolo V la Sardegna è soggetta ai Vandali: e vediamo infatti che vi esiliano e ne richiamano vescovi; ivi esercitano ogni potere e arbitrio sui cattolici. Ora si può supporre che tormentati, scossi da un regime di terrore i cattolici abbiano ecceduto in precauzioni; ma che siano giunti a perdere la nozione della realtà sino al punto di sottoporsi a fatiche e rischi per sottrarre le cose sacre ai Vandali, portandole là dove i Vandali avrebbero potuto esercitare ugualmente la loro opera profanatrice, con l'aggiunta di dare nella traslazione stessa un probabile richiamo a compierla, è fuori del più elementare senso comune.
A me pare già evidente che i Vandali non hanno né demerito né merito della traslazione delle reliquie di S. Agostino dall'Africa. Ma non voglio trascurare dei supplementi di prova per irrobustire ancora la conclusione. Le testimonianze e i fatti sono quali oramai li conosciamo: dato pure che la persecuzione vandalica fosse stata tale da consigliare in genere trasporti di reliquie, circostanze speciali lo escludono per quelle di S. Agostino; per le ragioni esposte e per questa che soggiungo. I Vandali veneravano la memoria del Vescovo di Ippona, tanto che mentre non permettevano assolutamente scritti contro l'arianesimo, di fronte ad Agostino s'inchinavano, e le opere col suo nome passavano. Perciò sono del tempo della dominazione vandala parecchie opere in difesa della divinità del Verbo pseudo-agostiniane: il nome di Agostino poteva servire di passaporto. Ma veramente poi la crudeltà vandala fu tale che ci porti ad ammettere come conclusione generale che l'esodo di corpi venerati doveva essere entrato tra le provvidenze ordinarie, imposte a fronteggiare in qualche modo la persecuzione? Prescindiamo dalle devastazioni, incendi, spogliazioni del tempo dell'invasione e del primo stabilirsi. Certo allora furono passate chiese cattoliche al culto cristiano; il clero, i maggiorenti cattolici eliminati nella maniera più sommaria; vietate le cerimonie pubbliche del culto, perfino nella sepoltura dei fedeli. [59]
Ma gli avvenimenti che ci riguardano, anche secondo i calcoli che più li anticipano, sono posteriori di almeno una cinquantina d'anni a questo primo periodo. Quindi la persecuzione fu subdola, empia, crudele; la propaganda ariana attiva, intensa, favorita in ogni maniera. Crudeltà ne furono commesse in abbondanza: ma profanazioni di tombe non ve ne furono. [60] Credo quindi legittimo concludere che la traslazione delle reliquie di S. Agostino dall'Africa non è avvenuta durante la dominazione vandala. Possiamo comprendere come in tempo posteriore di secoli agli avvenimenti si siano potuti individuare da alcuni scrittori i barbari dei primi cronisti nei Vandali. Questi appaiono minacciosi e tremendi nella vita della Chiesa africana ai tempi d'Agostino; ne assediano la città alla sua morte; distruggono chiese e uccidono cattolici, mentr'è calda ancora la sua salma; i discepoli immediati dì S. Agostino contrastano e confutano i Vandali. Ma è un'impressione di lontananza, confusa ed evanescente nei contorni, oscura al centro. Esaminata con occhio limpido si mostra apparenza fantastica; al contatto perde ogni consistenza.
4. La traslazione avvenne molto più tardi.
Nè deve opporsi quanto narra S. Possidio che Ippona dopo la morte di Agostino, abbandonata dagli abitanti fosse poi bruciata dai nemici. [61] Potremmo sussumere che questo fatto andrebbe a colpire anche l'affermazione dell'asserito trasporto più recente, posteriore di almeno 56 anni alla morte del santo Vescovo. Ma diremo piuttosto che le parole di Possidio vanno prese con discrezione: non possono intendersi d'un abbandono totale e d'una conseguente completa e definitiva distruzione. Infatti lo stesso Possidio suppone salva la biblioteca dei libri di Agostino, perchè a essa rimanda [62], e Procopio [63] nel 434 chiama ancora Ippona città fortificata. Perciò giustamente il Fournel osserva che l'incendio non fu molto importante, essendone sfuggita la biblioteca di Agostino, e quattro anni dopo di esso (nel 435) a Ippona fu firmato un trattato. [64] Inoltre mentre è per cominciare il secolo VII noi troviamo pur dei vescovi d'Ippona [65]. E sul declinare di questo secolo, e della potenza bizantina in Africa, Ippona viene ricordata tra le piazze forti della costa ancora occupate dai Greci [66]. Quindi non ci si può mettere innanzi questa pietra d'inciampo: che riportare la traslazione del corpo di S. Agostino oltre il secolo V significa dirlo abbandonato lungamente in luogo desolato e deserto; è una Fantasia come tant'altre. Procedendo ancora un poco per esclusione, non v'è testimonianza né probabilità che il trasporto in Sardegna possa essere stato determinato da qualcuna delle invasioni Persiane, di corta durata e abbastanza lontane da lppona, né dalle molestie e devastazioni dei Maori che, in verità, operarono ininterrottamente contro le terre romane, ma senza sconvolgerne l'ordinamento e che, per quanto si sa, non provocarono esodi di popolazioni.
5 Ora possiamo raccogliere la conclusione.
Le reliquie di S. Agostino furono trasferite in Sardegna da cristiani sfuggenti l'invasione dei Maomettani. Questi sono i barbari devastatori, dei quali parlano Beda e gli altri cronisti. Era nel proposito e più nell'opera dei Maomettani distruggere il Cristianesimo; profanavano chiese, reliquie, cose sacre; uccidevano o menavano schiavi i fedeli. Sebbene monoteisti le loro abitudini, culto, morale erano macchiati da tali e tanti errori e abominazioni che comunemente s'avevano non solo per barbari, ma altresì per pagani. Sottraendosi dunque agli orrori della dominazione islamitica i fedeli, costretti perciò ad abbandonare l'Africa, tolsero seco da Ippona la salma di S. Agostino, e la trasferirono in Sardegna, rifugio vicino e che in quel primo momento sembrava loro abbastanza sicuro. A quest'affermazione però bisogna soggiungere che se così possiamo conoscere gli autori, le cause, gli elementi più importanti del fatto, nello stato attuale dei documenti a nostra disposizione, l'anno più o meno preciso, non si può determinare, ma bisogna contentarsi di una larga approssimazione. I limiti sotto segnati dal 640, data dell'invasione dell'Egitto da parte degli Arabi, e dal 704, quando l'Africa Settentrionale fu totalmente soggetta agli Islamiti. Forse si è nel vero, ritenendo che il trasporto avvenne piuttosto verso il tempo della caduta definitiva del potere imperiale.
Ci indurrebbe a quest'opinione lo svolgimento delle vicende africane e lo stato d'animo del popolo. Dopo essersi stabiliti in Egitto gli Arabi dal 647 - fanno incursioni nella Cirenaica; nel 666-667 sono alla Sirte; nel 675-676 assalgono Tunisi; l'anno appresso anche Cartagine. [67] Nel 669 avevano fondato la città ed eretto la moschea di Kairouan, centro religioso e militare della Bizacena, dove si stabilirono fortemente, però non tanto da resistere alla vigorosa riscossa dei Bizantini; sì che nel 683 Kairouan fu evacuata: ma per poco. Gli Arabi tornarono a occuparla nel 693. Quindi proseguirono l'attacco del territorio imperiale, impadronendosi, nel 605, di Cartagine. La perdettero per poco, rioccupandola definitivamente nel 698. [68]
D'allora l'Africa, nonostante qualche altro tentativo di riscossa, specialmente da parte dei Berberi, potè considerarsi acquisita ai Maomettani. i Cristiani sperarono sino all'ultimo di superar la bufera. Solo verso la fine del secolo VII si persuasero che la partita era perduta e che non potevano rimanere in Africa senza incappare nel dilemma crudele degli Islamiti: "o convertirsi o essere schiavi imposto colle ragioni della scimitarra. [69] Perciò abbandonarono la patria, portando seco, quando fosse possibile, ogni cosa più caramente diletta. La loro condotta manifesta il loro animo. Nelle devastazioni del 668, allorché Okba traversò le oasi della Tripolitania e di Gadames e s'impossessò della Bizacena gli imperiali avevano assistito impassibili nelle loro fortezze" alla rovina del paese, In seguito ristabilita la pace religiosa e l'unione coi Latini (ch'era stata rotta per la questione dei Tre Capitoli) alleatisi ai Berberi, militarmente e politicamente ottennero dei vantaggi non spregevoli: e sino alla fine del settimo secolo, appoggiati ancora a Ippona e altre città della costa e parecchie cittadelle interne, mantenevano intatta la seconda linea di difesa, con non pochi presidi. [70] Pare dunque ragionevole ritenere che soltanto allorché caddero questi ultimi rifugi, dileguò la speranza e si verificò la fuga e l'abbandono. E quindi sembra anche legittimo il concludere che appunto allora le reliquie di S. Agostino furono trasferite in Sardegna. Perciò ivi rimasero non molti anni, Le cosiddette tradizioni dell'Isola mediterranea sul tempo, i particolari, i luoghi di venerazione della saluta del santo Dottore sono prive di base. Tentare una selezione tra esse sarebbe affidarsi al caso: ma i giochi d'azzardo sono proibiti! È probabile, ma soltanto probabile, che le reliquie sieno state deposte a Cagliari, capoluogo ecclesiastico e civile dell'isola. In quale chiesa non sappiamo; tuttavia non ci fermeremo a contraddire nè quei che affermano essere stata S. Saturnino, né quei che, semplicemente, una chiesa presso il mare.[71]
III.
1. La speranza che la Sardegna potesse offrire un asilo relativamente sicuro ai Cristiani si dimostrò presto fallace. Divenuti padroni dell'Africa settentrionale gli Islamiti, coll'ardore di dilatazione, che caratterizza così spiccatamente la prima fase della loro storia, cominciarono presto a minacciare tutto il Mediterraneo. Prima furono incursioni per far preda; infine giunsero a occupare, con alti territori, la Sardegna, ove si stabilirono sino al 1050. Quindi la seconda, peregrinazione del corpo del santo Dottore d' Ippona.
In dati concisi e chiari ce ne parla per primo ancora S. Beda; anzi il Dottore inglese narra direttamente la seconda traslazione, dalla Sardegna a Pavia; traslazione che avvenne ai suoi tempi; e che certo, data la venerazione straordinaria onde S. Agostino era circondato, dovette apprendersi nel mondo cristiano con un senso di sollievo. Dopo una serie secolare di rapide inalazioni, di piccoli re e di grandi miserie, a Pavia regnava Liutprando, succeduto nel 712 a suo padre Ansprando. Principe intelligente e attivo, Paolo Diacono lo loda ampiamente: "Fuit antenì vir multae sapientiae, consilio sagax; pius admodum, et pacis amator; bello potens, delinquentibus clemens, castus, pudicus, orator pervigil, eleetmosynis largus, litterarum phifilosophis aequandus, nutritor gentis, legum quidem ignarus, sed augmentator." [72] Smorzando un poco il tono di queste lodi diremo che fu il più approssimantesi a grandezza fra i re Laugobardi, dopo Agilulfo e Teodolinda. [73] Nonostante qualche dissenso coi papi, tra i suoi spiccò per rispetto alla Sede Apostolica; e promosse e favorì molteplici opere di religione e di culto. Liutprando dunque venuto a notizia delle devastazioni e profanazioni che gl'Islamiti perpetravano in Sardegna, sollecito della sorte delle reliquie di S.Agostino,"misit et dato magno pretio" le ebbe in possesso, e devotamente le trasportò e collocò in venerazione a Pavia. A queste sobrie notizie tramandateci dai primi narratori s'è aggiunta (e sarebbe portentoso se fosse mancata) una fitta fioritura di racconti senza base, di aeree supposizioni cronologiche, personali e locali, di fantasie, di spropositi. Bisogna, quindi, sfrondare e tagliare negli autori dal sec. XII. Primieramente in quale anno avvenne la seconda traslazione? Siamo costretti a ipotesi che però non ci costringono a oscillare tra limiti troppo distanti. Liutprando regnò dal Giugno-Luglio 712 al Gennaio 744, e la conclusione definitiva dell'opera storica dì Beda non può porsi oltre il 734. Quindi il 712 e il 734 sono da porsi come possibili dati estremi; e va senz'altro rigettato quanto dicono Sigeberto, il Mombrizio, l'"Historia translationis" in Hermathena, Filippo di Harvengt, ecc. cioè che la traslazione avvenisse 280 anni dopo la morte di Agostino, cioè il 710. Il 712 ha poche probabilità; chè pare fuori di dubbio che Liutprando regnasse già da qualche tempo allorché riscattò le preziose reliquie. Beda prepone al suo paragrafo la determinazione: Leo, VIIII, cioè anno nono di Leone Isaurico - compreso tra il 25 Marzo 725 e 25 Marzo 726 - e subito narra il celebre assedio di Costantinopoli da parte degli Arabi, che durò dal 717 al 719, poi la scorreria degli stessi Arabi contro i Bulgari; quindi soggiunge il racconto della traslazione. Se, come pare probabile, Beda ha seguito nella Chronica l'ordine degli avvenimenti, bisognerebbe dire che la traslazione, ricordata ultima, avvenisse dopo i fatti premessi; quindi intorno al 725. Questa data appare ben fondata anche per diverse altre considerazioni; quindi si ritiene come la più probabile, senza per altro mettere pegni troppo forti per essa e senza gridar la croce addosso agli autori che partendo dal 712 giungono al 734. Le date delle invasioni e incursioni maomettane dell'isola non ci possono offrire indicazioni precise. Gli Arabi nel 705-706, fecero un tentativo che quantunque non riuscito, terrorizzò e fruttò loro 3000 prigionieri. [74]
Dal 29 Ottobre 710 al 18 Ottobre 711 una flotta, mandata da Musà ibn Nusair devasta e saccheggia la Sardegna. Seguirono altre incursioni con occupazione di territori, finchè dal Luglio 721 al 20 Giugno 722 si svolgono fiere lotte, e gl'infedeli ottengono successi che li portano all'occupazione definitiva dell'Isola. [75]
Nel mondo cristiano si spargeva largamente pauroso il rumore delle conquiste mussulmane, dell'empie crudeltà onde desolavano e terrorizzavano i popoli sottomessi. Parrebbe che la notizia dell'occupazione definitiva della Sardegna spingesse Liutprando a mandare legati, forniti di larghi mezzi, forti dell'autorità derivante dalla sua potenza, per riscattare la sacra spoglia. Ma non può escludersi assolutamente che il riscatto sia stato effettuato in un tempo nel quale gl'Islamiti già avevano posto piede nell'Isola, la venivano via via stringendo nel loro cerchio di ferro e di abominazioni, ma non erano ancora i padroni assoluti. A ogni modo i legati regi, tanto bene sostenuti dal nome e dalle ricchezze non dovettero incontrare eccessive difficoltà - o le vinsero presto – per ottenere le reliquie desiderate, Da chi le ebbero? Dai Maomettani che se ne erano già impadroniti o da fedeli che ancora le custodivano, che forse le avevano nascoste? Credo che non riusciremo mai a rispondere a questa domanda. A meno che non si desse la fortuna - poco probabile - di rintracciare qualche documento di valore, che ci aprisse qualche nuovo spiraglio dì luce. Oggi non abbiamo alcunchè di attendibile per risolvere la questione in un senso o nell'altro. Notizie, diffuse specialmente da scrittori sardi, che scendono a minuti particolari, che ricamano intorno al possesso del sacro deposito la tessitura di avvenimenti drammatici, di lotte ardenti, sono da rigettarsi tra le leggende. Per esempio si possono mandare a far paio colle genealogie e le storie del Parnaso le narrazioni delle Pergamene di Arborea, [76] ch'hanno, fortemente rilevati, tutti i caratteri d'una falsificazione spesso grossolana. Solo di passaggio accenno alle pseudo-tradizioni circa il trasferimento nell'isola, col corpo, degli ornamenti e indumenti episcopali, che pur oggi mostrano in Sardegna. Oltre che campate in aria vanno a cozzare e spezzarsi contro ogni verosimiglianza; s'impigliano in anacronismi curiosissimi sull'uso degli ornamenti episcopali, sulla tessitura e qualità delle stoffe ecc. [77] E poco meglio che calcoli cabalistici sono gli sforzi per determinare il prezzo sborsato per riscattare il corpo; e se in danaro o in metalli preziosi ecc.
2. Quantunque nè Beda nè Paolo Diacono ne parlino, non sarebbe ragionevole il dubbio sulla chiesa della primitiva deposizione, Con un massimo di probabilità che uguaglia una ragionevole certezza storica deve dirsi che senz'altro furono deposte in S. Pietro in Ciel d'oro. [78] Questa chiesa è certamente anteriore a Liutprando: quando e da chi eretta non entra nel mio scopo determinare, pur se fosse possibile nello stato attuale dei documenti. Paolo Diacono scrive che Liutprando "monasterium beati Petri quod foras muros Ticinensis Civitatis situm est, et coelum aureum appellatur, instituit." [79]
Dunque Liutprando eresse un monastero presso la chiesa già esistente; il che conferma che ivi furono deposte le reliquie di S. Agostino. Perchè vi fossero custodite "cum debito tanto patri honore" il re vi eresse il monastero. E che l'erezione del monastero fosse dovuta proprio all'essere S. Pietro in Ciel d'oro custode del corpo di S. Agostino viene insinuato dal fatto che Liutprando non aveva a ciò ragioni personali; ché il suo sepolcro primieramente fu in S. Adriano. [80]
Ad ogni modo benché non si abbiano esplicite testimonianze contemporanee della prima riposizione in S. Pietro in Ciel d'oro, limitandosi i primi narratori a parlar di Pavia, il fatto certissimo che qualche tempo dopo il corpo di sant'Agostino ivi è venerato, senza l'ombra d'una notizia che mai accenni a trasporto da altra chiesa di Pavia; la tradizione, confermata da indizi monumentali, da affermazioni di cronisti e di storici; atti delle autorità, non consentono incertezze e riserve. Favori e attestazioni di Papi per S. Pietro in Ciel d'oro, "ove Liutprando portò e depose le reliquie di S. Agostino sono numerosi ed espliciti. Lasciamo pure da parte il diploma di Leone IX (26 Agosto 1050) che alcuni critici stimano interpolato. Già Alessandro II (Lucca; 6 Novembre 1070) in diploma all'abate Benedetto di S. Pietro in Ciel d'oro scrive: "[Liutprandus] corpus S. Augustini detulit ad eamdem ecclesiam et recondidit illic."
E simili affermazioni si hanno in diplomi di Pasquale II (Anselmo abbati, dal Laterano, 14 Febbraio 1102), di Innocenzo II (Anselmo abbati, a Piacenza, 4 Giugno 1132); di Eugenio III (da Cremona, 7 Luglio 1148); di Anastasio IV (dal Laterano, 15 Ottobre 1154). [81] Un'attestazione storica e monumentale non mai smentita, non offuscata da incertezze e contrasti, non minata da contraddizioni bisogna accettarla. Ma fermiamoci qui. Quell'insieme di eventi che nelle narrazioni di molti cronisti formano una fitta rete di maraviglie, circondano di una larga atmosfera di portenti la via delle reliquie da Genova a Pavia, rivestono S. Pietro in CieI d'oro, va rigettato parte tra le leggende. parte tra le asserzioni senza base sufficiente. A costo di qualche ripetizione ricordiamo che Filippo di Harvengt, Vincenzo di Beauvais, la "Historia transiationis", in Hermathena, Giordano di Sassonia, Giacomo da Varazze, il Coriolano, il pseudo-Oldradi ecc., via via completandosi e aggiungendo; dall'affermazione generica passando alla specificazione (si confrontino per es. Filippo di H. e Giacomo da Varazze), narrano che gli inviati regi giunti felicemente e rapidamente colle reliquie a Genova furono ricevuti con gioia da Liutprando, partitosi subito con gran corteo da Pavia appena avuto notizia dell'arrivo del sacro deposito. Quindi il viaggio per Pavia, contrassegnato dal miracolo dell'appesantimento del feretro, con subitaneo alleggerimento dopo il voto, nel campo di Savigliano (tralasciamo quello di Genova accolto per entusiasmo patrio nella narrazione di Giacomo da Varazze) terminato felicemente, con manifesti segni di soprannaturale virtù, colla deposizione in S. Pietro in CieI d'oro, dove s'apre una viva fonte di prodigi. Possiamo ammettere o, se volete, senz'altro ammettiamo, che il viaggio delle reliquie da Genova a Pavia si compì per la valle dello Scrivia, passando pei pressi di Tortona e Savigliano, chè quest'era la via comunemente battuta e la più comoda. Ma il particolare delle soste causate dall'appesantimento del sacro deposito, del rapido alleggerimento dopo il voto non hanno argomenti, han aria d'invenzioni per glorificare chiese e memorie, sorte in seguito. Si sono voluti intessere drappeggiamenti dalla fantasia insoddisfatta della semplicità dette prime narrazioni.
Nè si dica che questa è mania distruggitrice. Dovrebbe pure significare qualche cosa il fatto che primi ne parlano autori distanti secoli dagli avvenimenti; che ciascuno vien fuori con un'edizione riveduta per conto suo, storicamente peggiorando, col crescere. Il fatto poi dell'aggravamento del feretro è copiato e ripetuto da racconti diffusissimi, che applicati a molti e molti santi manifestano come il motivo sia stato sfruttato largamente. Anzi non si è avuta neanche la precauzione di curare particolari per nascondere l'applicazione da questo a quello, fatta con trasporto intero senza badare alla diversità delle circostanze. Per averne un'idea si può leggere il Bagatta; [82] cui aggiungendo casi raccolti da altri autori si ha una lista di proporzioni inverosimili. Però in tanti e tanti racconti la varietà non la vince davvero sulla monotonia; ed è fortunato chi riesce a trovare alla promessa fatta per ottenere il trasporto un motivo diverso da questi tre: o lasciar parte delle reliquie, o erigere una chiesa, o donare il luogo ove avviene il fatto al tempio dove si depongono le reliquie del Santo. Si vede chiaro che, generalmente, come accennai, chiese e memorie erette in tempi posteriori, hanno voluto porre alla loro origine un fatto portentoso. Se queste osservazioni sembrano troppo generiche scendo al fatto specifico asserito dell'appesantimento e relativo alleggerirsi, in seguito a voto, del corpo di S. Agostino. Tra i diplomi di Ottone I e Ottone II ve ne sono alcuni in favore di S. Pietro in Ciel d'oro, di cui sono enumerati i beni. Ma tra i possessi e dipendenze non appaiono nè l'ager di Savignano - o altro in diocesi di Tortona - nè memoria di Genova. [83] Il medesimo in diplomi di Enrico II, [84] di Federico I, [85] di Enrico V, di Federico II. [86]
So bene che ci vengono ricordati in alcuni diplomi di Ottone I e Corrado II menzioni di un S. Agostino di Genova e di un pagus in diocesi di Tortona: ma sono falsi. Per gli argomenti apportati da Vincenzo Legè [87] si ammette senza difficoltà l'esistenza di un antico monastero di S. Agostino in Savignano. Però lo stesso Legè, difensore della storicità del portento narrato dai cronisti menzionati, ci dà gli indizi, o meglio le prove, che il detto monastero non può riconnettersi alla narrazione della leggenda. Esso era sotto la giurisdizione del vescovo di Lodi. I Tortonesi cercarono a diverse riprese di farlo passare sotto la propria giurisdizione. Il diritto di Lodi fu riconosciuto più volte, benché infine, nel 1176, Federico Barbarossa lo cedesse definitivamente a Tortona. [88] Ad ogni modo non si ha il più leggero indizio nonché menzione di possesso o di diritto del monastero di S. Pietro in Ciel d'oro. E credo che non vi sia bisogno di aggiunger altro. Affido serenamente queste pagine all'esame pur severo, sapendo quanto siano numerosi quei che sanno e vogliono distinguere tra storia e leggenda, che preferiscono magari poche notizie precise e certe alle abbondanti vegetazioni germogliate e maturate dalla fantasia e dalle combinazioni ipotetiche. I romanzi possono essere anch'essi buoni e utili, ma non dovranno mai travalicare dal campo puramente letterario; per la storia ognuno dovrà ripetere: solo la verità; qual ella sia. Del resto - e per racchiuderci nel nostro soggetto- aver testimoni delle traslazioni delle reliquie di S. Agostino autori contemporanei del valore di Beda e degli scrittori che lo hanno seguito da presso, piuttosto che altri lontani per tempo e inferiori per autorità, non può che irrobustirne il valore storico. Il precetto: la verità nulla menzogna frodi, fedelmente seguito, ha posto in grado di stabilire su base salda e robusta, che non si sgretola all'azione della critica più esigente, la narrazione la quale ci rende edotti come e quando il corpo di S. Agostino venne trasferito dall'Africa in Sardegna, giungendo poi con una seconda peregrinazione alla venerata sede di S. Pietro in Ciel d'oro.
Note
(1) - Vita S. Augustini episcopi ecclesiae Doctoris; ipsius ante et post ab susceptum, baptismum getsa complectens; Petri Oldradi Mediolanensis Archiepiscopi epistola ad Carolum Magnum de translatione S. Augustini ex Sardinia Papiam ... Nunc primum praeter vitam quam Possidius ... in lucem edita per Fr. Augustinum Fivizanium romanum Apostolici Palatii sacristam. Superiorum permissu Romae ex officina Ioannis Martinelli ad signum Phoenices. MD. LXXXVII.
(2) - Annales ecclesistici, ad annum 725, n. 1
(3) - Annali d'Italia all'anno 722, Milano 1838, vol. II, p. 260
(4) - Critica historico-chronologica in universos Caes. Baronii Annales, Antuerpiae 1724, ad annum 725, 1 agosto
(5) - UGHELLI, Italia Sacra, IV, p. 60-70
(6) - G. GIULINI, Memorie "spettanti alla Storia, al Governo e alla Descrizione della Città e della Campagna di Milano nei secoli bassi". Milano 1760, 9 vol., tom. I, pp. 66-67
(7) - AS mai VII, p. LXVIII-IX
(8) - Il Palinsesto d'Arborea, Firenze 1904
(9) - aug. I, 363
(10) - aug. I, 363
(11) - Mémoires pour servir à l'hist. Eccl. Des dix premiers siècles, XIII, art. 353 e nota 95
(12) - Il Piemonte, 252-4
(13) - Storia d'Italia - Vol. IV - pag. 510, n. 454
(14) - Cfr. L'Afrique Chrétienne per Dom H. LEGLERCQ. – tom . second. Duxièeme édition Paris, Libr. Victor Lecoffre – 1904, pp. 199-200.
(15) - S. Fulgentii Episcopi Ruspensis vita, a quodam eius discipulo conscripta. P. L. volume 65 - 117-150 - c. III
(16) - Ib., c. XX.
(17) -
(18) -
(19) - .
(20) -
(21) - cfr. Ep. 213
(22) - cfr. Mansi, XI; 306, 774
(23) - TROYA, I. c.
(24) - P. L. 203; 1205, 34
(25) - Speculum historiale;1.24, c.148; Mentillin Argentorati 1473
(26) - in Hermathena, XXXVI (1910), p. 92-93; dal Codice di Basiliea A. 4. 8, sec. XII (o XIII
(27) - Legenda Aurea, pp. 518-565, Dresda, 1890
(28) - cfr.. Analecta Ballandiana, 1910, p. 89
(29) - cfr. ib. p. 34-6
(30) - Siena 1883; da Codice perg. Bibl. Comunale Senese, T. II, 23
(31) - ib., p. 18
(32) - Vita S. P. Angustini Hipp,. Ep.; in HOMMEY: Supplementum Patrum, Parigi, 1684, pp. 569. seqq.
(33) - Vita S. Aurelii Augustini ... Chronica sacratissimi O. FF. Her. S. Augustini, p. 200
(34) - Brescia, 1511; coi tipi di Angelo Brittanico
(35) - cfr. la lettera 1. c.
(36) - Da Pio IV fu nominato canonico di S. Maria in Via Lata e beneficiato di S. Pietro (cfr. Archivio Vaticano - Reg. Supplic. 3102 - ann. 1563 – fol. 126) quindi canonico Vaticano. Mori il 14 Luglio 1596 (cfr. libro 30 dei Morti - p. 185).
(37) - "Blbliotheca Scriptorum Mediolanensium" tom. II - p.1a, Col. 1001 a 1006.
(38) - cfr. SAVIO: La Chronica episcoporum mediolanensinm citata e adoperata di Galvano Fiamma; da "Rivista di Scienze storiche", ann. 1908. Pavia, Rossetti, 1909.
(39) - cfr. "San Carlo Borromeo, nel III Centenario della Canonizzazione". Milano, 1908-1910, p. 600. Articolo da leggersi per comprendere che era capace di combinare un tal uomo.
(40) - cfr. "San Carlo Borromeo" cit., 385.
(41) - Chronica Minora, ed. Mommsen, III, 321.
(42) - cfr. QUENTIN. Les Martyroges historiques du moyen-age, p.109.
(43) - Historia Langobardorum, I. VI, 48 - MGH.
(44) - MGH p. 422.
(45) - "V Kal [sept." in Africa depositio sancti Augustini ep. qui primo de sua civitate propter barbaros Sardiniam translatus, nuper a Luidbrando rege Langobardorum Ticinis [Ticinurn] relatus et honorifice condittts est.", Rabani, Martirologim [saec.] P. L. CX, 1165.
(46) - V KaI. sept. In Africa depositio sancti Augustirti episcopi ... Huius corpus venerabile primo de sua civitate prapter barbaros Sardiniam translatus, nuper a Liutbrando rege Langobardorum Ticinis relatus et honorifice conditus est" Martirologio di Adone (saec. XI); cfr. QUENTIN, o. c., p. 619.)
(47) - "V Kal. sept. In Africa depositio Sancti Augustini episcopi qui primo da sua civitate propter barbaros Sardiniarn translatus, nuper a rege Langobardorum Ticinis relatus et hpnorifice conditus est". Martirologio di Usnuardo (saec. XI) in AS. junii ; tom. VI, pp. 451 - 52.
(48) - [28 agosto] Augustine pater ... aurea quem servant ltalis nonc templa sepultum (reminiscenza di Ov. Fast, I, 223; ma forse si riferisce a S. Pietro in Ciel d'oro) Martirologio (pubbl. 848 - 851 ?) MGH Poetae latini aevi carolini, II, 592.
(49) - ann. [735] ."Liutprandus vero rex Langobardorum attdivit quod Sarraceni loca sancta corrumperent. Audivit quod depopulata Sardinia, etiam loca illa fedarent ubi ossa sancti Aug. ep. propter vastationem barbarorum olim translata et honorifice fuerant recondita. Misit et dato magno pretio accepit et transtulit ea in Ticinis ibique cum debito tanti patris honore recondidit". Mariani Scotti Chronicon (MGH Scriptorcs, Vll. p. 546, (del 1083)
(50) - ann. [721.] Ossa S. Augustini Ipponensis episcopi olim translata ad Sardiniam, vastata modo a Saracenis Sardinia Liuthprandus rex Langobardorum dato magno pretio transfert Papiam," SIGEBERTI: Chronica (MGH Scriptores, VI, p. 330).
(51) - ann. [718] "Leutbrandus rex audiens quod Sarraceni, depopulata Sardinia, etiam loca illa faedassent ubi ossa b. Augustini ep. propter vastationemn barbarorum olim translata et honorifice fuerant condita, misit et dato pretio accepit et transtulit ea in Ticinum, bique in monasterio quod Cella Aurea vocatur, quod et ipse construxit, condigno honor e recondit". ADONIS, Chronicon, P.L. CXXIII, col. 120. E ripete la narrazione anche Ermanno Contratto (+ 1054) nella sua cronaca, MGH Scriptores, V, 67.
(52) - "cfr. "Vita S. Augustini ep. et conf. MOMBRITIUS, Sanctuarium, sive vitae sanctorum. BHL, 792. Nel Cod. B, 55, Inf. dell'Ambrosiana del sec. IX, al n. 38 (v. Analecta, Boll. ann. 1892, p. 258), si ha la vita di Possidio (A S Aug., IV, 427 - 40) con la seguente appendice: " Hic (b. Aug.) dum in Hipponiensi sepultus fuisset regione (confusione di Hippo regius?) propter immunditiam et credulitatem (crudelitatem ?) gentilium inde ablatus... Luiprandi regis Langobardorum, qui audiens quod Saraceni foedarent .. fuerunt reconditav ... Ticinum etc." .
(53) - cfr. Bio - Bibliograplìe, I.
(54) - cfr. Cronica Minora, III, 226.
(55) - A S Nov., IL pars prior - p. LXXI - (IIII. Kal. sept.). È del secolo VI (ivi, p. LXX) forse del 523 - 535, al tempo del re Federico.
(56) - e Effera gens Vandalorum Hulanomm et Gothorum ab Hipaniis ad Africam transiens, omnia ferro, fiamma, rapinis simul et arriana impietate foedavit. Sed b. Augustinus Hipponiensis episcopus et omnium doctor eximius ecclesiarum ne civitatis suae ruinam videret, tetio obsidionis eius mense migravit ad Dominutn V Kal, sept ... Quo tempore Vandali capta Carthagine Siciliam quoque deleverunt " (op. cit p. 302).
(57) - Cfr. VICT0RIS episcopi Vitensìs, Historia persecutionis Africanae Provindae. C S E L Vol. VIII. Vindobonae. C. Geroldì, MDCCCLXXXI (parla della morte di Agostino, I, par. 10-11; lo loda, ivi, e III, par. 61.
(58) - M G H ., ib I,11.
(59) - L. DUCHESNE. Storia della Chiesa Antica Prima trad. italiana . Roma, Desclée 1911. Vol. III, cap. XIV, 4.
(60) - Confronta VITTORE VITENSE - op. c. e DUCHESNE I. c.
(61) - S. AURELI AUGUSTINI Ipp. Ep., Vita, c. 280
(62) - ib., c. 180.
(63) - De Bello- Vandalico, II, 4..
(64) - Les Berbers, tom. 1, p. 79; cfr. LECLERCQ, op. cit., tom.. II, p. 372
(65) - LECLERCQ ib.; p. 246.
(66) - Id. ib. p. 313.
(67) - cfr. CAETANI: Chronografia islamitica passim.
(68) - cfr. L. DUCHESNE: L'Eglise au Vme siècle, 1925, pag. 653 e LECLERCQ, op. cit. IX
(69) - LECLERQ, op. e I. cit., p. 311
(70) - Id. ib., p. 313.
(71) - Neanche è da prospettare la possibilità di adoprarsi a stabilire il giorno della traslazione: viene avvolto nell'incertezza degli altri particolari. A titolo di curiosità ricordo che il Codice D 7,3 (secoli XII-XIII) dell'Angelica ha: 27 Febbraio: " Reconditio S. Augustini episcopi [11 Ottobre translatio S. Augustlni ep.] e il Codice 1906 (B. 11,6 - sec. XV) della Casanatense: 28 Febbraio: "Translatio S. Augustini " [11 Ottobre: Translatio S. Augustini]: cfr. EBNER: Missale Romanum in Mithelter; Friburgo in Brisgovia, 1896 pp. 134-5 e 161. È superfluo ricordare che le feste non sono sempre anniversarie.
(72) - Gestis Langobardorum, I. VI, 58.
(73) - cfr. Della Storia d'Italia, dalle origini fino ai nostri giorni. Sommario di Cesare Balbo, Torino, 1883, Salesiana. Libro IV 18.
(74) - FILIA La Sardegna cristiana, Sassari, 1909, p. 137; cita Amari; cfr. CAETANI: Cronographìa ecc.
(75) - cfr. CAUTANI: Chronographia Islamica, da p. 1110 a 1298.
(76) - Furono pubblicate da Cosimo Manca M. O. nel 1863, colla data di rinvenimento 1345: cfr. in proposito: FEDERICI V.: Il palinsesto d'Arborea-Firenze, 1904.
(77) - Può leggersi: H. GRISAR: Note archeologiche sulla mostra di arte sacra antica a Orvieto; in " Nuovo Bullettino dì Archeologia Cristiana "; anno 1897, p. 42. Non per difendermi, ma per spiegare, debbo spendere due parole su quella che può parere, come dire?, disinvoltura circa le tradizioni e affermazioni agostiniane della Sardegna. Tutti sanno che in proposito le opere di scrittori specialmente sardi sono piuttosto numerose, e parecchie di tali cui sarebbe ingiustizia manifesta negare ingegno e studio. "Perchè dunque - si dirà - procedere con sentenze sommarie? Non proferisco sentenze sommarie. Ho soltanto difese conclusioni diverse intorno al tempo della traslazione delle reliquie in Sardegna ; espresso dei dissensi e dubbi sui luoghi ove venerate e su particolari germogliati senza ragioni intorno a questi due punti. Ciò non vuol dire misconoscere i pregi di parecchie opere che non raramente manifestano una sagacità, una felicità di ricerche, meritevoli di calorosi elogi: sono tanti i punti fuori e di là da ciò che ci divide e che ho dovuto contrastare! Ma sulla traslazione può dirsi, senza pericolo d'esser contradetti, che gli scrittori sardi aggiungono affermazioni di carattere locale alle narrazione comunemente conosciute; vanno perciò valutate per queste. Specialmente è largamente sfruttato il pseudo-Oldradi. Si leggano, ad esempio, FILlA: La Sardegna cristiana, Sassari, 1909, e SERRA E.: Una pagina d'oro nella storia ecclesiastica di Sardegna, Cagliari, 1897. Il Serra cita spesso il FARA - De rebus Sardois-; ed ambedue oltreché appoggiarsi al pseudo-Oldradi gli mettono a carico delle affermazioni che questi non fa. Così, che S. Fulgenzio abbia portato il corpo di S. Agostino "cum baculo ipsius et mitra pastorali "; che un cieco, toccando il corpo sia stato guarito. Mi guarderà bene dal fare il severo con chi si é adoprato ad avvivare un fuoco d'entusiasmo ove si fondono insieme l'amore religioso e il patrio. Lavori fatti col nobile intento di mantenere accesi focolai d'ardore spirituale, appellanti perciò a tutte le molteplici manifestazioni delle facoltà umane, facenti larga parte ai ricordi di patria e di famiglia, sono forse qualche cosa di più e di meglio di una storia: però storia non sono. Nel concludere, vale la pena di ricordare, e a titolo di lode, che le affermazioni sarde intorno alle reliquie di S. Agostino si sono contenute, sì che per esse non si è avuto l'inconveniente che bisogna deplorare in molti altri paesi, ove furono un tempo reliquie di santi, poi trasferite altrove. Nonostante il trasferimento, nei luoghi della deposizione primitiva si seguitò ad affermare la presenza delle stesse reliquie, col risultato niente desiderabile di suscitare dubbi e diffidenze intorno ad alcuni avvenimenti la cui documentazione storica se non scarseggia, certo non abbonda, In Sardegna no; qui si ammette senza reticenze che il corpo di S. Agostino fu trasferito a Pavia. E dobbiamo esser grati ai Sardi di questa schiettezza storica
(78) - cfr. R. MAIOCCHI e N. CASACCA: Codex diplomaticus O. E. S. Augustini Papiae -Papiae, Rossetti; Vol, I, 1905: Introduzione, n. 2 - 5.
(79) - Historia Langobardorum; I. VI, ti, 58
(80) - Id. ib. " Liutprandus... jam aetate maturus vitae cursurn explevit. Corpusque eius in basilica beati Adriani martyris, ubi et eius requiescit genitor, sepultum est."
(81) - cfr. Testi ed esame in Italia Poniificia, sive repertorium privlegiorum et litterarum a Romanis Pontificibus ante annum 1198 Italiae Ecclesiis Monasteriis Civitatibus singulisque personis concessorum: iubente Regia Societate Gottingensi, congessit Paulinus Fridolinus Kehr; Vol. V. Berolini, apud Weidmannos, MDCCCCXIII - page 194 - 200.
(82) - BAGATTA Admiranda catholici orbis; specie II, 484-87: narra più di 25 casi: AS (passim) più di cinquanta: altri se ne raccolgono in memorie locali.
(83) - In MGH n. 241, pagine 337-43 e 388-89.
(84) - Ib. 4 Giugno 1012; pagine 280-90.
(85) - STUMPF-BRENTANO:Acta Imperii, n. 135.
(86) - Ib., n. 326 e 135.
(87) - Ib., n. 460, pagine 626-29
(88) - Cfr. "Le reliquie di S. Agostino e l'antico monastero di Savignano", estratto da Derthona sacra, 1901.
Estratto da "Sant'Agostino. Il Santo Dottore nella vita e nelle opere ... (APPENDICE II).